Le grandi donne: Saffo.

Piccola, bruttina, scura di carnagione, morta suicida: è così che gli scritti di Saffo l’hanno consacrata all’eternità. Ma io, forse innamorata di lei, di ciò che mi ha lasciato, di come mi ha arricchita, di come lei, donna, è riuscita a sopravvivere allo scorrere dei secoli, la immagino vestita di un peplo fluente, coi capelli scuri, ricci e lunghi, prosperosa e con gli occhi profondi.
L’Isola di Lesbo le diede i natali, tra il 640 e il 630 a.C., nacque nella città di Ereso, ma visse poi a Mitilene, in un periodo in cui era dilaniata da lotte interne. Fu sorella di Larico, Eurighio e Carasso, fu sposa di Cercila di Andro e madre di Cleide.
Per la prima volta una donna, una madre, un’insegnante, ci lascia dei testi poetici e grazie a lei ci è consentito conoscere la società arcaica di Lesbo, e della Grecia, da un’altra prospettiva, tutta diversa. Era direttrice di un tiaso, una comunità di ragazze che aveva intenti formativi sul piano culturale, morale e religioso e il tratto caratteristico era la “abrosyna”, la raffinatezza, il lusso, l’eleganza. Le giovani, provenienti dalle famiglie più agiate di tutto il mondo greco, erano educate alla futura vita di madri e mogli e ruotava intorno ai riti religiosi (in questo caso al culto di Afrodite) e il legame con la loro educatrice era molto stretto e spesso implicava relazioni di carattere sessuale (le relazioni omosessuali tra educatore e allievo nel mondo greco avevano una funzione educativa e di iniziazione).
La maggior parte dei versi che ci sono rimasti parlano d’amore, passione che genera sofferenza. Non mancano gli esempi in cui si canta l’amore eterosessuale, ma spesso destinataria delle odi era la compagna del tiaso, probabilmente Anattoria, protagonista del frammento “La cosa più bella”, della quale scrive: <>. Illustre è la cosiddetta “Ode della gelosia” nella quale descrive ciò che accade al suo corpo quando la donna amata siede accanto ad un uomo e ride e scherza con lui mentre “la lingua è spezzata, un fuoco sottile si è diffuso rapidamente sotto la pelle, con gli occhi non vedo nulla, le orecchie ronzano, il sudore mi pervade e un tremito tutta mi prende, sono più verde dell’erba, poco lontana dell’essere morta sembro a me stessa”. Commovente è il “Canto del distacco” nel quale esprime tutta la sua tristezza nel dover abbandonare una ragazza pronta al matrimonio raccontando come solevano intrecciare “molte corone di viole e di rose” ma anche come, solitamente si concludevano i loro appuntamenti…

“e davvero voglio morire.

Lei mi lasciava piangendo;

 

molte cose mi disse, e anche questo;

<<Ohimè, così terribilmente soffriamo

Saffo, e ti lascio senza volerlo per nulla>>.

 

Ed io le rispondevo con queste parole:

<<Va’, e stai bene e di me

ricordati, perché sai come ti amavo.

 

E se non ti ricordi, io allora ti voglio

fare ricordare …

e belle vivevamo;

 

molte corone di viole

e di rose … e … insieme

sul capo accanto a me ti cingesti

 

e molte ghirlande

intrecciate intorno al collo delicato

fatte di fiori gettasti

 

e con molto … unguento

di fiori

e con quello regale ti profumasti,

 

e sui morbidi letti

di delicate …

liberavi il tuo desiderio …

 

e né una festa né un

tempio, né …

c’era da cui noi fossimo assenti,

 

né un bosco, … né coro,

né … suono di crotali>>”

Altro tema molto presente negli scritti di Saffo è l’invocazione agli dèi. Afrodite è invocata con molta frequenza, menzionata con le sue prerogative, supplicata (anche) affinché riporti a casa il fratello Carasso e lo riconcili con lei. Assieme alla dea dell’amore, talvolta, erano invocate anche le Cariti, le Nereidi o Era, divinità, anch’esse, legate all’incarnazione dei valori femminili.

“Variegato trono, immortale Afrodite
Figlia di Zeus tessitrice di inganni, ti prego,
con affanni né con dolori non domarmi,
signora, nell’animo,

ma qui vieni, se mai anche altre volte
le mie parole udivi di lontano
e le esaudivi, lasciata la casa del padre,
aurea venisti

aggiogato il carro. Belli li portavano
passeri veloci intorno alla nera terra,
fitte battendo le ali, dal cielo
attraverso l’etere.

Subito giunsero; e tu, o beata,
sorridendo nel volto immortale,
chiedesti cosa di nuovo avevo sofferto, perché
di nuovo pregavo,

e cosa per me soprattutto volevo
nel mio animo folle: <>.

Vieni a me anche ora, scioglimi dalle aspre
pene, e ciò che per me compiuto
l’animo desidera, compilo, e tu stessa
sii mia alleata.”

Saffo è immortale ed è la sua poesia a renderla tale. Più di duemilacinquecento anni dopo, siamo ancora qui, a leggere le sue poesie, ad emozionarci. Saffo sopravvive da allora, è sopravvissuta alla decadenza della civiltà ellenistica, alla decadenza dell’epoca romana, è sopravvissuta al millennio medievale, al Rinascimento, all’Età dei Lumi, alla rivoluzione industriale, alle guerre mondiali, è ancora qua. I suoi versi d’amore emozionano ancora e lo fanno trasmettendoci un amore vivido, vivo, sopravvissuto ai secoli.
Ma adesso duemilacinquecento anni dopo, le sue parole d’amore possono realmente essere sentite?
“E’ tramontata la luna, e le Pleiadi; è a mezzo la notte, l’ora passa e io dormo sola.”

Parlo tanto, ma mi piace ascoltare la musica e le opinioni altrui. Sono una studentessa di Liceo Classico, adoro studiare il passato e osservare le stelle, vecchi filmini di famiglia di milioni di anni fa. Amo i viaggi in treno, la musica nelle cuffiette, il sole, le notti stellate, le persone, la mia terra e il teatro.

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