I conti con la storia. Gizzeria agli albori del suo nuovo insediamento umano
Mercoledì 2 agosto 2017, presso Piazza San Pio di Gizzeria, ore 21:00, presentazione del saggio storico “Gizzeria nel 1544” di Camillo Trapuzzano, recital di Domenico D’Agostino – Collettivo Manifest – di alcuni brani dell’opera “I Canti del Milosao “ di Girolamo De Rada.
Scrive così Camillo Trapuzzano:
La probabile fondazione del casale di Gizzeria (Yussariae), località posta sulle alture prospi cienti il Golfo di Sant‟Eufemia, si può far risalire alla dominazione bizantina, cosi come si ricava dal diploma di Roberto il Guiscardo, che, nel 1060, conferiva all‟erigenda abbazia di S. Eufemia i beni del Monastero di San Nicola con i suoi villani della terra „Yussariae‟ «Sanctus Nicolaus Yussariae, cum villanis et omnibus pertinentibus et appendicibus suis, tam terrae quam mari pertinentibus eidem loco concessimus» 1 . Dell’antico insediamento non sono rimaste tracce, ma solo le testimonianze documentali in alcune denominazioni quali „Casale Vecchio‟ o Paragolio‟(antico centro gr. Παλαιοχωρίοη). Poi più nulla. Il casale si spopolò e sicuramente tutti gli abitanti, per cause ancora non conosciute, si dispersero nei borghi vicini. Tutto questo durò fino alla seconda metà del 1400.
Nella rilevazione dei fuochi del 1276 e del 1447, infatti, non esistono elementi che c‟inducono ad affermare che a Gizzeria esistesse qualche forma d‟insediamento . Da questa data, cioè dalla seconda metà del XV secolo, si verifica, tuttavia, un‟inversione di tendenza. Ci sono segni di un ripopolamento del territorio e la documentazione specifica su questa rinascita, da occasionale, come era stata prima, diventa sempre più precisa e dettagliata. Essa viene fornita soprattutto da documenti scritti per esigenze locali: elenco dei fuochi, platee, catasti e atti notarili ecc. A far ripopolare il casale fu quasi certamente l’allora priore di Sant‟Eufemia, fra Fabrizio del Carretto , una delle più influenti personalità politiche nel Regno di Napoli. Obiettivo del priore era quello di bonificare e risanare il territorio, disabitato da secoli, per consentirne lo stanziamento alla popolazione che in quei luoghi, lontani dal mare ed ubicati in anfratti nascosti per chi sbarcava lungo le coste del Tirreno, erano considerati sicuri e molto difendibili dalle scorrerie dei pirati. Il contributo determinante in questa direzione, cioè il ripopolamento, fu dovuto, tuttavia, ad un fattore esterno: il trasferimento nelle terre di „Yussariae‟ di numerosi profughi albanesi, sodali di Gjergj Kastriota Skanderbeg. Provenienti da tutta l’Albania e da varie regioni della Grecia, in particolare dal Peloponneso e dall’Attica, queste popolazioni, durante il XV secolo ed anche successivamente, vennero a rifugiarsi nel regno di Napoli per sottrarsi all‟invasione ottomana della loro patria. Tale circostanza fu, pertanto, decisiva per il futuro del territorio, che da quel momento assunse il nome di Jzaria‟ e le tradizioni culturali e religiose degli albanesi iniziarono ad intrecciarsi con la storia, la cultura e le tradizioni della Calabria. La presenza degli albanesi nel sito dell‟attuale Gizzeria, posta tra i due torrenti „Casale’ e „Mezza Serra’, conferisce al casale una fisionomia sicuramente diversa da quella che era stata fino a quegli anni.
