Ci son giorni nei quali ti senti più ‘calabrese’ del solito, un tale sentimento che diviene collettivo grazie alla condivisione di tanti altri individui che popolano questa terra e che, probabilmente, ciascuno starà sentendo in modo diverso. In un giorno come quello appena concluso, io mi sento fortemente calabrese e orgogliosa di esserlo. Di ritorno dal sabato santo di Nocera Terinese dove ancora il tempo non arresta la tradizione, e il rito dei vattienti tiene uniti persone, cose, emozioni, sacrifici e voti alla Madonna.
Di ritorno da un rito che rincorrevo da circa tre anni senza riuscire mai a raggiungerlo. Ma oggi di nuovo c’è che ero lì insieme ai miei compagni di viaggio. Son bastati davvero pochi minuti per ambientarmi tra vattienti che si battono, e tra i loro colori, il nero abbigliamento del vattiente e il rosso dell’ecce homo con la sua croce, tra la spettacolarizzazione che non scade mai in folclore, tra il clamore che non ha mai il sapore dell’esibizionismo, come molti dicono, tra riflessioni profonde, dualismi, e amicizie nate al momento seguite da un affetto improvviso. Di Nocera Terinese ricordavo la strada principale all’entrata del paese e la scuola, nei miei anni d’infanzia e poi d’adolescenza quando spesso mi son trovata a seguire mamma a lavoro. Un’altra immagine sbiadita mi rimanda invece alle tre fontane poco prima di raggiungere il paese, con mia nonna in macchina. Ero piccola, e mi sembra di ricordare la voce di mamma mista tra tensione e paura, nel traffico, nelle zone della processione. Dicono che questo rito sia cruento, non visto bene dalla Chiesa, pare che negli anni 50′ fu addirittura inserito in un famoso documentario come mostruosità accanto ad altre mostruosità, tra le più varie. Parecchie volte oggetto di strumentalizzazione, attorno ad un tavolo, mentre mi invitano a mangiare e bere pizza rustica, pastiera, e mirto, un ragazzo sui 30 anni dolorante e fresco di flagellazione mi racconta come ancora oggi la Chiesa sia fortemente ostile. Un rito che racchiude in se tanta bellezza, non c’è che dire, e una fede particolare, certamente immensa. Diversa, forse. Un rito che continua ad esistere, dunque, grazie allo spirito e alla testardaggine del popolo che lo tramanda di generazione in generazione, tra un voto ai defunti o ai vivi ammalati, tra l’entusiasmo inaspettato dei piccolissimi ecce homo nei loro 8-9-10 anni d’età, nei loro piedini scalzi che camminano a passo lento o veloce tra i vicoli macchiati di sangue.Lì il venerdì e il sabato santo hanno il sangue come fedele amico, un atto di fede o di resistenza, un atto di dolore che al solo guardarlo porta a pensare al dolore del mondo, una tradizione intensa, che si ostina ad oscillare tra passato e presente e fermandosi qui, nel presente, diventa più che mai attuale. Rappresentazione dell’identità dell’emigrato dell’Argentina o dell’Australia che ritorna nel proprio paese d’origine, rappresentazione della sofferenza dell’Europa d’oggi, e dell’impotenza di noi osservatori. Si capisce che un rito del genere ha in sé una testimonianza importante, che ha il sapore antico dell’appartenenza e della tradizione radicata, e che si riconosce in un gesto nel territorio di questo paese. Ma è anche testimonianza di un evoluzione che si plasma ai mutamenti, è testimonianza di un passato che non passa o per meglio dire di un passato presente, perché è stato catturato così bene da poter essere massaggiato e trasmesso al presente, rielaborato tante altre volte ancora. Dopo la vita c’è la morte, ma dopo la morte c’è ancora la vita. Perché questo mi hanno trasmesso oggi nel profondo i vattienti di Nocera Terinese. Due facce della stessa medaglia. Ma attraverso l’accoglienza di questo paese, delle loro case preparate a festa con dolci tradizionali, delle persone conosciute soltanto oggi, come Martina e la sua famiglia, che invitano a pranzo e a sedere con loro a tavola, sembra che l’amore vinca proprio su ogni cosa, anche sulla morte. Ritorno oggi da Nocera Terinese felice di credere ancora una volta, e ad avere ancora tanta speranza in questo, all’uomo che comunica con l’altro e non si stanca mai di farlo.
Valeria D'Agostino è giornalista pubblicista, curiosa del bello, amante della natura e della poesia. Ha contribuito a realizzare il Tip Teatro di Lamezia Terme, già ufficio stampa di Scenari Visibili, blogger sin dagli esordi di Manifest Blog. Ha lavorato per Il Lametino, attualmente corrispondente esterna della Gazzetta del Sud. Nell'ambito della scrittura giornalistica ha prediletto un interesse particolare per le tematiche sociali, quali in primis la sanità e l'ambiente, culturali, e artistiche. Si divide fra Lamezia Terme e Longobardi, costa tirrenica cosentina dove si occupa di turismo e agricoltura biologica. "Un buon modo per dare concretezza al concetto di fuga".