La scelta come Resistenza
È da un po’ di giorni che mi pongo la stessa domanda a proposito del 25 aprile, del concetto di resistenza, della festa della liberazione, insieme ad una serie di immagini di situazioni, di persone, di cose attuali vissute e ancora da vivere nella mia città, nell’intero paese. E allora mi son chiesta, sperando di non cadere nella retorica e decidendo di dar sfogo ad un’esigenza che parta da dentro: “Quale resistenza oggi”? Di anno in anno assistiamo al mutare degli eventi condizionati dalla contingenza del nostro tempo nel nostro paese, e quindi allo svuotamento totale del significato di ‘resistenza’ adoperato dalla ‘politica’. Ho posto la domanda al resto del gruppo del blog. Un amico di Pesaro mi ha fatto riflettere su come forse sia necessario, oggi, attribuire questo grande valore al popolo, su come il popolo assorbito da inerzia, non riesca più ad impadronirsene per come dovrebbe, su come la politica l’abbia fatto troppo suo, trasformandolo completamente. Altra considerazione, venuta fuori già dallo scorso anno a seguito della partecipazione di Manifest ad una giornata di celebrazione cittadina sul ’25 aprile’, a proposito delle donne della resistenza e in particolare delle donne curde, è quella per cui oggi sarebbe bello collocare il concetto di resistenza partendo dalla storia di ieri fino a giungere a quella dei nostri giorni.
E quindi ‘resistenza’ cos’altro può essere? Ci sono gli immigrati che resistono nei nostri mari, quelli che resistono altrove, che scappano dalle zone di guerra, dai colpi di stato, quelli che arrivati in Italia resistono agli ‘italiani’, alla discriminazione più becera. Ci sono le donne musulmane, considerate per la loro religione da sempre più arretrate rispetto alla tradizione occidentale (occultando il fatto che noi occidentali abbiamo in origine avuto modo di copiare anche alcuni loro modelli perché fortemente persuasivi), che resistono ai soprusi o alla violenza incontrata per la prima volta in Italia (e non, magari, nel loro paese d’origine). Resistono tutti coloro che, anche in silenzio, tengono alta la bandiera della resistenza quando si trovano in quella ‘minoranza’ coraggiosa di difesa nei confronti dei più deboli, dei più disagiati, degli impotenti derisi dai potenti. Fanno resistenza i ‘disoccupati’ e i giovani d’Italia che si apprestano a riempire i loro curriculum, sempre troppo vuoti, mai sufficienti. I gruppi culturali o ambientali che voltano le spalle alle istituzioni per il solo diritto di riuscire a ‘salvarsi’. Resiste ciascun individuo che, in questo tempo di estrema fragilità, non ha più tempo di pensare alla ‘depressione’, e si tuffa in ogni dove e in ogni come per continuare a mettersi in gioco. Il mio attuale ‘disincanto’ non mi fa leggere più con passione il discorso di Calamandrei ai giovani sulla Costituzione, messo in scena durante la mia prima ‘improvvisazione teatrale’. Eppure, quel discorso, è così essenziale che sfido chiunque, tra coloro i quali tengono ai valori democratici e alla libertà, a non sentirselo incorporato. La storiella dei due amici marinari che affondano su una barca a causa dell’indifferenza dell’uno rimasto in stiva a dormire ci torna utile, oggi, per pensare a quanto sia assai necessario combattere ogni giorno l’indifferenza dilagante che ci circonda, in ogni contesto. Diceva Calamandrei: “La costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove: perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile; bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità”.
Pubblico di seguito una breve nota di Vito Teti, di risposta alle mia riflessione.
Dal sessantotto, almeno, per quelli della mia generazione la Resistenza era un mito di fondazione della nostra rivolta. In fondo non eravamo lontani da quegli anni ma già erano un tempo mitico. Gli uomini della Resistenza e le donne erano punto di riferimento morale e ideale. L’uso politico che veniva fatto delle storie, dei patimenti, degli eroismi di persone che ancora raccontavano in mezzo a noi, aveva un senso in quel presente. Rivendicare un’appartenenza e una continuità con quella vicenda era non solo legittimo, ma “doveroso”. Col tempo, col passare degli anni, col venire meno dei protagonisti di quel movimento, tutto diventava sbiadito, lontano, rarefatto. Le celebrazioni non erano più elementi di un rito creativo ma manifestazioni rituali e folklorizzate. I partigiani non erano più persone in carne ed ossa ma icone. Poi venne il revisionismo, di destra e di sinistra, venne anche un racconto storico più sereno che ricollocava meglio la Resistenza, anche con le sue contraddizioni, i suoi errori e anche i tradimenti che avrebbe conosciuto. Ricordare resta un imperativo, ma dovremmo evitare una sorta di festa del papà, dove si celebrano anche i cattivi papà e si assolve e si confonde tutto. Si ritualizza tutto.
