Le donne della Terra di Mezzo:sentinelle del cambiamento

Uno degli aspetti meno compresi delle opere di Tolkien è quello relativo alle figure femminili presenti nelle sue opere.

Per molti, moltissimi anni, si è sostenuto che le sue storie mostrassero una concezione arretrata della donna: secondo molti detrattori, famosi o meno, le donne praticamente nelle sue opere “non esistono”, e il rapporto che gli uomini hanno con esse si situerebbe praticamente “a livello adolescenziale”. Oppure sono viste come sottomesse all’uomo, o elevate solo in vista dell’amore romantico, in quanto oggetto del desiderio.

Ecco, credo, a buon vedere, che tutto questo sia una clamorosa svista, causata da una scarsa o inesistente lettura, nel migliore dei casi; o una voluta distorsione della realtà delle cose, in malafede, a volte suffragata anche da convinti ammiratori di Tolkien, che rifacendosi alle sue lettere tentano di trovare tracce di questa insoddisfacente concezione delle donne là dentro. Errore anche questo, perchè quella lettere sono una pericolosa fonte informativa: spesso si tende a confondere la biografia con l’arte, e questo non è corretto a mio avviso: spesso, l’arte esula dalla vita dello scrittore, gli sfugge di mano.

Ma veniamo a noi. Io, al contrario, ritengo che nelle opere di Tolkien, le donne abbiano un ruolo centrale, importantissimo, e che l’amore non sia per nulla a livello adolescenziale.

Accenno per un attimo all’ultimo punto: si tende a dimenticare come molte sue storie d’amore nascano nel bel mezzo di guerre il cui esito è confuso e nebuloso, e spesso, nella vita reale, l’amore sboccia molto più rapidamente, in situazioni del genere. La storia di Eowyn e Faramir è emblematica in questo: la morte e la rovina sembrano prossime, quindi perchè esitare, se due dolori si sono improvvisamente avvicinati?

Inoltre, lo stile di Tolkien, in quanto nato dall’epica, tende spesso a “lasciare fuori dalla porta” i curiosi alla Game of Thrones: l’amore descritto nei minimi particolari non è cosa da saghe e ballate, e non lo è nemmeno l’amore romantico e irrazionale, fatto di schermaglie poco reali, nato dai romanzi arturiani, che Tolkien detestava cordialmente.

No, le sue donne sono molto reali e presenti, e anzi, a mio avviso, è da loro che parte il cambiamento del mondo, ogni volta che si verifica nella Terra di Mezzo. Sono delle vere e proprie sentinelle del cambiamento.

Un chiaro esempio si trova nell’Appendice A del Signore degli Anelli, quando leggiamo l’intera storia di Aragorn ed Arwen:è la nonna di Aragorn, Iworwen, che sblocca il matrimonio dei genitori di Aragorn, perchè intuisce che il mondo sta cambiando e che quel matrimonio può essere motore del cambiamento:

“A convincere Dírhael fu sua moglie Ivorwen che era sicura che con il matrimonio tra sua figlia a Arathorn, tra i Dúnedain sarebbe tornata la speranza:
“A maggior ragione bisogna dunque far presto! I giorni si fanno bui prima della tempesta, e stanno per accadere grandi cose. Se questi due si sposano subito, può esservi speranza per la nostra gente, ma se tardano la speranza svanirà per sempre fino alla fine di quest’era”

Iworwen capisce molto bene come andranno le cose; così come Idril, che, nella Prima Era, comprende come i giorni di Gondolin non saranno eterni, e, in Racconti Perduti, è lei a convincere Tuor a costruire un tunnel per una eventuale fuga, e prende l’iniziativa di seguire lei stessa i lavori; inoltre, nel Silmarillion, è forse l’unica a diffidare dal principio di sui cugino Maeglin:”Perché, fin dai suoi primi giorni in Gondolin, Maeglin si portava dentro una pena sempre più profonda che lo orbava di ogni gioia: amava la bellezza di Idril e la desiderava, ma senza speranza. Gli Eldar non contraevano matrimonio con parenti tanto prossimi, né mai nessuno aveva desiderato di farlo. E, anche se così fosse stato, Idril non amava affatto Maeglin; e, sapendo come la pensava nei suoi confronti, tanto meno lo amava. Le sembrava infatti che in lui fosse qualcosa di strano e contorto, come del resto sempre poi parve agli Eldar: un frutto attossicato del Fratricidio, siffatto per cui l’ombra della maledizione di Mandos aduggiava le estreme speranze dei Noldor”.

