Penso sia importante, quando si vive in un paese (o in una città che ha ancora l’aria di un paese), gironzolare per i vicoli, assaporare gli odori per scoprire quelle che sono strade antiche. Usanze e tradizioni sono come acqua nel mio cammino; ho guidato i miei passi lungo questa via che mi ha indotta anche a scegliere il mio percorso accademico, procedendo verso quelli che sono studi antropologici/etnologici e sociologici. Questo mi ha portata ad essere curiosa, a non stancarmi mai di ciò che ho attorno; mi ha indirizzata verso la strada della ricerca perpetua e, soprattutto, dell’essere parte attiva della società.
Inizio con il riferirvi che, diversi anni fa, durante il periodo pasquale, mi trovavo di passaggio per via Conforti e procedevo spedita verso la fontana Piedichiusa (Piducchiusa), quando il mio sguardo è stato colpito da quello che pareva essere un grosso filo di corda legato ai vertici di due balconi dirimpettai, su questo erano appesi diversi ninnoli e fantocci dei quali non riuscivo a spiegarmi la natura. Per diverso tempo quegli oggetti così strani, che parevano quasi magici, stregoneschi, venivano spostati e mutavano a seconda dei giorni. Ho sempre avuto una grossa curiosità a riguardo e, dopo aver parlato con mia madre (che sembra quasi una comare del villaggio, pur essendo abbastanza giovane) sono riuscita ad avere contatti con la signora anziana (la quale mi ha gentilmente ospitata nella sua dimora) che porta avanti, da sempre, quella che viene a manifestarsi come una tradizione, un “rituale” (ricordando che, in linee generali “il rituale è un termine generico con cui si intendono comportamenti caratterizzati da standardizzazione, formalità, regolarità delle azioni. Usato in genere com sinonimo di “rito”, il termine ha un’accezione più ampia e può venire impiegato anche in senso metaforico e analogico. Si parla di comportamento rituale anche in semplici occasioni in cui la tradizione prescrive una certa formalità.” cit.*), eseguito durante il periodo pasquale, più specificatamente durante la Quaresima.
Ed è proprio qui che rinveniamo la chiave del “mistero”. Questi fantocci ed oggetti vengono posti sulla corda dopo Martedì Grasso, quindi durante il Mercoledì delle Ceneri, ed hanno la funzione di scandire il tempo: un rudimentale calendario della Quaresima stessa.
Il primo posto è occupato da un limone, che può essere sostituito anche da un’arancia (o portugallu) dentro il quale vengono inserite sette penne di gallina, bianche, a sezione circolare. Sette, ad indicare le sette settimane della Quaresima; ogni domenica una delle piume viene sfilata dal suo foro, e la corda viene spostata avanti di un metro, fino alla domenica di Pasqua.
Il limone indica quindi il tempo.
Passiamo al secondo oggetto, che è un fantoccio, una bambola vestita da pacchiana. E’ quella che mi ha sempre spaventata, ed al contempo, stregata maggiormente. Questa bambola è Quaresima (Quarjisima), la moglie di Re Carnevale (Carnilivari o Cornalivari) che, morto il Martedì Grasso, lascerà la sua sposa in lutto (vi ricordo che diversi anni fa era d’usanza portare Carnilivari quasi in processione; veniva creato un fantoccio a misura d’uomo e trasportato per la città con, ad esempio, salsicce poste attorno al suo collo). La donna in lutto – così come la pacchiana-fantoccio (con vestito, gunnella, pannu e tutto il resto) – deve rimanere nella sua dimora per circa un mese. In questo periodo la donna dovrà fare quel che è socialmente ritenuto rispettabile: lavorare la lana e vestire di nero. Proprio per questa ragione vedremo che il terzo posto sarà occupato da quella che è una rocca, con avvolta la lana, ed il fuso.
Gli ultimi due oggetti sono, all’effettivo, un monito da seguire. I posti sono occupati da due pesci: un’aringa ed una sardina, a ricordare che durante la Quaresima non si deve mangiare carne.
Ed è da qui che prendono vita taluni proverbi, volti a ricordare anche le diverse limitazioni dovute al periodo quaresimale (pensiamo anche al legame che la quaresima aveva con la castità). Ne ricordo uno legato proprio al ridurre il consumo di carne, o comunque di piatti abbondanti od elaborati.
Nisci tu mussu cundutu
Trasu iu sarda salata[Vai fuori tu, bocca unta, grassa
Entro io: sarda salata]
Potremmo trovare una vasta serie di significati a livello etnografico, che non siano solo manifesti. Oggi però mi sono limitata semplicemente a dare voce ad una tradizione quasi fantasma, a farvi conoscere quella che è un’usanza che sta svanendo, una di quelle che rivestono un ruolo cruciale nel cadenzare il nostro tempo vitale… Si sopravvive come in quaresima: attendono noi giorni di penitenza, di lamento, di disperazione e morte, per arrivare, finalmente, alla resurrezione, alla rinascita del corpo depurato dai mali e dal dolore, alla ri-creazione di una nuova anima.
Franz
*La citazione riguardo la definizione di rituale qui presente è stata estrapolata dalle lezioni di Sociologia Generale da me seguite nel Corso di Laurea specifico.
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