No al bullismo: “Parlate. Non tenetelo per voi”

I passi sulle scale. Lenti. Ansiogeni. Di corsa.

Salgo le scale della scuola, e l’atmosfera che mi circondava all’ingresso è la stessa una volta entrato.
Quella sensazione di assedio attorno a me, quella paura di entrare in un posto dove ogni giorno la sfida maggiore non è quella di essere pronti ad apprendere nozioni- così dovrebbe essere di solito- piuttosto quella di superare indenne quel turbinio di voci, di risate, di parole e azioni che piombano sulla mia testa, penetrano nel mio corpo e pungono il cuore come il peggior veleno di rettile.
Già, le voci di coloro che chiamo “compagni”. Compagni di scuola.
Una parola che denota positività, dato il suo significato di stare assieme, di condivisione delle cose, dei momenti, delle complicità.
Niente di tutto questo: la mia è una corsa a ostacoli.
Violenza è una parola abusata, spesso riferita alla violenza fisica, che sia mortale o no.
C’è però un’altra forma di violenza, sottile ma devastante: quel sopruso che parte dal disprezzo, leggero o pesante, velato o esplicito, da parte di tutti coloro che ti circondano, che spesso nasce solo da una diversa abilità nel fare le cose fisiche o da un modo di parlare che non è quello standardizzato, oppure ancora da una diversità di intendere il divertimento.
E allora si diventa bersagli, nel mirino di coloro che con evidenza “prendono in giro”, un termine fin troppo benevolo, che non rende mai la sensazione opprimente che dà la parola, pesante come pietra nei confronti di una sola persona.
Sentire l’odio, spesso ingiustificato, o quantomeno esagerato, su di sé, è una di quelle cose che rendono pesantissima la vita, la privano di ogni gioia e allegria.
Ma non è tutto qui, però.
Ci sono gli scherzi crudeli, nelle gite o nei bagni delle scuole, che non meritano di essere raccontati, gli sguardi pietosi- o peggio- delle ragazze che considerano il ragazzo preso di mira come un buffo animaletto a cui accarezzare la testa. Non si merita altro, per loro, così prese da tutti quelli che vivono di strafottenza abilmente mescolata con una equivoca “simpatica brillantezza”.
E questa violenza ha anche un risvolto inquietante, che porta a fare violenza anche verso sé stessi.
Questo atteggiamento altrui, questo odio, porta a far sì che tu non riesca nemmeno a urlare contro, a loro e al mondo, che tutto questo è ingiusto, che tu vali come loro, perché se la maggior parte delle persone ti prendono di mira, allora è perché te lo meriti, perché sei sbagliato, perché fai schifo.
Oggi, a ripensare a tutto questo, sorrido, perché quelle torture psicologiche quotidiane sono servite a rendermi il giovane uomo che sono oggi, che vede la speranza fiorire anche nei luoghi più impensati, che è fiero di essere quello che è, che ha trovato un mondo fatto per lui; ma allora fu molto dura, perché non c’era l’attenzione che c’è oggi a queste situazioni. Solo pochi anni fa, tutto questo era derubricato a “scherzi tra ragazzi, in fondo è sempre accaduto”.
Oggi, per fortuna, non è più così, e ai ragazzi che subiscono questo oggigiorno, voglio dire una cosa.
Parlate. Non tenetelo per voi.
Non siete soli.

Di Pesaro. Ho trentaquattro anni, vivo e scrivo da precario in un mondo totalmente precario, alla ricerca di una casa dell’anima – che credo di aver trovato – e scrivo soprattutto di fantasy e avventura. Ho sempre l’animo da Don Chisciotte e lo conserverò sempre!

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