Idril aveva visto Maeglin non dispiaciuto dalla morte del padre: “ma Idril ne fu turbata, e da quel giorno diffidò di suo cugino”.

E chi, se non Luthien, è sentinella del cambiamento? E’ lei ad accorgersi di Beren, a difenderlo per prima nel palazzo ostile di suo padre, lei a scegliere di seguirlo nella sua impresa, e non come amante fedele e sottomessa, ma come protagonista in prima persona: la sua “magica” danza dinnanzi al trono di Morgoth, in aperta sfida al più terribile dei nemici, rimane una delle scene più belle e potenti descritte da Tolkien.

La sua stessa scelta di abbandonare gli Elfi e di abbracciare una vita mortale è il motore del cambiamento del mondo: è da questa scelta che Uomini ed Elfi conserveranno per sempre un legame, e non si estranieranno mai del tutto. E così farà Arwen, la cui scelta è forse anche più coraggiosa e potente, perchè avviene nell’epoca del tramonto degli Elfi della Terra di Mezzo.

Ma le donne non portano solo un cambiamento positivo. Sono anche agenti del “negativo”, con le loro scelte,a dimostrazione del fatto che Tolkien non crea affatto delle figurine o delle macchiette, ma dei personaggi reali e credibili.

Basti pensare a Aredhel di Gondolin, che con la sua inquietudine e ostinazione, provocherà la rovina di Gondolin, addirittura con il concepimento del suo stesso figlio, Maeglin, il traditore della sua gente:

“Aredhel s’annoiava nella chiusa città di Gondolin, e a mano a mano che il tempo passava sempre più desiderava tornare a cavalcare per ampie terre e aggirarsi per le foreste, com’era stato suo costume in Valinor; e quando furono trascorsi duecent’anni dacché era stata completata la costruzione di Gondolin, parlò con Turgon e gli chiese licenza di andarsene. Turgon era restio a concedergliela, e a lungo gliela negò; alla fine, però, cedette col dire: «Vattene dunque, se proprio vuoi, benché io non lo approvi e preveda che ne verrà male sia a te che a me”.

Parole profetiche, le sue.

Anche Morwen e Nienor, madre e sorella di Tùrin, sono sentinelle di un cambiamento, che in questo caso porta rovina, perchè con la loro ostinazione contribuiscono al destino , già decisamente compromesso dalla sua ostinazione e dal suo orgoglio, di Tùrin: la loro scelta di abbandonare la reggia di Thingol per andare in cerca dell’uomo della loro famiglia porterà l’inganno di Glaurung e alla dispersione di una Nienor confusa e senza memoria tra le braccia di Tùrin, che non avendola mai vista, se ne innamorerà, con le conseguenze che poi verranno.

Per concludere, vorrei confutare l’affermazione secondo cui nella Terra di Mezzo le donne sono sottomesse anche nel loro stesso pensiero.

Ci sono due donne che portano avanti una rivendicazione di orgoglio femminile, in una situazione ambientale di certo non favorevole.

Una è Erendis, che in Racconti Incompiuti, sfodera alla figlia Ancalime un vero e proprio manuale di “guerra agli uomini”, con un discorso straordinario, disperato e terribile:

