Si diventa così fragili alla fine e all’inizio di qualcosa. Iniziano a tremare le mani, l’insicurezza scava le buche nella quotidianità. “Speriamo bene”, usiamo dire. Perché la speranza non la dobbiamo governare, non c’è un limite oltre cui doversi contenere. Sperare, immaginare, sognare. A tutto ciò possiamo evitare di accostarci le fastidiose sensazioni di insicurezza, di irrealtà: loro vivono nel loro mondo, le nostre paure, le nostre conclusioni e i nostri inizi vivono in un altro. Paralleli, non toccandosi mai, comparandosi continuamente. E se sembrano che inizino a somigliarsi, allora ci spaventiamo ancora di più. La paura di rovinare le cose, perderci dentro, ritrovarci nell’altro mondo senza tutto il resto che avevamo immaginato è la definizione migliore che riuscirei a dare della parole “illusione”.

L’illusione, insomma, è l’accavallamento dei nostri due mondi paralleli, uno sopra l’altro, spezzettato, sconclusionato.
Un racconto, una storia vissuta due volte, ma con una sequenza diversa, meno lineare, più indotta dai conflitti propri della realtà contro l’irrealtà, della mente e del corpo, del vero e del fittizio.
Iniziare e finire è il racconto di una storia che vive tutta insieme, piedi delle stesse gambe, forme di un unico disegno, alfa e omega della medesima locuzione verbale. Il resto, invece, l’illusione è un pezzettino di mondo che se ne va in un altro, confondendolo, alterandolo, che non si esaurisce mai. Una scheggia impazzita ed ingestibile che vive nella terra di mezzo tra un inizio e una fine. Sta a noi domarla, con la forza delle nostre fragilità.
Un inizio? Un lieto fine? La magia di un inizio per sempre!