27 Gennaio- Lettera ad uno zio mai conosciuto

Caro E, come stai? Sì, lo so, è un pò difficile che ti possa arrivare questa lettera. Non so dove ti trovi, e non credo che, dovunque tu sia, ci sia campo. Io comunque ci provo.

Magari, se ti arriva, porta i miei saluti a tua sorella, mia nonna, che sarà lì sicuramente con te, a vedere se ancora ti diletti di falegnameria.
Qui ancora abbiamo uno di quei mobili costruiti da te, sai? Eri proprio bravo. Oggi saresti ricercato da parecchi,nel tuo campo, secondo me, ma purtroppo, per uno nato agli inizi del Novecento a Torremaggiore, in Puglia, le opportunità di spostarsi non erano molte.
Eppure tu hai viaggiato, anche se non ne hai mai parlato molto.
Sfido, dico io: ti avevano procurato un biglietto di sola andata per Neuengamme.
Tu lo sai cos’è Neuengamme, non c’è bisogno che te lo dica io;: ma vedi, qui sulla Terra, oggi ricordiamo la Shoah, lo sterminio degli ebrei e più in generale gli omicidi e le torture di massa naziste, e spesso parliamo solo di Auschwitz e Buchenwald.
Eppure i campi, di sterminio e di lavoro, erano tanti, e tu lo sai meglio di me.
Tu eri un soldato italiano. L’Italia si arrese, l’8 settembre del 1943, e tu, come tanti altri, ti trovasti di fronte ad una scelta: dire di sì ai nazisti e alla repubblica fascista di Salò, oppure dire di no. La prima opzione voleva dire rendersi complici di un mucchio di orrori, dire no equivaleva alla prigione nei lager, al lavoro coatto… e forse alla morte.
Tu dicesti no, e finisti a Neuengamme, il lager vicino ad Amburgo.
Non un lager a caso. Era uno dei campi dove venivano rinchiusi i comunisti, e tu lo eri. A Torremaggiore nascondevi in casa i volantini di protesta comunisti, incurante della dittatura fascista, e chissà, forse qualcuno aveva sussurrato alle SS la tua fede politica.
Già, Neuengamme era un campo gestito dalle SS. Un campo enorme che comprendeva più di ottanta sottocampi. Lì vicino c’era una fabbrica di mattoni e tu per due anni hai lavorato lì, sotto lo sguardo delle SS.
Non oso immaginare quello che hai patito. Io non ti ho mai conosciuto- tu te ne sei andato nel 1977- e a mio padre e alle tue figlie non hai mai raccontato molto.
Eri un pugliese silenzioso, e certe cose non sono facili da vivere, quindi figurarsi da raccontare.
C’è il tormento di essere sopravvissuti mentre tanti sono morti. La vergogna per aver assistito a certe scene e per averle vissute sulla propria pelle.
Le umiliazioni subite da parte degli aguzzini. I pigiami a righe. Le nudità al freddo. Le meschinità per sopravvivere.
No, non tutti possono essere testimoni. C’è chi tiene certe cose dentro di sè. A volte, per essere testimoni, il silenzio vale come un libro scritto.
Si diventa la prova vivente che, nonostante tutto, non sono riusciti a distruggere la tua umanità. Che l’odio vissuto e provato non ti ha impedito di amare di nuovo, di formarti una famiglia e di essere un esempio per le tue figlie e per tuo nipote, mio padre, che mi ha trasmesso il tuo ricordo.
Tutto questo è già sufficiente.

Da qualche tempo, però, mi sono messo alla ricerca delle tracce di ciò che hai dovuto provare.
Non hai lasciato niente di scritto, ma io sto comunque cercando di capire cosa fosse Neuengamme, di comprendere cosa puoi aver visto o subito, in che modo te la sei cavata.
So che sei caduto da un tetto e ti sei ferito ad una gamba, ma non l’hai detto a nessuno, perchè essere feriti, in un lager, spesso portava ad essere considerati inutili. L’inutilità voleva dire morte.
Mi immagino le strategie per non far notare la ferita, la paura di essere scoperto, il tormento dei giorni sempre uguali.
E poi… forse ti hanno scoperto, perchè sembra che la tua morte fosse stata prevista.
Era il maggio del 1945.
Chissà cosa hai pensato in quei momenti… poi, all’improvviso, la liberazione, il giorno prima della tua esecuzione.
Il soffio di speranza nel mezzo dell’orrore.
Sei tornato a casa, e hai ripreso la vita di prima.
Non hai parlato di quello che hai visto, se non in minima parte, eppure, la Memoria che promana dalla tua coraggiosa vita è giunta fino a me, e anche se no ti ho mai conosciuto, sento la tua presenza molto vicina.

Quando conosci una vita che ha visto il buco nero dell’Europa, la Memoria rimarrà sempre viva.

Grazie, E.

Di Pesaro. Ho trentaquattro anni, vivo e scrivo da precario in un mondo totalmente precario, alla ricerca di una casa dell’anima – che credo di aver trovato – e scrivo soprattutto di fantasy e avventura. Ho sempre l’animo da Don Chisciotte e lo conserverò sempre!

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