“È stata loro concessa una lunga vita, ciò che li trae in inganno, ed essi si gingillano nel mondo, mentalmente bambini, finché l’età non li sorprende, e allora molti abbandonano i giochi fuori dall’uscio solo per dedicarsi al gioco in casa loro. Trasformano in gioco questioni di grande momento, e questioni di grande momento in gioco. Vorrebbero essere artigiani e maestri di saggezza ed eroi tutto insieme; e per loro le donne non sono che un fuoco nel caminetto, di cui debbono occuparsi altri, finché loro non siano stanchi, la sera, di giocare. Tutte le cose sono state fatte a loro beneficio: le colline servono per cavarne pietre, i fiumi per fornire acqua o muovere ruote, gli alberi per ricavarne tavole, le donne per i loro bisogni fisici o, se belle, per adornarne tavola e focolare; e i bambini per vezzeggiarli quando non ci sia di meglio da fare, ma altrettanto volentieri giocano con i cuccioli dei loro cani. Con tutti sono garbati e gentili, allegri come allodole al mattino (sempreché il sole splenda); perché mai sono in collera se possono farne a meno. Gli uomini, pensano, dovrebbero essere sempre gai, generosi come i ricchi, e dar via ciò di cui non hanno bisogno. Sono in preda alla collera soltanto quando si rendono conto, all’improvviso, che nel mondo sono anche altre volontà oltre alla loro. E allora, se qualcuno osa opporsi loro, sono spietati come il vento di mare. Così stanno le cose, Ancalimë, e noi non possiamo mutarle. Sono stati infatti gli uomini a plasmare Númenor: uomini, quegli eroi dei tempi antichi di cui cantano, e assai meno ci vien detto delle loro donne, a parte che piangevano quando gli uomini venivano uccisi. Númenor avrebbe dovuto essere un luogo di riposo dopo la guerra. Ma se si stancano del riposo e dei giochi della pace, eccoli subito tornare al loro grande gioco, il massacro e la guerra. Così stanno le cose, e noi ci troviamo qui tra loro. Ma non è necessario il nostro assenso. Se anche noi amiamo Númenor, ebbene, godiamocela prima che loro la mandino in rovina. Anche noi siamo figlie dei grandi, e neppure a noi mancano volontà e coraggio. E dunque non piegarti, Ancalimë. Una volta che ti sia piegata anche di poco, loro ti piegheranno ancora, fino a schiacciarti del tutto. Sprofonda le tue radici nella roccia e resisti al vento, anche se fa volar via tutte le tue foglie”.

L’altra donna che sfodera questo “orgoglio” ( del tutto giustificato, direi) è naturalmente Eowyn che , quando Aragorn, per convincerla a non partire con loro le dice “il tuo dovere è con il tuo popolo“, replica: «Troppo spesso ho udito parlare di dovere», ella gridò. «Ma non sono forse della Casa di Eorl, una guerriera e non una balia asciutta? Ho atteso ormai troppo tempo su piedi malfermi. Poiché adesso pare che non lo siano più, perché non impiegare la mia vita come voglio?»
«Pochi vi riescono con onore», egli rispose. «Ma quanto a te, signora: non hai forse accettato l’incarico di governare il tuo popolo in attesa che ritorni il suo sovrano? Se non avessero scelto te, qualche maresciallo o qualche capitano sarebbe ora al tuo posto, e ora non potrebbe certo abbandonare l’incarico, per impaziente che fosse».
«Sceglieranno sempre me?», ella replicò amaramente. «Rimarrò dunque sempre a casa mentre i Cavalieri partono, a badare alle faccende domestiche mentre essi conquistano la gloria, per poi trovare cibo e giacigli al loro ritorno?».
«Presto nessuno di loro farò più ritorno», egli rispose. «Allora vi sarà bisogno di valore senza gloria, perché nessuno ricorderà le ultime imprese compiute in difesa delle vostre dimore. Eppure, anche se non lodate, saranno imprese altrettanto valorose».
Ma Eowyn rispose: «Tutte le tue parole significano soltanto:”Sei una donna e il tuo compito è la casa. Ma quando gli uomini saranno morti in battaglia con onore, tu avrai il permesso di bruciare insieme con la casa, perché ormai gli uomini non ne avranno più bisogno”. Ma io sono della Casa di Eorl, e non una serva. So cavalcare e maneggiare le armi, e non temo né il dolore né la morte».
«Che cosa temi dunque, signora?», egli domandò.
«Una gabbia», ella rispose. « Rimanere chiusa dietro le sbarre finché il tempo e l’età ne avranno fatto un’abitudine, e ogni possibilità di compiere grandi azioni sarà per sempre scomparsa».

Un vero, grande, urlo liberatorio: io sono una donna, e non un oggetto.

Ecco, se questo è il Tolkien maschilista….

Di Pesaro. Ho trentaquattro anni, vivo e scrivo da precario in un mondo totalmente precario, alla ricerca di una casa dell’anima – che credo di aver trovato – e scrivo soprattutto di fantasy e avventura. Ho sempre l’animo da Don Chisciotte e lo conserverò sempre!

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