Due anni fa- ormai tre- uscì al cinema il film “La mafia uccide solo d’estate”, di PIF, ovvero Pierfrancesco Diliberto, che rivelò al mondo il talento e la bravura di un attore e regista, capace di raccontare quella parte della storia d’Italia- il legame tra lo Stato, la vita di tutti i giorni e la mafia- come nessuno aveva mai avuto il coraggio di fare. Con un sorriso amaro sulle labbra, dove grandi eventi e piccole storie personali si incontravano. Un risultato sublime, che sembrava impossibile da ripetere.
Da due mesi è iniziata, e da ieri conclusa, la prima stagione delle versione per la Tv, in forma di serie televisiva da 12 puntate.
E incredibilmente, il risultato è stato ancora più bello: PIF riesce a raccontarci ancora meglio il tremendo meccanismo che permette alla mafia di essere “credibile” per molte persone: quel tremendo intreccio di bisogni, favori, contraccambi e avvertimenti che costituisce la base di un potere ramificato che lega e imprigiona, e dal quale ci vuole una grande forza di volontà sia per uscirne che per rifiutarlo dal principio.
Al centro c’è la famiglia del piccolo Salvatore Giammarresi e di suo padre Lorenzo, che vivono nella Palermo di fine anni Settanta: siamo nel 1979, e i due all’inizio e alla fine, sono testimoni dell’uccisione di due importanti uomini in lotta contro la mafia, tra cui l’ispettore Boris Giuliano. Dovranno decidere come comportarsi: chiudere gli occhi o dire la verità? Fare domande, come fa sempre Salvatore, fino all’ossessione, nel tentativo di capire il perchè del mondo e della mafia, o farsi avvolgere dalla paura, come Lorenzo, che vive un tormento interiore, in quanto uomo onesto ma per nulla impavido?
Questo filo di domande lega insieme tutte le puntate, dove vediamo la vita di tutti i giorni, con i piccoli e i grandi problemi di ognuno, sempre però legati al grande Problema: è possibile fare qualcosa, a Palermo, nel 1979, senza dover per forza passare per le veloci e sbrigative vie che usa la mafia?
Il risultato è a dir poco eccezionale: Pif,aiutato da un cast incredibile tra cui Claudio Gioè nei panni di Lorenzo e il piccolo Edoardo Buscetta nei panni di Salvatore, riesce a trasmetterci l’anima e il cuore della Sicilia, riuscendo a parlare della storia d’Italia come solo lui ormai sa fare, con quel tono tutto caratteristico tra il malinconico e il comico, commuovendoci fino alle lacrime o facendoci ridere fino all’esaurimento.
Una menzione particolare per Francesco Scianna, nei panni di Massimo, zio di Lorenzo, personaggio farfallone e combattuto tra le sue simpatie mafiose e la sua incapacità di diventare un assassino, che ci farà palpitare in un’ultima memorabile puntata, e Nicola Rignanese, nei panni di Boris Giuliano, che tra un’indagine e l’altra, diventerà anche una specie di “consigliere sentimentale” di Salvatore. La sua inevitabile e tragica morte colpisce al cuore, e permette di non dimenticare mai quest’uomo che ha dato la vita per una società più giusta.
Il merito di PIF è anche quello di ritrarre i mafiosi come vere e proprie caricature, mostrando come la loro pomposità e il loro “onore” strida con le loro azioni: Maurizio Marchetti e Orio Scaduto, in particolare, nel ruolo dei cugini Salvo, sono molto efficaci nel trasmettere questo decisivo particolare.
Una serie capolavoro, assolutamente da vedere, e non voglio svelarvi altri particolari, perchè è tutta da scoprire!
Arrivederci alla seconda stagione!
Di Pesaro. Ho trentaquattro anni, vivo e scrivo da precario in un mondo totalmente precario, alla ricerca di una casa dell’anima – che credo di aver trovato – e scrivo soprattutto di fantasy e avventura. Ho sempre l’animo da Don Chisciotte e lo conserverò sempre!