Il diritto e la giustizia ne Il Piccolo Principe

Durante una lezione universitaria un professore, di fronte all’osticità di un argomento, con stupore degli studenti ha fatto ricorso ad un passo del Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupèry per spiegare un concetto giuridico.

Quando il Piccolo Principe parte dal suo pianeta (capitolo X) giunge su una stella abitata da un Re. Il Re possiede tutte le stelle e tiene a precisare di avere anche il potere di governare su di esse. Il Piccolo Principe, amante dei tramonti e speranzoso di poterne vedere molti grazie ai comandi che il Re può dare alle stelle, chiede al monarca universale se potesse ordinare al Sole di tramontare: “Vorrei tanto vedere un tramonto… Fatemi questo piacere… Ordinate al sole di tramontare…
Il Re risponde:” Se ordinassi a un generale di volare da un fiore all’altro come una farfalla, o di scrivere una tragedia, o di trasformarsi in un uccello marino; e se il generale non eseguisse l’ordine ricevuto, chi avrebbe torto, lui o io?
L’avreste voi“, disse con fermezza il Piccolo Principe.
Esatto. Bisogna esigere da ciascuno quello che ciascuno può dare“, continuò il re.
L’autorità riposa, prima di tutto, sulla ragione. Se tu ordini al tuo popolo di andare a gettarsi in mare, farà la rivoluzione. Ho il diritto di esigere l’ubbidienza finché i miei ordini siano ragionevoli”.

La ragionevolezza del comando induce allora ad una riflessione più attenta:  che differenza c’è tra un comando arbitrario ed uno “ragionevole”? Dire che un comando sia ragionevole significa affermare che quello stesso comando sia valutato come condivisibile, accettabile e giusto sia da chi pone il comando e sia da chi è tenuto a seguirlo, mentre arbitrario è l’ordine che non tiene in conto le altrui aspettative e i possibili diversi interessi. Con apparente semplicità viene scolpito il concetto, tutt’altro che scontato, che  “l’autorità riposa sulla ragione” e che si ha” il diritto di esigere l’ubbidienza finché i miei ordini siano ragionevoli”. Il comando, per essere “ragionevole”, implica che a monte vi sia un percorso dialettico tra due opposti per giungere ad una soluzione di compromesso. Tale procedimento “riposa sulla ragione”. Ciò significa che il prodotto finale non assume valore di verità assoluta, di certezza innegabile, di legge eterna, ma, al contrario, dimostra la relatività delle possibili scelte. Tuttavia questa relatività non si fonda sull’assenza di regole, ma “riposa sulla ragione”. La ragione consente di discernere i diversi aspetti di una situazione e, paragonandoli tra loro, di smussare le contrapposizioni per ricercare una soluzione il più possibile comune.

Il giusto è allora ciò che tiene conto di entrambe le prospettive e procede ad una sintesi tra valori diversi al fine di comporre un potenziale conflitto.
La ragionevolezza che il Re richiama, intesa come limite e garanzia dell’autorità, è quindi l’espressione della Giustizia. Ed è proprio la giustezza del comando che consente di evitare che “il popolo[…] farà la rivoluzione.”

Con questo semplice passo si vuol mettere in luce come non ci si deve mai accontentare di soluzioni preconfezionate all’apparenza immutabili. Se è vero che in prima battuta l’impostazione dialettica sembri far venir meno esigenze di certezza, in quanto tutto potrebbe apparire relativo, è, all’opposto, la guida della ragione che assicura un risultato condiviso ed il più possibile equo. Pur potendo il risultato di volta in volta mutare, non muta, invece, la garanzia di giustizia data dal metodo per giungere a quel risultato: “l’autorità riposa sulla ragione”.

Sono nato dall'increspatura dell'onda. Non ho deciso io il mio destino, ma il mare che tutto sospinge e muove. - Tu navigherai - mi disse un giorno. E così sono alla ricerca di Itaca. Ho un cuore mediterraneo, crocevia di emozioni e incoerenze, come i molti popoli di questo mare. Ma come posso dire con certezza chi sono?

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