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La ricerca umanistica e la pandemia: le biblioteche sono i nostri laboratori

Condividiamo integralmente il commento dell’amica Maria Naccarato (filologa) in merito ai disagi ai quali sono costretti tanti studiosi e ricercatori (ma anche semplici studenti) in tempi di Coronavirus. Consapevoli che non si tratta certo del problema più scottante nelle ultime settimane, ma… e se anche questo fosse un problema?

La retorica su cultura e istruzione (che tanto appassiona e impegna il nostro Bel Paese) ha portato alla riapertura delle librerie in pieno lockdown, precisamente dal 20 aprile 2020. Già allora mi dichiarai contraria a questa decisione, per molteplici ragioni; non è ben chiaro a quale tipo di pubblico si stesse cercando di andare incontro: ancora una volta mi sembrò becera retorica. Scelta più comprensibile sarebbe stata la riapertura delle biblioteche, anche solo su prenotazione, dal momento che il lavoro di certe categorie (come studenti, dottorandi e ricercatori) è stato congelato, lasciando tuttavia invariate le consegne e le scadenze. Ma di fronte alla chiusura di tutte le attività che non rientrassero nei servizi di prima necessità, e quindi pure le strutture che permettono di fare ricerca, sembrava ragionevole che la legge fosse uguale per tutti. La chiusura rimane incomprensibile, ma per lo meno tollerabile. Oggi questo discorso non vale più. Non trova nessuna spiegazione ragionevole. Dal 4 maggio 2020 presso l’Università della Calabria è possibile tornare nei laboratori per chi fa attività di ricerca, in alcune università d’Italia non si è mai smesso, in altre è stato possibile rientrare più tardi: in ogni caso, i ricercatori in camice e mascherina hanno avuto modo di tornare a lavorare. In piena sicurezza, ovviamente.

Ecco, io credo che il problema stia proprio qui: quando si pensa ad un ricercatore, lo si immagina avvolto da un camice, mentre si destreggia tra ampolle e provette, tra liquidi colorati come la scivolizia e la blumele di Tonio Cartonio, mentre guarda all’interno di un microscopio, circondato da decine di schermi illuminati sui quali scorrono stringhe di codici. Accanto a queste figure, con la stessa passione e gli stessi soprusi subiti, troviamo un tipo di ricerca che necessita di essere condotta in archivi e biblioteche: i libri da consultare sono i nostri microscopi, le bibliografie e gli apparati sono le nostre provette, i cataloghi sono le nostre indagini statistiche, la consultazione diretta è la nostra analisi dei dati. La decisione è semplice: per i ricercatori di ambito umanistico, le biblioteche sono dei laboratori. Se si stabilisce il rientro dei ricercatori nei laboratori, si dovrebbe stabilire il rientro dei ricercatori anche in archivi e biblioteche.

Non è accaduto in nessuna struttura del territorio nazionale. Almeno fino ai primi giorni di luglio, in cui abbiamo iniziato ad assistere ad alcune piccole, timide aperture; in moltissimi altri casi, i servizi di prestito e restituzione hanno continuato ad essere erogati solo su prenotazione. È così ancora oggi, alle porte di novembre. Trovare un libro sul catalogo e prenotarne il prestito, equivale a cercare un prodotto su Amazon e acquistarlo senza poterlo sfogliare. A scatola chiusa. E allora tutta la retorica sull’importanza della riapertura dei negozi fisici di libri, ad oggi, stando così le cose, non assolve i responsabili dalla colpa di aver dimenticato di un’intera categoria di lavoratori, di studiosi e di studenti. 

“La fase di selezione e valutazione delle fonti e dei documenti, in cui le abilità cognitive e le competenze culturali si traducono nell’esercizio del pensiero critico, è dunque cruciale nell’attività di ricerca bibliografica e si fonda sulla consapevole applicazione di metodologie e di pratiche” specifiche. La ricerca bibliografica è un processo dinamico, che si svolge seguendo una serie di operazioni consecutive, ma pure contestuali. Per esempio, è importante avere davanti le singole fonti reperite per analizzarle e confrontarle; si chiama RETICOLARITA’ e consiste nel mettere in connessione fonti informative e documentarie diverse. La consultazione diretta permette di trovare una cosa imprevista mentre se ne sta cercando un’altra, si chiama SERENDIPITA’; a volte, ciò che si è trovato per caso, risulta ancora più utile di quello che stavamo cercando. La storia della ricerca è costellata di scoperte fatte per caso, attraverso questi passaggi (diacronici e sincronici) della consultazione diretta del materiale bibliografico.

So bene che rischio di sembrare insensibile chiedendo e insistendo sulla riapertura (parziale, settoriale, regolamentata) di biblioteche, centri di ricerca e archivi. Soprattutto di fronte alle difficoltà economiche di individui, famiglie e imprese; di fronte a interi settori completamente in ginocchio. Ma vorrei ricordare che, dagli inizi di marzo 2020, fare ricerca è diventato impossibile. Soprattutto qui in Calabria. Soprattutto se ci riferiamo all’ambito umanistico. Vorrei poter dire difficile, complicato, faticoso; vorrei poter dire stancante, labirintico, esasperante. Ma la verità è che è impossibile.

(I virgolettati sono scopiazzati da “Lezioni di bibliografia” di Marco Santoro, Editrice Bibliografica, Milano, pp. 119-129)

Maria Naccarato
(dottoressa in Filologia Moderna)

Vive a Lamezia Terme, legge e scrive dove gli capita. A tempo perso si è laureato in Beni Culturali e in Scienze Storiche, a tempo perso gestisce il blog Manifest e a tempo perso è responsabile della Biblioteca Galleggiante dello Spettacolo del TIP Teatro. Di fatto, non ha mai tempo. Ha esordito nel 2023 con il romanzo "Al di là delle dune" (A&B)

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