Oggi vi consiglio un libro un pò particolare, un libro passato quasi sotto silenzio, data la campagna mediatica decisamente vergognosa attuata contro l’autore cinque anni fa, per altri motivi.
L’autore in questione è Antonio Ingroia, ex magistrato ed ex candidato alle elezioni nazionali ( con troppa fretta, come ha ammesso lui stesso), e oggi avvocato dell’Ispettorato dell’Agenzia delle entrate della Regione Sicilia.
Antonio Ingroia è stato uno dei magistrati palermitani che ha indagato negli ultimi vent’anni sugli intrecci tra mafia e Stato, sulle presunte trattative tra le due parti, sugli omicidi di mafia degli anni 80, con rigore, passione ed onestà. Creando parecchi fastidi a tutti quelli che vogliono che la verità non si sappia mai. Attorno a lui è stata costruita una tremenda campagna mediatica tesa a isolarlo e a delegittimarlo, e Ingroia, abile a reggere la pressione mafiosa, non ha retto a quella dell’opinione pubblica, che sa essere feroce, e ha preferito percorrere altre strade.
Detto questo, veniamo al libro, che è una straordinaria esperienza umana, prima di tutto: Ingroia è stato l’allievo prediletto di Paolo Borsellino, e testimone oculare di quella stagione nella quale si era intravisto un barlume di una nuova Italia, poi tragicamente spenta. Ingroia ha però portato con sè la passione dei suo maestri, e la voglia di vivere secondo giustizia.
Tutto il libro trasuda di questa passione, di questo impegno civile e professionale, e lo stile accorato, partecipato e sincero quasi fino ad arrivare ad una ingenua limpidezza, trasmette al lettore tutta la vita di un uomo che viveva sotto scorta. Non indietreggiando di un millimetro.
Ma il libro è anche altro. E’ uno straordinario dipinto, che ritrae esseri umani: alcuni ambigui, come gli uomini dello Stato che si sono sporcati con la connivenza mafiosa; altri tremendi, rozzi, e senza scrupoli, come la maggior parte dei mafiosi; altri combattuti tra due mondi contrapposti, come i pentiti ( straordinario è l’episodio del confronto con Tommaso Buscetta); e infine altri, anzi due, che spiccano su tutti gli altri, con il loro esempio di vita che Antonio Ingroia si porta sempre nel cuore: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Ma dei due, Ingroia non fa un ritratto retorico e agiografico; anzi, detesta le giornate commemorative, intrise di triste e ipocrita pomposità; ci racconta della vera natura di quei due uomini così rimpianti, ci trasmette piccoli e grandi episodi, per farci capire che cosa abbiamo perduto, e che cosa dobbiamo portare avanti.
Nel mezzo, una grande chiarezza espositiva, che mostra la lucidità e la bravura nel magistrato, che aveva ( e che ha, benchè abbia cambiato lavoro) la capacità di comprendere molto bene l’attuale situazione nella lotta alla mafia, e tutto il percorso fatto, quello compiuto, e quello da intraprendere ancora.
In modo da non perdersi nel labirinto degli dei, per sempre.
Di Pesaro. Ho trentaquattro anni, vivo e scrivo da precario in un mondo totalmente precario, alla ricerca di una casa dell’anima – che credo di aver trovato – e scrivo soprattutto di fantasy e avventura. Ho sempre l’animo da Don Chisciotte e lo conserverò sempre!