Neet o né-né, sono questi i termini più influenti del 2019, ricoperti da statistiche e sondaggi geografici con cui, in maniera assai riduttiva, si tenta di narrare questo presente. Sono i giovani, di età compresa fra i 15 e i 29 anni, che né studiano né lavorano, né cercano qualcosa da fare. Economia e sociologia, che in maniera retroattiva volgono uno sguardo agli studiosi americani, non toccano contenuti.
Un racconto giornalistico che a tutto pensa tranne che al sentimento. Sembra quasi una vetrina. Dei giovani neet che navigano nella solitudine dei social network, vivono la precarietà emotiva di un millennio malato sotto più punti di vista, dormono nella inerzia, non sognano, non si conosce la voce diretta. Stando a queste immagini, il futuro non avrebbe motivo di esistere, non ci si arriva, nessuna possibilità. Un racconto pessimistico, forse utile solo ai click sul web o a titolare pagine di quotidiani nazionali già al collasso.
Il termine neet, oggi, appare completamente svuotato, non è obiettivo, in mancanza di una indagine seria che guardi a più angolazioni. Come vivono i giovani fra i 15 e i 29 anni all’interno della famiglia? Come nella scuola? C’è ancora qualcuno disposto a porre loro qualche domanda? Non hanno più aspirazioni o vocazioni? Cosa li ha condotti a tale condizione irreparabile?
Al di là di stereotipi e al di là di un tempo indecifrabile, in cui i mestieri e carriere non sono più contrassegnati, ci sono giovani che ancora non si sono stancati, che hanno tanta voglia di fare, di imparare, di accrescere il proprio bagaglio personale e culturale, che lavorano per mantenersi agli studi. Ci sono, perché è sempre stato così, giovani che partano, che abbandonano la propria terra d’origine per specializzarsi, per sperimentarsi, e giovani che tornano, che lavorano per ore e ore, che cercano lavoro, che non sempre possono fare il lavoro che sognano e ne fanno un altro. Ci sono giovani che, nonostante i tempi duri, lavorano alle idee e ai progetti, che ancora parlano di quelle cose astratte su cui i nostri padri hanno gettato da molto la spugna, cose come cambiamento, libertà, amore, giustizia.
Torniamo a porre domande. A capire come realmente ci si sente. Una bilancia, quella dell’Italia, in cui non occorre un piatto in aumento. Non dobbiamo raccontare una storia sola, perché il flusso di informazioni è vario, diverso, in continuo mutamento. La realtà è piena di giovani attivi da mattino a sera, che proprio perché disperati si reinventano sempre. Non ci sono, così, né giovani neet che non ce l’hanno fatta, né giovani neet che ce l’hanno fatta.
Valeria D'Agostino è giornalista pubblicista, curiosa del bello, amante della natura e della poesia. Ha contribuito a realizzare il Tip Teatro di Lamezia Terme, già ufficio stampa di Scenari Visibili, blogger sin dagli esordi di Manifest Blog. Ha lavorato per Il Lametino, attualmente corrispondente esterna della Gazzetta del Sud. Nell'ambito della scrittura giornalistica ha prediletto un interesse particolare per le tematiche sociali, quali in primis la sanità e l'ambiente, culturali, e artistiche. Si divide fra Lamezia Terme e Longobardi, costa tirrenica cosentina dove si occupa di turismo e agricoltura biologica. "Un buon modo per dare concretezza al concetto di fuga".