Claudio Magris. Uno dei più grandi scrittori del nostro tempo. È mentre penso a lui, conosciuto durante un recente incontro pubblico a Vibo Valentia, che cerco di dipanarmi dagli infiniti orizzonti letterari, e più penso alla intensità ed ai colori delle sue parole più metto ordine alle mie, confuse, e frammentate idee del giorno.
In questa linea ondeggiante, in cui mi suonano termini come erranza o fuga, intese come tracce associate al viaggio, emerge anche la nostalgia dei padri, in cui risiede il nome di Alvaro, nella Fuga senza Fine, viene poi in memoria Joseph Roth, e altri uomini della storia vicina al pensiero e al vissuto magrisiano, quali Kafka, Tunda, Musil.
Nella molteplicità di sfumature che formano la sua personalità, uomo di geniale letteratura mittileuropea, giornalista, grande saggista, osservatore dei dettagli, studioso del microcosmo, Magris è più di ogni altra cosa uomo dal pensiero pesante e sottile insieme, dallo sguardo acuto, penetrante, e sempre delicato. È un pensiero onnicomprensivo di storia, colui che muove critiche al modernismo senza ledere il presente, senza cadere in retorica, e lo fa soprattutto in una chiave ironica, intelligente. Tocca il passato, si, ma recupera di esso ciò che è stato dimenticato, rimosso, nascosto, lo tira fuori e lo rende fortemente contemporaneo, capace di persuadere il viaggio di coloro che si caleranno nei giorni del domani. E nei treni di partenze fatte per ri-tornare, Magris proietta temi altamente letterari, antichi, con una estrema sensibilità, interfacciandosi nel viaggio con sentimento, ed è nella natura di viaggio intimistico che riesce a fornire notizie nuove dal mondo e per il mondo. Parla, insegna, trasmette a proposito del sentire comune. Chi, insomma, meglio di Claudio Magris potrebbe oggi guidare le nuove generazioni all’ascolto reciproco, per far in modo che di individualismo non ci fosse più traccia. A tale proposito Magris è entusiasta dell’accoglienza trovata in terra Calabria ogni volta che vi ritorna.
“Mi fa sentire sereno la sensazione del porsi le stesse domande, con la stessa armonia, in questa comunità di linguaggio mentale non mi sento più in un mondo alieno”
E Claudio Magris, professore e autore di numerosi saggi e romanzi ai quali seguono premi e riconoscimenti di prestigio, fra i primi a rivalutare il filone letterario di matrice ebraica all’interno della letteratura mittileuropea, può inoltre fornire qualche indicazione, a proposito della scrittura, specie nel mondo globalizzato e dai calcoli deviati del marketing editoriale. Conduce, oltre al sentire comune, alla ricerca della qualità in tutto ciò che ci circonda. Ma come nasce in un grande scrittore l’idea di un libro?
“Nasce senza alcuna strada precisa, non sapendo affatto qual è il sentiero che si aprirà, nasce dalla curiosità di avventurarmi; ci sono diverse scritture, la differenza è tra il cosa e il come. Nel romanzo Alla cieca ho iniziato a scrivere in modo tradizionale. Non ha funzionato”.
Negli articoli curati per Il Corriere della Sera, la prosa in Magris si fa martellante con tutta la complessità del tema. Perché come afferma ancora Magris:
Quando si racconta o si inventa la storia di un uomo che ha commesso un delitto, quell’uomo non è solo colui che ha commesso il fatto, è importante il tutt’uno con la sintassi”.
Ma quanto è largo, quanto profondo, lo sguardo del viaggiatore magrisiano? Nel libro esilio, con sfondo ebraico, Lontano da dove, si incontrano verso fine ‘800 due ebrei orientali. Prima di un viaggio l’uno dice all’altro “dove vai?”, “vado lontano” – risponde l’altro, “lontano da dove?”. Nell’ampia ricerca compiuta da Magris, egli si sforza nel cercare qualcosa di cui non conosce bene l’entità. E quel tutto anonimo e sconosciuto si rivela proprio nella ricerca.
“Senza esilio non c’è terra promessa, bisogna sempre cercare una terra promessa, la quale è sempre un altrove, una patria celeste che dobbiamo raggiungere”.
In questo cercare, o vagare, Magris traduce il compito vero della letteratura, ovvero, capire come i fatti sono stati vissuti dagli uomini. C’è una mescolanza, nel pensiero magrisiano, e la si evince se si pensa al suo Infinito viaggiare, o alle sue Instantanee, se si pensa, dunque, al viaggio legato al microcosmo di cui si accennava sopra. Una mescolanza di confini e di frontiere. Come afferma Vito Teti “C’è il tentativo di capire un’identità aperta, di mettersi in discussione rispetto alle incertezze, al pregiudizio”.
Nell’opera di Magris ricorrono tematiche che toccano la storia del ventesimo secolo, la predita di un centro ed il progressivo distacco da un’identità sentita come claustrofobica. Il viaggio è qui modello di una patria di riferimento, si parte per avere desiderio di ritornare. È sempre pronto a partire, per una stazione, per un aeroporto. Deve andarsene, Rimbaud di confine, per tornare sempre, però, ‘portandosi a casa il mondo, nella sua amata città di cui conosce ciottoli, tetti, cortili, giardini e, soprattutto, il luogo sommo della comunità, il Caffè San Marco, una delle sue case-rifugio di cui in Microcosmi ha raccontato passato e presente e ha fatto rinascere vita e miracoli di uomini e donne comparsi, in quasi un secolo ormai, in quel famoso Caffè che «assomiglia a una scacchiera e fra i suoi tavolini ci si muove come il cavallo, girando di continuo ad angolo retto e ritrovandosi spesso, come in un gioco dell’Oca, al punto di partenza» Corrado Stajano, Il mondo di Magris tra parole e sguardi.
Non manca il mare, elemento imprescindibile della sua scrittura. Un’odissea. Il Viaggio come metafora della vita e della morte. In Infinito Viaggiare, l’autore s’immerge in diversi viaggi, compiuti dalla Spagna attraverso la Cina fino all’Australia. Un diario di bordo, una decina di racconti vissuti tra il 1981 e il 2004. Decisamente un’autobiografia che sorprende.
“Il viaggio più affascinante è un ritorno, come l’odissea, e i luoghi del percorso consueto, i microcosmi quotidiani attraversati da tanti anni, sono una sfida ulissiaca. “Perché cavalcare per queste terre?” chiede nella famosa ballata di Rilke l’alfiere al marchese che procede al suo fianco. “Per ritornare” risponde l’altro.
Valeria D'Agostino è giornalista pubblicista, curiosa del bello, amante della natura e della poesia. Ha contribuito a realizzare il Tip Teatro di Lamezia Terme, già ufficio stampa di Scenari Visibili, blogger sin dagli esordi di Manifest Blog. Ha lavorato per Il Lametino, attualmente corrispondente esterna della Gazzetta del Sud. Nell'ambito della scrittura giornalistica ha prediletto un interesse particolare per le tematiche sociali, quali in primis la sanità e l'ambiente, culturali, e artistiche. Si divide fra Lamezia Terme e Longobardi, costa tirrenica cosentina dove si occupa di turismo e agricoltura biologica. "Un buon modo per dare concretezza al concetto di fuga".