Il senso morale si riassume in queste semplici parole. Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te stesso. Sembrerebbe un’affermazione del tutto scontata e banale, ma in realtà sviscerandola a dovere ne conseguono conseguenze dalle forti implicazioni sostanziali e pratiche. Vorrei spingere innanzitutto su un punto di partenza. Il senso morale si sviluppa facendo rispettare i propri diritti. Nessuno sembra mai preoccuparsi tanto di questo aspetto. Sembrerebbe infatti che la moralità sia un fatto isolato. Bene in realtà è proprio l’opposto. La moralità si definisce sempre in rapporto a qualcosa, che sia idea o persona. Chi si permette di subire un’ingiustizia, mina le fondamenta della propria moralità, della sua condotta futura e persino l’integrità della propria persona. Spiegherò meglio questo concetto più avanti, ma intanto nel frattempo intendo dire che significa divenire immorali, nel momento che si permette di subire un sopruso. Il potere che ha come suo esclusivo fondamento quello di assecondare un proprio interesse sortisce sempre effetto corruttore della volontà altrui. La disciplina come forma di potere che si esercita su se stessi ha a che fare con il senso morale più di qualsiasi altra casa. Nel mezzo ci stanno tante vie intermedie che non possono essere elencate in questo breve studio. In generale chi subisce un sopruso, vale a dire un atto di volontà non giustificato dall’interesse condiviso vede assottigliarsi il proprio senso morale. E perché si chiederà il lettore? Semplicemente per la ragione che una parte più o meno ampia di sé, accetterà come acquisito, che in futuro anch’egli potrà fare la stessa cosa, anche in situazioni diverse, anche a persone diverse. Si creerà infatti un abbassamento del senso morale. Per questo l’uomo morale innanzitutto non deve mai accettare, per buonismo, sottomissione, debolezza, di essere prevaricato in un suo diritto, vale a dire, di non subire ciò che non dovrebbe subire secondo il primo adagio: << Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te stesso>>. In futuro egli non interverrà quando un altro sarà vittima di un sopruso, perché naturalmente se egli stesso lo ha subito, senza fare niente, o senza riuscire a fare niente, perché dovrebbe scandalizzarsi se un altro può subire la sua stessa sorte? Sul fronte individuale invece, avverrà un’altra cosa, egli stesso avendo subito un sopruso, grande o piccolo che sia, si riterrà autorizzato, qualora le condizioni lo permettano, di farlo a sua volta. E qui casca l’asino, l’uomo morale, accettando di essere leso nei suoi diritti, diventa a sua volta immorale, contagiato dal potere illegittimo (che sia statale o privato). Se in una società tutti accettassero di non rivendicare i propri diritti avverrebbe che insieme all’abbattimento della moralità andrebbe in auge il suo esatto opposto, l’immoralità, vale a dire, utilizzare gli altri per i propri fini, utilizzarli come strumenti, e non come cose in sé, ma per sé stessi. A quel punto ciò che terrebbe insieme la società non sarebbe più il senso di giustizia, la democrazia, ma il dispotismo e l’arbitrio. Quindi bye bye secoli e secoli di lotta per i diritti. I diritti non sono qualcosa di acquisito per sempre, ma vanno rigenerati ogni giorno facendoseli rispettare, che è il modo migliore per rispettarli anche in futuro.
In fine una breve postilla. La moralità non è solo giusta come concetto astratto. Ma rafforza la forza dell’azione. Infatti chiunque si creda nel giusto, a meno che non sia un soggetto prevaricatore e narcisista fino al midollo, in fondo in fondo se fa qualcosa che non reputa vada fatto, è combattuto e quindi non riesce a dare tutte la forza necessaria alla propria azione, essendo la volontà divisa. La moralità inoltre può essere un’importante leva qualora manchi altro per agire. Se si reputa infatti di vivere una situazione ingiusta, un senso di giustizia più grande può spingere a reagire. Quindi anche in chiave psicologica la moralità è fondamentale.
Il poeta non è altro che un canale, un medium per l'infinito, che si annulla per fare posto a forze che gli sono immensamente superiori e, per certi versi, persino estranee. D'altra parte chi sono io di fronte al tutto, ma al contempo, cosa sarebbe il tutto senza di me?
Grazie, ottimo spunto di riflessione