Attraverso gli occhi della morte

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi è considerata da molti la poesia migliore di Cesare Pavese; l’autore, ormai prossimo al suicidio, decise di comunicare, in via definitiva, la sua scelta di morire. Questa poesia è l’estremo saluto del poeta, è l’immagine che sta dietro al letterato, è l’uomo Pavese che, ormai sfinito da una vita che non lo ha mai soddisfatto, si arrende e si mostra in tutta la sua debolezza. Cesare Pavese, ormai cerca solo la morte, la “cara speranza” che porrà fine a tutte le sue sofferenze. La morte, infatti, viene vista come speranza, come un modo per liberarsi dalle catene terrene, un idillico per l’uomo Pavese ateo e sempre meno attaccato alla vita. Nella morte c’è dunque speranza ma non solo: la morte è anche l’immagine riflessa dell’amata Constance Downling; il poeta prega affinché il mietitore abbia gli occhi dell’amata che, unica luce nel buio del gorgo, renderanno il trapasso più dolce. Vorrei soffermarmi poi sulla sestina finale: il verso quindici dipinge un rapporto turbolento tra gli uomini e la morte; la morte vizio stuzzica l’essere umano per tutta la vita, è un pensiero costante che però non dona mai il proprio tempo poiché quando arriva, il buio è già calato; ecco perché il verso finale della poesia è “scenderemo nel gorgo muti”, non c’è più niente, solo il silenzio, solo il buio, solo l’uomo e la morte.
La discesa nel gorgo e l’ultima sestina in generale, ricordano un’altra opera di Pavese che eviterò di spoilerare: la Casa In Collina; gli ultimi eventi del romanzo infatti possono essere collegati alla poesia. Non è questo, però, il momento di parlarne.
Si dovrebbe riflettere di più su queste parole. Spesso, mi sono interrogato sul mio rapporto con la morte. Ho sempre trovato davvero brutale quanto questa vita possa essere considerata un paradosso: molti vogliono vivere per sempre e scappano dal mietitore, altri vogliono terminare il proprio battito il prima possibile. La mia posizione sta nel mezzo. In medio stat virtus. Una parte di me vorrebbe vivere più a lungo possibile, fare più cose possibile, leggere tutti i libri del mondo; l’altra parte, molto più razionale, vorrebbe semplicemente arrivare ad una meta soddisfacente e riposare, dormire eternamente nel buio dello spazio-tempo. Queste riflessioni farebbero paura al più impavido degli uomini? La vita eterna porterebbe, inevitabilmente, ad uno stato di perenne noia: come l’etranger di Camus, l’immortale si troverebbe a ed essere spettatore di una vita che non gli appartiene; d’altra parte, il buio eterno significa la fine di tutto e l’uomo non può accettare la propria fine dato che dentro di esso alberga un’anima e l’anima per sua natura dovrebbe essere immortale. Non divaghiamo, però, nella metafisica.
Personalmente, ritengo molto dolce la maniera di Pavese di descrivere la morte: verrà con gli occhi della propria amata. Questo potrei anche accettarlo, potrei anche accettare l’amore come soluzione alla sofferenza. Posso affermare quasi con certezza che, però, gli occhi della morte, seguendo questo ragionamento, non sarebbero gli occhi del partner ma gli occhi di colei che ci ha portato al mondo. Solo l’amore di una madre potrebbe avere ta cinta forza da superare lo spazio-tempo e palesarsi davanti a noi per accompagnarci nel nostro ultimo viaggio allo stesso modo di come ci ha accompagnato verso i primi passi. Mi viene in mente la canzone di Battiato, La cura. Egli ha spiegato mille volte meglio di me quanto forte sia l’amore di una madre per il proprio figlio.
Non ho molto altro da aggiungere: vorrei semplicemente salutare Cesare Pavese che per me è un maestro. Ricordo ancora la prima volta che lessi La Casa in collina: fui subito catturato da quelle parole malinconiche e da quell’animo gentile che si vedeva tra le righe. Mi chiedo quanto pesante possa essere stato il suo fardello. Spero che ora possa riposare in pace e che sappia che il suo ricordo permarrà sempre tra l’inchiostro sbattuto su un foglio di un aspirante scrittore.
Cari lettori, vi lascio con la famosa poesia che abbiamo trattato oggi:


Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi

saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.

Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

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