“The Wolf of Wall Street”, una commedia americana

The Wolf of Wall Street è un lungometraggio di 179 minuti, uscito nel 2013 e diretto da Martin Scorsese con attore protagonista Leo Di Caprio. Il film ottenne 5 nomination agli Oscar senza vincere nessuna statuetta.

La storia è ambientata tra gli anni ‘80 e ‘90 e, seppur appare incredibile, è tratta da eventi realmente accaduti. Il lungometraggio inizia con un filmato pubblicitario (interessante la mescolanza degli stili) in cui si elencano le virtù della Stratton Oakmont (stabilità, integrità, orgoglio), una società di intermediazione finanziaria guidata dal broker Jordan Belfort. Il film come dicevamo è un biopic e una commedia nera, tratta dall’autobiografia di Belfort, soprannominato appunto il Lupo di Wall Street, per lo stile aggressivo e spregiudicato che adottava negli affari.

Emerge subito la chiave ironica e satireggiante del film. Nella seconda sequenza è rappresentata una scena alquanto goliardica, in cui un nano viene scagliato contro un enorme bersaglio dai dipendenti della Stratton, in una gara folle diretta dallo stesso Belfort che offre 25.000 dollari al primo <<succhiacazzi>> che sarà in grado di fare centro con il nano.

Belfort, interpretato da un Leonardo Di Caprio in gran forma, sarà l’io narrante della vicenda: «Mi chiamo John Belfort, sono un ex membro della classe media, cresciuto da due ragionieri in un piccolo appartamento del Queens. L’anno in cui ho compiuto 26 anni a capo della mia ditta di brokeraggio, ho guadagnato 49 milioni di dollari. Cavolo con altri 3 sarei arrivato a un milione a settimana…». Stacco e si vede Belfort alla guida della sua bianca Ferrari che sfreccia sulle autostrade di New York con una bella bionda, la seconda moglie, Naomi duchessa di Bay Ridge, che gli pratica sesso orale. Nella successiva sequenza si vede l’enorme proprietà che egli ha a Brooklyn: «Oltre a mia moglie e a due figli perfetti, possiedo una villa, un jet privato, sei macchine, tre cavalli, due case per le vacanze e uno yacht di 52 metri. Gioco d’azzardo come un degenerato, bevo come una spugna, vado a puttane 5-6 volte la settimana. Varie agenzie federali cercano di incriminarmi e adoro le droghe…». Elencando poi le droghe che assume regolarmente: «Prendo il Quaalude 12-15 volte al giorno, l’Adderall per rimanere concentrato, lo Xanas per allentare la tensione, l’erba per rilassarmi, la cocaina per eccitarmi di nuovo e la morfina, perché è fantastica»; Belfort tuttavia ci fa una confessione: «Ma di tutte le droghe del mondo una è in assoluto la mia preferita. Essa ti rende invincibile, capace di salvare il mondo e di sventrare i nemici, non è la cocaina, sono i soldi…I soldi non ti comprano solo una vita migliore, cibo migliore, fiche migliori, ti rendono anche una persona migliore. Potrete essere generosi con la Chiesa e col vostro partito politico o persino salvare l’allocco macchiato…». Risate incontenibili da parte dello spettatore.

Poi c’è un flashback e si vede Belfort a 22 anni appena sposato arrivare a Wall Strett dove lo aspetta un umile lavoro. Egli deve digitare 500 volte al giorno i numeri di ricchi uomini d’affari per metterli in collegamento con il capo, non avendo ancora la possibilità di trattare direttamente le vendite di azioni. Viene comunque preso in simpatia da Mark Hanna, broker già affermato che lo inizia alla vita piena di eccessi, droghe, sesso e alcol che lo avrebbe atteso.

Siamo nel 1987 ma alla L. F. Rothschild, le cose non vanno troppo bene. Proprio nel giorno in cui sarebbe stato promosso come broker, nel c.d. lunedì nero, la società finanziaria per cui lavorava fallisce. Il non ancora “lupo” si trova così nuovamente al punto di partenza. Potrebbe scoraggiarsi o accettare un lavoro molto più umile, ma lui riesce a trasformare la caduta in opportunità. Inizia a lavorare infatti per un call center in cui si vendono azioni spazzatura che offrono però percentuali altissime di guadagno pari al 50%, le penny stock, contro l’1% di ciò che otteneva a Wall Street. Ben presto con stile aggressivo e spregiudicato, non preoccupandosi di vendere titoli senza alcun valore a gente delle classi popolari, si arricchisce in maniera spropositata e decide di mettersi in proprio con il vicino Donnie Azoff, che lo adora, e con altri sbandati piccoli spacciatori/venditori, creando la Stratton Oakmont.

