Nel Giardino di Laura mi sento meglio.
Gliel’ho già detto, ma mi andava di ripeterlo in una forma che superasse, magari, il fugace commento poco pensato. È invece riflettendoci con un po’ più di attenzione che mi sento di poterlo affermare. Il Giardino di Laura è una panacea per i miei mali universali, quelli che, è molto probabile, devi farti amici, perché non te ne liberi più. Il merito è tutto di Laura, naturalmente, che senza saperlo mette in pratica quella idea non solo poetica, ma politica e rivoluzionaria insieme, quell’immagine potente che sentii, per esempio, condensata in quattro parole, pesanti come macigni, in uno spettacolo teatrale meraviglioso: «preferirei parlarvi di fiori…» (“MDLSX”, Motus).

Sia chiaro, Laura Cortose, per quanto io possa dire di un’arte così lontana dalle parole (ma poi, quanto?) come la fotografia, ha un occhio eccezionale, in grado di comporre pezzi delicatissimi e potenti allo stesso tempo. E mi pare che questo sia più che notabile tanto nei suoi ritratti quanto nelle vedute, tanto nei dettagli, quanto in soggetti collettivi. Ma, forse, nel Giardino di Laura avviene qualcosa di più. E non voglio fare riferimento a questioni espressamente tecniche che attengono alla composizione. Anzi, da questo punto di vista mi piace non saperne troppo. Una sola volta, mentre osservavo alcune delle sue opere, chiesi a Laura, banalmente, «ma come li fai?». Mi ha risposto in modo semplice, e le cose semplici, per loro stessa natura, ci bastano. È piuttosto dell’atto di raccogliere petali nel vento che mi interessa. Del tendere le mani su una foglia secca e sui fili dell’erba e dell’intrecciarli con non troppa maestria e, anzi, moltissimo rispetto.
Probabilmente, avvengono questa e numerose altre magie nella sua fase creativa, compositiva e in quella realizzativa. E dal canto mio, cioè dal posto di chi vuole concedersi l’ormai tenue ma fondamentale diritto alla meraviglia, non posso far altro che lasciarmi andare nel silenzio, a volte assordante, di quei fiori e di quelle foglie. Ve ne sono alcune, di composizioni, che paiono preghiere nella notte: sono petali, soffioni, steli che illuminano di argento come in un baluginio di stelle. Ve ne sono altre in cui queste sacre tracce della terra prendono vita e danzano, magari spiccando il volo con le loro alette minuscole, magari assumendo forme e sembianze a noi umani più familiari. È in effetti il tornare a meravigliarsi delle cose piccole che torna più e più volte, un qualcosa a cui non siamo più abituati e che, come scrissi altrove, ci ha portato a praticare la meraviglia (come qualsiasi altra attività) quasi esclusivamente al contatto con le forme grandi, quando non giganti e mastodontiche.


Siamo ancora in grado, in definitiva, di meravigliarci per un solo e fragile filo di erba? Ci siamo mai meravigliati del vento che soffia tra le rose e i lillà? Riesce a farlo chi, come me, non ha mai avuto la fortuna di vivere la quotidianità di un fazzoletto di giardino? Altre volte non so cosa mi sarei risposto. Oggi, mentre fuori infuria la tempesta, so che nel Giardino di Laura posso tornare a sentirmi in pace, fosse anche per un poco. Perché ancora oggi, né più né meno, preferirei parlare di fiori, come sempre, quando di fiori non è possibile parlarne.
Quest’anno Laura e il suo Giardino sono ai bellissimi mercatini di Natale in Via Regina Margherita, a Tropea (VV) || @ll_giardino_di_laura
Vive a Lamezia Terme, legge e scrive dove gli capita. A tempo perso si è laureato in Beni Culturali e in Scienze Storiche, a tempo perso gestisce il blog Manifest e a tempo perso è responsabile della Biblioteca Galleggiante dello Spettacolo del TIP Teatro. Di fatto, non ha mai tempo. Ha esordito nel 2023 con il romanzo "Al di là delle dune" (A&B)