La principale caratteristica che differenzia l’essere umano dagli animali è la capacità di creare parole.
I suoni che emette l’uomo sono sempre stati atti a cercare di definire il mondo che lo circondava, a tentare di dare nome agli oggetti che usava, alle persone che amava, alle società che creava.
Sempre, questa operazione, in epoche antiche, ha comportato la creazione di parole che davano un significato ben preciso a qualcosa. Era un modo per spiegare la realtà, o un concetto particolare.
Uno scrittore del Novecento ,J.R.R Tolkien, ci illumina a questo proposito: “Guardiamo gli alberi, e li chiamiamo “alberi”, dopo di che probabilmente non pensiamo più alla parola. Chiamiamo una stella “stella”, e non ci pensiamo più. Ma bisogna ricordare che queste parole, “albero”, “stella”, erano (nella loro forma originaria) nomi dati a questi oggetti da gente con un modo di vedere diverso dal nostro. Per noi un albero è, semplicemente, un organismo vegetale, e una stella semplicemente una palla di materia inanimata che si muove lungo una rotta matematica. Ma i primi uomini che parlarono di “alberi” e di “stelle” vedevano le cose in maniera del tutto differente. Per loro, il mondo era animato da esseri mitologici. Vedevano le stelle come sfere di argento vivo, che esplodevano in una fiammata in risposta alla musica eterna. Vedevano il cielo come una tenda ingioiellata, e la terra come il ventre dal quale tutti gli esseri viventi sono venuti al mondo” .
Oggi non pensiamo più al significato delle parole, che in origine avevano un preciso significato. Le usiamo così spesso, per abitudine e senza pensarci, che abbiamo ormai perso la consapevolezza di che cosa significhino, e di quale importanza avessero per gli uomini oscuri che diedero loro proprio quei nomi.
Noi non ci pensiamo più, travolti come siamo da un mondo velocissimo, eppure la realtà ci riporta spesso a questi antichi legami. Un legame che porta alla luce anche storie dimenticate e sepolte dal tempo, note solo agli specialisti o agli studiosi di storia.
Un esempio lampante, e decisamente poco noto, è quello relativo alla parola Carpazi. Come si sa, questo è il nome che viene dato ai monti che attraversano i territori di Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia, Ungheria, Ucraina, Romania e Serbia; ma pochi, credo, sanno che questo nome da una popolazione “barbara” della Dacia, i Carpi appunto, che erano, cito da un libro dello storico Alessandro Barbero, “la maggiore popolazione dacica rimasta indipendente dopo la conquista della Dacia da parte di Traiano. Stanziate a est dei Carpazi, queste tribù rappresentavano la principale causa di insicurezza lungo la frontiera” .
Riuscire a informarsi e approfondire l’origine dei nomi permette di scoprire molte cose che altrimenti si dimenticherebbero, e inoltre è un’azione che ognuno che decide di voler studiare storia o farne la propria vita professionale dovrebbe fare, perché allena a fare collegamenti logici e di metodo, che sono un bagaglio essenziale per ogni storico.
Così, per esempio, intuendo che dietro i Carpazi si celano i Carpi, veniamo a scoprire di più sulla loro storia, ed è sempre Alessandro Barbero, in questo caso a informarci: “Spostandosi verso Occidente, i Carpi filtrarono progressivamente nella provincia abbandonata; ma dalle loro sedi originarie continuarono a premere anche verso sud, minacciando gli insediamenti romani lungo il Basso Danubio. Proprio Aureliano fu il primo imperatore a intervenire drasticamente contro di loro, deportandone dei gruppi al di qua del fiume. Queste misure, tuttavia, non bastarono a reprimere l’irrequietezza dei Carpi, alimentate dalla pressione di vecchie e nuove popolazioni delle steppe, i Sarmati, e ora soprattutto Goti (..). Nel 295-296 Diocleziano e Galerio intervennero drasticamente per stabilizzare il confine danubiano e liquidare una volta per tutte la minaccia dei Carpi, che vennero sradicati e deportati in massa a sud del fiume. (…) Studi più recenti sottolineano che in realtà la deportazione non dovette essere totale, perché nuovi rastrellamenti vennero condotti ancora negli anni seguenti e fin sotto Costantino; e tuttavia non c’è dubbio che rispetto alle deportazioni precedenti quella organizzata dai tetrarchi ebbe un carattere molto più sistematico tanto da realizzare la distruzione della cultura dei Carpi, cui gli archeologi confermano la scomparsa proprio alla fine del III secolo” .
Ecco come, da un semplice nome di catene montuosa, possa emergere una lunga e quasi dimenticata storia, a volte persino tragica.
Per questo, ricordare l’origine delle parole è la prima condizione per mettere veramente a frutto quei due grandi strumenti in possesso dell’essere umano, la parola e la memoria.
Di Pesaro. Ho trentaquattro anni, vivo e scrivo da precario in un mondo totalmente precario, alla ricerca di una casa dell’anima – che credo di aver trovato – e scrivo soprattutto di fantasy e avventura. Ho sempre l’animo da Don Chisciotte e lo conserverò sempre!
1 commento
Aggiungi il tuoNon potrei essere più d’accordo. La parola è un’arma potente qualcosa che ci permette di fare molto ma a cui spesso non riconosciamo lo stesso valore è la storia che in realtà merita