“Resilienza”: la capacità di ricostruire mattone dopo mattone ~

 

“Come stai?” è la domanda più ricorrente nelle interazioni sociali, quella domanda che ci da spunto per iniziare una conversazione; spesso però ci ritroviamo a dare false risposte in quei periodi bui e tristi della nostra vita.
Ma perché lo facciamo?   
Quando abbiamo un male non visibile ad occhio nudo tutto ci crolla addosso e riteniamo ogni possibile aiuto superfluo. Nessuno può aiutarci, di conseguenza più è grande il dolore più superflua ci sembra la mano che ci viene in aiuto.
L’altra notte ragionavo su questo argomento e a seguito di uno dei miei soliti iperbolici ragionamenti giungo ad una riflessione:

..e se in un mondo ipotetico tutti (e sottolineo tutti) stessero bene e fossero felici e soddisfatti, io come mi sentirei?

Pensando e ripensando, ho immaginato determinati individui che sentono il «bisogno di star male».. ed io ovviamente mi sono auto incluso. Perché che gusto c’è ad esser sempre felici senza dover mai rinunciare a qualcosa? Senza dover mai fare dei sacrifici per arrivare a qualcosa? Che gusto c’è ad essere felici quando non puoi cadere, sbagliare? Non impareresti mai a rialzarti da solo. Non realizzeresti mai quanto tu sia realmente forte davanti ad un ostacolo.
Così, per assurdo, in quell’ipotetico mondo fatto di gioia e spensieratezza ho immaginato il grande business dei “Centri Malessere“, dei Centri specializzati nella «cura della felicità».
Voi adesso starete pensando “ah! Quanto autolesionismo!”, fate bene, anche io lo farei. Io però vado un po’ oltre, oltre tutto ciò che è materiale e tutto ciò che è ormai parte della nostra normalità, della nostra routine quotidiana e penso che ogni esperienza, positiva ma soprattutto negativa che sia, ci faccia del bene, ci aiuti a crescere e ci fa sentire realmente vivi.

~ Roberto D’Amico

Attore di teatro, Cantante e Cantautore, Scrittore in versi.

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