La Collezione C.Trapuzzano della comunità gizzerota resta indeterminata, nel senso che pochi sono i residenti nel territorio e le scarne notizie sull‟antico villaggio si ricavano solo da alcuni atti che contengono, soltanto, un non precisato richiamo ad un precedente insediamento, sorto attorno al monastero bizantino di San Nicola’ in territorio di Yussariae’. Dopo la metà del XVI secolo, secondo la numerazione dei fuochi del 1544, il cui documento integrale è riportato in appendice, viene registrata una popolazione complessiva che ammonta a 75 fuochi. La rilevanza di questo documento consiste nell‟essere una preziosa fonte, perché oltre ai dati di natura demografica, ci relaziona anche su un fenomeno tuttora affatto risolto dalla storiografia calabrese, ossia sul periodo di fondazione dei borghi nuovi in età moderna da parte degli albanesi . Ci fornisce inoltre dati sulla popolazione complessiva e sul numero delle famiglie stanziatesi nella zona. Entrambi questi elementi sono importanti sia per accertare la presunta data di arrivo nel casale, sia, inoltre, per ricavare moltissime informazioni, ricche di capacità descrittive e investigative. Le informazioni che si possono desumere dalla sua analisi si prestano ad alcune riflessioni, in primis quella sulla data di fondazione del casale. Come hanno scritto autorevoli studiosi, i quali inquadrano la rinascita del paese intorno al 1450, conseguentemente all‟ondata di profughi provenienti dall‟Albania, la cosiddetta ondata Reres (sulla quale oggi gli studiosi nutrono alcune perplessità sulla sua effettiva realizzazione), da una attenta lettura del documento rileviamo, viceversa, che i componenti del primo gruppo di famiglie, stanziatosi nel territorio, risultano essere nati nel casale. “Cola Francze di anni 34 – così si legge- è nato in detto casale ove sempre ha abitato‟.
È del tutto presumibile che, se Cola Francze censito nel 1544 e documentato essere nato a Gizzeria attorno al 1510, suo padre sia giunto in Gizzeria verso la fine del XV secolo. Ciò avvalora, maggiormente, che non solo i genitori del Cola Francze, ma anche tutti gli altri genitori dei restanti fuochi vivessero nel casale. Infatti nel documento non si riscontra nessun componente dei fuochi che sia nato prima del 1500. Per suffragare questa nostra deduzione, sempre nel documento citato, si precisa che nel 1544 gran parte degli abitanti erano „Albanesi che hanno abitato da 30 anni in su in lo casale di Jzaria’. I nati a Gizzeria, pertanto, sono compresi in un periodo ben determinato, cioè nel primo ventennio del 1500 e che i genitori, contrariamente a quanto riferito dalle altre fonti storiche, non potevano essere arrivati nel casale negli anni intorno al 1450. Un elemento da prendere in seria considerazione, relativamente a questi primi nuclei, è la loro origine. Così come si deduce dalla lettura del documento, questo esodo può essere definito un‟ emigrazione diretta , derivante sicuramente da determinate località dell‟Albania e tale affermazione si spiega col fatto che tutti i cognomi presenti appartengono all‟etnia arbëreshe. Alcuni di essi, per esempio, i Crapuczano, i Pacera e i Carcze, non sono riscontrabili nelle altre comunità arbëresh della Calabria e della Sicilia. Ancora, nel documento non figura alcuna unità appartenente al ceppo „latino, indigeno o italiano‟, come si preferiva chiamarli allora per necessità di distinzione.
A questo primo gruppo, formato da 12 unità familiari, se ne aggiunse, qualche anno più tardi, un secondo di 53 unità, per cui il casale subì in breve tempo un discreto aumento demografico, toccando una popolazione di circa 245 abitanti (dati rilevati direttamente dal documento), che si andò sempre più ampliandosi in quanto negli anni successivi accolse altri profughi .Se per il primo gruppo, sulla base degli elementi documentari, si può avanzare l‟ ipotesi che provenissero direttamente dall‟Albania, non è dato, invece, sapere da dove arrivasse il secondo gruppo, anche se, è possibile avvalorare l‟idea che si trattò di spostamenti da una comunità arbëreshe all‟altra, o anche da una regione all‟altra, come lascerebbe intendere il nome di donna „Sicilia‟ del secondo gruppo di famiglie che si stabilirono a Gizzeria. Una seconda riflessione, che si può fare ancora, concerne la situazione socio-economica della primaria popolazione di Gizzeria.