Detesto testimoniare per conto terzi. Ognuno può testimoniare, forse, della propria vita, con la propria vita. Non si può piegare il passato al presente e nemmeno il presente al passato. Non si può essere nostalgici per conto terzi. C’è una parola decisiva nell’esperienza partigiana, nella nascita dei primi gruppi nel Cuneese, con Calamandrei e altri. La parola è SCELTA. Cosa si poteva e si doveva scegliere tra il nazismo, l’oppressione, la fine dell’umano e chi invece andava a combattere per la libertà, per la patria, contro la dittatura. Era possibile restare indifferenti? Sì. Molti lo furono. Era possibile scegliere l’altra parte? Sì. Molti lo fecero. E anche con le loro ragioni, i loro entusiasmi, le loro idee. Quello che si è scelto però – e non lo abbiamo fatto noi – non è stato indifferente per quel tempo e per il tempo successivo. Lo so che il Bene non è separabile dal Male. Lo so per esperienza, per vita, oltre che per avere letto Dostoevskij.
Lo so che il male può invadere e devastare tutto e inserirsi proprio là dove sembra trionfare il Bene. Eppure ci sono momenti decisivi in cui bisogna avere chiaro da che parte stare e con chi stare. Dove collocarsi e insieme a chi? Bisogna immaginare che qui ed ora il Male e il Bene vadano distinti, almeno nello scegliere. La scelta. Per onorare la memoria dei partigiani e per capire un messaggio della Resistenza la domanda è: Cosa scegliamo oggi? Ancora prima: siamo ancora in grado di scegliere o ci facciamo scegliere e ci adattiamo alle scelte degli altri? Deleghiamo il nostro futuro? Rinunciamo? In questa Calabria, stiamo con chi combatte le mafie o con chi vive di mafia (compresa tanta antimafia)? Stiamo con i giornalisti sotto scorta perché hanno detto la verità, senza essere un eroi, e hanno fatto il proprio dovere o siamo con gli opinionisti sempre compiacenti e sempre chini dinnanzi al potere. Siamo per chi si adopera per scoprire e indicare la zona grigia o ci collochiamo nella zona grigia? Siamo con i giovani che puliscono le spiagge, sorvegliano i paesi, cercano lavoro e giustizia o per chi fa clientela e fortuna sui loro bisogni? Siamo con chi a cura, nei fatti e con le opere, del paesaggio, della vita, dei luoghi o chiudiamo gli occhi dinnanzi a chi li devasta e li distrugge? Certo non esistono santi ed eroi (e forse è meglio che sia così), ma parole chiare, distinte, vere, comprensibili sono ancora possibili. Azioni di resistenza morale prima che politica sono sotto i nostri occhi anche nel mondo della corruzione e di questa politica. Scegliere è necessario ed è necessario testimoniare con il proprio nome e per noi e non invocando, in maniera teatralizzata ed enfatica, soltanto ideali di riferimento, che possono nascondere parole vuote e sterili. Diventare alibi per non scegliere. O solo per salvarci l’anima, per affidarci a chi ha scelto in un tempo mitico. Scegliere è decisivo per affermare che non tutto è indistinto, che tutti sono uguali e che tanto così fan tutti e che destra è uguale a sinistra e così via. Scegliere è importante anche per quelli che la pensano diversamente da noi e fanno altre scelte. Lo so che non è possibile cedere a visoni manichee e auto collocarci da soli nella parte giusta, ma già pensare e proclamare il bene, sceglierlo, dargli corpo e speranza è un atto sovversivo e resistente.
(Foto Federico Patellani)
Valeria D'Agostino è giornalista pubblicista, curiosa del bello, amante della natura e della poesia. Ha contribuito a realizzare il Tip Teatro di Lamezia Terme, già ufficio stampa di Scenari Visibili, blogger sin dagli esordi di Manifest Blog. Ha lavorato per Il Lametino, attualmente corrispondente esterna della Gazzetta del Sud. Nell'ambito della scrittura giornalistica ha prediletto un interesse particolare per le tematiche sociali, quali in primis la sanità e l'ambiente, culturali, e artistiche. Si divide fra Lamezia Terme e Longobardi, costa tirrenica cosentina dove si occupa di turismo e agricoltura biologica. "Un buon modo per dare concretezza al concetto di fuga".