Apparentemente una società rispettabile, essa agisce in maniera del tutto spregiudicata attraverso frodi, riciclaggio ed evasione fiscale. Le cose però vanno benissimo, tant’è che la ditta allarga vertiginosamente il giro d’affari facendo diventare Belfort e soci milionari in brevissimo tempo. Al contempo viene nominato dalla rivista economica Forbes, “The Wolf of Wall Street”. Questo nomignolo, nato come un epiteto spregiativo, in realtà non fa che procurargli ulteriore popolarità, in un vortice di successo, sesso compulsivo ed edonismo sfrenato. Con l’aumentare del successo e del potere cambia anche moglie sostituendo Teresa, con la modella Naomi. Ma un incaricato federale gli sta già alle calcagna. Belfort prova in primo tempo a corrompere l’agente Denham, ricevendolo sul suo yatch e offrendogli in modo non troppo velato un posto di lavoro, soldi e due prostitute. Ma l’agente dopo aver finto di stare al gioco lo incalza, dicendogli che lo metterà dentro. A questo punto Belfort si spaventa davvero e, usando come prestanome la zia di Naomi, espatria in Svizzera venti milioni di dollari.

Il gioco sembrerà andare a buon fine se non fosse che i telefoni dell’abitazione in cui vive sono stati messi sotto sorveglianza. Incastrato dalle intercettazioni sembra la fine per Belfort. Tuttavia gli viene offerto dalla polizia la possibilità di alleggerire considerevolmente la pena da vent’anni a 36 mesi, in caso di collaborazione. Egli non esita a tradire tutti pur di salvarsi, provando a tenere fuori il solo Donnie. Ma il tentativo di depistaggio fallisce, e finisce dentro (seppur con una pena molto ridotta). Intanto la moglie lo lascia, stanca dei continui adulteri del marito. Belfort nondimeno non si abbatte troppo, si disintossica e il film finisce con l’ex broker di successo che tiene conferenze sulle regole del successo. La storia non è finita…

Che cosa dire del capolavoro di Scorsese. É una commedia nera immensa sulla falsa riga di “Quei Bravi Ragazzi” in cui Ray Liotta nei panni di Henry Hill, sembra essere il fratello malavitoso di Belfort. Non a caso i valori di riferimento per i due antieroi americani sono gli stessi: materialismo, consumismo, ostentazione della ricchezza, povertà come disvalore, soldi e potere (che in definitiva sono al vertice del sistema consumistico). Le donne invece negli eventi narrati sono dei semplici corpi, marginalizzate, sono utilizzate da uomini spregiudicati come mezzi di piacere o a mo’ di trofeo. La società americana, non sembra aver risolto il discorso dell’emancipazione femminile, e gli scandali Weinstein e di Hollywood degli ultimi anni sembrano suffragare questa tesi.

In conclusione, Scorsese è un maestro nel tratteggiare una commedia americana, che trova il suo culmine nel finanzcapitalismo di Wall Street, dove la vita perde di significato, dove rovinare la gente per innaffiare il proprio delirio edonistico non conta niente. Dove si può andare avanti solo attraverso le droghe. Dove l’unica cosa che conta è trovarsi dalla parte giusta, perché sennò sei un perdente e non meriti compassione, anche a costo di truffare, rubare, evadere, fare le peggio cose. È chiara quindi la volontà di denuncia di Scorsese, ma il mezzo utilizzato è anche quello dell’ironia e dell’irriverenza, perché il cinema oltre che impegno è anche intrattenimento. E nessuno meglio di un vecchio «lupo» del cinema come Scorsese lo sa.

Il poeta non è altro che un canale, un medium per l'infinito, che si annulla per fare posto a forze che gli sono immensamente superiori e, per certi versi, persino estranee. D'altra parte chi sono io di fronte al tutto, ma al contempo, cosa sarebbe il tutto senza di me?

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