Il documento ci informa che fra gli abitanti del casale regnava uno stato di povertà diffusa; il più ricco, si fa per dire, era un certo „Joannello Mase‟ che possedeva „casa, vigna, quattro bovi ed un cavallo’. Se questa era un‟anomalia in un contesto difficile e molto precario, per il restante della popolazione le condizioni erano totalmente diverse. Molti nuclei familiari non possedevano beni e la vita che si conduceva era alquanto misera, in particolare quella delle vedove. È sottolineata anche l‟estrema provvisorietà delle abitazioni, costituite per lo più da capanne o da tuguri. In merito, tuttavia, c‟è da osservare come, in quegli anni, non si evidenziavano forti differenziazioni sociali e che tali condizioni economiche impedivano ogni forma di sviluppo, costringendo gli abitanti a vivere nell‟ignoranza. L‟isolamento geografico, poi, e il linguaggio, incomprensibile per quelli che vivevano nei paesi limitrofi, la diversità del carattere ed il rito religioso (greco-ortodosso), segnarono per lunghi anni l‟esistenza della popolazione di Jzaria. Da questo punto di vista Gizzeria era un‟isola al centro di un territorio che ospitava popolazioni di altre etnie. Una terza ed ultima considerazione riguarda l‟organizzazione civile ed ecclesiastica, nella quale è rispecchiata la tradizione albanese. Il primo sindaco ad essere nominato nel casale fu un certo Luca Greco, mentre il rito religioso era celebrato dal prete Domenico Crapuczano e dal presbiter Nicola Pacera. Pur nella essenzialità descrittiva del nostro testo, si possono, comunque, rilevare due aspetti: uno di carattere politico-culturale, l‟altro di contenuto prettamente religioso, ma entrambi legati a quella cultura arbëresh che ebbe una forte influenza per alcuni secoli nell‟intero territorio del casale, ma che per svariati motivi fu emarginata e poi trascurata o del tutto ignorata nel corso dell‟ Ottocento. Innanzitutto possiamo cogliere implicitamente che l‟incarico di sindaco affidato dagli arbëresh di Gizzeria a Luca Greco, e dal quale dipendeva ogni atto che potesse interessare la vita della comunità, era stato decretato implicitamente sulla base delle norme contenute nel Diritto consuetudinario delle Montagne d’Albania. Anche sui due preti, che officiavano il servizio religioso, gli elementi ivi contenuti ci danno, indirettamente, notizia che in quegli anni il rito praticato era quello greco-bizantino, in quanto i due preti vivevano con le famiglie, cioè erano coniugati regolarmente.
Era quest‟ultima una condizione che il rito latino non prevedeva. Per concludere questa nostra breve disamina, possiamo dire, che, dal contenuto della documentazione del 1544, si evince chiaramente non solo l‟affinità esistente tra la comunità di Gizzeria e quella delle varie comunità arbëresh della Calabria, ma soprattutto il legame, forte, con la Chiesa d’Oriente. Il documento, infine, che noi pubblichiamo e che è stato da me reperito tra le vecchie carte di mio nonno, non scioglie tuttavia i dubbi relativamente alla data di arrivo dei primi profughi nel casale di Jzaria. Il nostro, pertanto, è solo un contributo che ha la finalità di aiutare gli studiosi a recuperare le origini e la formazione dei vari casali arbëresh della Calabria, compreso Gizzeria, anche se nel corso dei secoli ha perduto molti dei caratteri identitari degli Albanesi. Nello stesso tempo il documento ci conferma nell‟ipotesi che la presenza albanese nel feudo di Sant‟Eufemia non può essere retrodatata di molto rispetto a quella che noi siamo in qualche modo riusciti ad evidenziare. E comunque a circoscriverla ad una fase storica che, concretamente, parte dal 1468. Quest‟ultima è una data fondamentale – non dimentichiamo – perché proprio in quest‟anno muore Giorgio Scanderbergh e, peculiarmente, dopo la morte dell‟eroe albanese si verifica una massiccia diaspora. Migliaia di fuggiaschi lasciarono il paese e, sbarcando nelle vicine coste italiane, trovarono rifugio nelle nostre terre.
Valeria D'Agostino è giornalista pubblicista, curiosa del bello, amante della natura e della poesia. Ha contribuito a realizzare il Tip Teatro di Lamezia Terme, già ufficio stampa di Scenari Visibili, blogger sin dagli esordi di Manifest Blog. Ha lavorato per Il Lametino, attualmente corrispondente esterna della Gazzetta del Sud. Nell'ambito della scrittura giornalistica ha prediletto un interesse particolare per le tematiche sociali, quali in primis la sanità e l'ambiente, culturali, e artistiche. Si divide fra Lamezia Terme e Longobardi, costa tirrenica cosentina dove si occupa di turismo e agricoltura biologica. "Un buon modo per dare concretezza al concetto di fuga".