Un’ombra socchiuse dolcemente la porta, e osservò il corridoio immerso nell’oscurità.
Due profondi occhi castani scrutarono attentamente in giro, brillando come fari luminosi sull’oceano in tempesta.
Solo un grande silenzio, lì attorno.
Bruscamente, l’ombra si tirò indietro, e richiuse violentemente la porta.
Erano giorni che provava a uscire dalla sua stanza, ma non ci riusciva mai. Ne sentiva fortemente il desiderio, e ogni mattina partiva sempre con il proposito di aprire quella porta, e di andarsene finalmente da lì.
Eppure, ogni volta che osservava quel corridoio buio- la luce non c’era mai, in quel palazzo- le forze le venivano a mancare. C’era qualcosa, in quel corridoio, , che le impediva di fare anche solo un piccolo passo.
Tornò lentamente a sedersi sul letto, e guardò dritto innanzi a sè. Accanto al letto c’era uno specchio convesso, dai bordi dorati, che a lei era sempre sembrato bellissimo… ma non aveva mai avuto il coraggio di guardarci.
E di vedere se stessa.
Un enorme peso sembrava tenerla legata a quel letto: eppure quel giorno, con un grande sforzo di volontà, mosse i piedi, che sembravano di piombo, e si diresse finalmente verso lo specchio. Alzò gli occhi, e si guardò.
Lunghi capelli castani, viso tondo e intelligente, naso affilato e due occhi castani rilucenti come le foglie sotto il sole del primo autunno. Si toccò i lunghi capelli mossi, nervosamente e più volte, e scosse la testa.
No, non andava per niente.
Stava per tornare a sedersi sul letto, per dormire ancora un pò, lasciando da parte tutti i pensieri di riscossa e uscita, quando sentì una voce dietro di lei.
“Ancora su questo materasso? Mi deludi, accidenti… quanto mi deludi”.
Lei si girò bruscamente… e rimase a bocca aperta.
Davanti a lei, seduto sulla sponda del letto, c’era un piccolo uomo abbigliato in modo assurdo, con abiti di ogni colore e foggia mescolati alla rinfusa tra di loro. Portava un enorme cappello a cilindro nero in testa, di quelli che andavano tanto di moda cento anni fa.
“Chi sei?”, chiese lei, con il su caratteristico tono di voce allo stesso tempo secco e gentile.
“Non è importante chi sono io- rispose l’ometto- ti basti sapere che appartengo alla stirpe degli Esseri degli Anfratti, e sono uno che vive dove gli altri non guardano mai,e riesco a vedere cose che la gente come te non nota più. Siete diventati tutti ciechi. E tu sei la più cieca di tutti!”.
La ragazza strinse rigidamente le labbra. “Cosa vorresti insinuare?”, scattò.
“Voglio dire- replicò l’Essere, scendendo dal letto e mettendosi le mani sui fianchi- che ti sei rintanata qua dentro,e non vuoi uscire, stritolata dalla paura, e credi che nel corridoio ci siano solo ombre. Mentre sai benissimo che c’è qualcuno là fuori, che ti cerca da un anno e aspetta solo che tu apra questa dannata porta!”.
Lei scosse la testa. “Non è affatto vero- disse- lì c’è solo buio, e ombra. E tu con quale diritto vieni a farmi la lezione. Sei solo un piccolo essere che vive nei buchi. Non sai proprio niente”.
L’ometto alzò un grigio sopracciglio. “Stai a sentire, bella- rispose- trovare ciò che non si vede è il mio mestiere. Se ti dico che c’è qualcuno, allora vuol dire che c’è. Ma visto che la tua è una situazione disperata, c’è un solo modo per convincerti”.
Detto ciò, l’Essere si slanciò verso la porta, e la aprì di scatto, e lei tremò dall’orrore. Adesso per colpa di quel piccolo pazzo l’ombra sarebbe entrata là dentro, l’avrebbe divorata, e…
Non accadde niente.
La ragazza, stupita, alzò la testa, e vide che la porta aperta dava su un corridoio illuminato dalla luce. Sbattè gli occhi, abbacinati dalla luce, e vide… una figura alta e slanciata, appoggiata al muro del corridoio, che le sorrideva. “Finalmente”- disse la figura- ce ne hai messo di tempo”.
Lei guardò l’ometto, che aveva un sorriso trionfante. “Avevi ragione”, disse. Lui si strinse nelle spalle…e sparì.
La ragazza scosse la testa, e oltrepassò la porta spalancata. Il ragazzo le venne incontro.
“Non è così buio, qui”. disse lei.
“C’è luce per entrambi”, rispose lui, e sorrise, prendendola per mano.
Lei la strinse forte, e non la mollò.
Di Pesaro. Ho trentaquattro anni, vivo e scrivo da precario in un mondo totalmente precario, alla ricerca di una casa dell’anima – che credo di aver trovato – e scrivo soprattutto di fantasy e avventura. Ho sempre l’animo da Don Chisciotte e lo conserverò sempre!