Basta parlare di “Antimafia”, c’è bisogno di parole nuove!

In Calabria, ma forse dappertutto nel paese Italia, siamo sempre più abituati a pensare a delle situazioni associandole al bianco o al nero. Non esistono colori di mezzo, e in questo mezzo vuoto ma pieno di inerzia il pensiero critico rimane chiuso, ingabbiato.

Il perché sarebbe interessante scoprirlo ma richiede sforzo, quel minimo sforzo che permette di mettere in moto il cervello e di non fermarsi al bianco o al nero. Anche il bene e il male sono fatti di molti colori o perché mutevoli. Anche il fuoco ha la sua metà di freddo. Il perché da scoprire potrebbe forse permetterci di essere cittadini consapevoli. Ma intanto si continua a marciare, ad alzare bandiere e ad urlare a squarcia gola le frasi di Peppino Impastato. Si continua a dire “La mafia è una montagna di merda”.

Guai ad entrare nelle scuole e a non pronunciare questa frase. Guai a non commemorare con manifestazioni antimafia giudici come Giovanni Falcone o Paolo Borsellino. Già! Guai. Perché la memoria è fin troppo importante per il nostro presente e senza il ricordo di vittime innocenti, o senza trasmettere la testimonianza di chi col proprio onesto lavoro ha permesso tante primavere del cambiamento, la memoria non potrebbe continuare al futuro.

Da piccola, ero sempre in prima linea in questo genere di manifestazioni. Ancora oggi sento forte alcuni ideali di giustizia e di legalità, e ancora oggi provo rabbia nei confronti del sistema più potente del mondo che attua distruzione e disperazione verso paesi e generazioni. Che fa nascere vite inculcate nella mentalità mafiosa. Ma credo anche, oggi che sono sulla soglia dei trent’anni e di portare in mano uno striscione non mi va più, che oltre ad urlare “la mafia è una montagna di merda” ci sia bisogno di tanto altro.

La società civile è sempre stata il ‘codazzo’ di politica e indignazione che non oltrepassa però alcuni margini. Dopo le stragi del ’92 a Palermo, molti libri furono pubblicati e fatti oggetto di studio in tutte le università. Accadeva, si scriveva e si raccontava della ‘Primavera antimafia’. Un grande popolo in rivolta che urlava, dietro lo sconforto di un anziano Antonino Caponnetto che alla morte di Paolo Borsellino con voce lieve suonò dire ‘non c’è più niente. É finito tutto’. Furono gli anni in cui grazie a Sciascia emerse il fenomeno della ‘sicilitudine’, quello della contiguità mafiosa radicata nel semplice pensiero antropologico e che, da noi, potrebbe essere trasformato in ‘calabritudine’. Furono gli anni in cui iniziò a parlarsi dei ‘professionisti dell’Antimafia’. È bene ricordare. Ed è bene che queste giornate continuino ad esistere.

Oggi esce “A futura memoria (se la memoria ha un futuro)”, già pubblicato da Bombiani nel 1989, ora ripreso da Adelphi e curato da Paolo Squillacioti. Il Sole 24 ore nel suo domenicale impagina “Avere ragione (o sbagliarsi) alla Voltaire”. Ebbene, si riferisce a Leonardo Sciascia, l’ideatore di certa letteratura siciliana, di gialli noti, colui che intese indagare anche su chi faceva antimafia…L’uomo de ‘Il giorno della civetta’, il cui capitano dei carabinieri era da tutti pensato in Carlo Alberto Dalla Chiesa e invece no, invece era Renato Candida. La sua era una polemica civile, apparsa sui giornali nel periodo che andava dal 1979 al 1988, in questa polemica vi rientrava anche il suo più frainteso articolo (Uscito il 10 gennaio 1987 sul Corriere della Sera), sui ‘Professionisti dell’Antimafia’.

Mentre leggo il Sole 24 ore mi chiedo perché debba passare così tanto tempo? Prima di comprendere un tale fraintendimento? Mi chiedo perché oggi non ci sono più scrittori e giornalisti alla Leonardo Sciascia? Cosa avrebbe detto oggi Sciascia e cosa avrebbero potuto fare oggi quei magistrati morti ammazzati dalla mafia? Oggi che l’antimafia è solo una parola scadente, qualcosa per cui occorre essere scettici, perché tante solo le analogie col potere. Oggi che l’antimafia è una parola vuota e al tempo stesso piena, tanto piena, solo di retorica. Oggi che i politici, giudici, associazioni sono anch’essi delle vere e proprie strutture gerarchiche, e la chiesa? Mi viene in mente Isaia Sales.

Quando ero piccola attaccavo manifesti qui e là ed organizzavo incontri con ospiti che si mettessero a urlare nomi di mafiosi o di vittime innocenti di mafia. Quando ero piccola. Oggi ho imparato che oltre a questo, oltre alle giornate e alle sfilate ‘antimafia’ serve di più. ‘Non bastano le parole ma servono i fatti’. Anche oltre a questa super retorica frase di comodo c’è di più. Nel tentativo di una pedagogia che ci salvi, è necessario porre attenzione partendo proprio dalle parole. Quelle parole che andrebbero svuotate e riempite tante, innumerevoli, volte di ‘nuovo’ senso. Oltre ai discorsi a memoria si dovrebbe avere il coraggio di riempire lo spazio che abita tra il bianco e il nero. Riempirlo di coscienza critica. Quella cosa che attualmente nessuno sogna di trovare mentre i mezzi di comunicazione non curanti della pedagogia, o più semplicemente del valore più nobile di cui il giornalismo dovrebbe essere fatto, continuano ad essere filtro costante del sistema. Bisogna inventare nuove parole e poi farle camminare ogni giorno attraverso azioni fatte di bellezza. Forse è giunto il momento (e forse da molto tempo ma nessuno se n’è accorto!) di parlare di educazione alla bellezza e non più di antimafia.

Non ho più intenzione di scrivere nei giorni delle commemorazioni. Ho deciso di scordare alcune date e di ricordarne altre. Perché la memoria non ha bisogno di essere strumentalizzata. Sgarbi si fa un video e lo pubblica su facebook ieri. Ottiene 3,700 like. “De Magistris, Salvatore Borsellino e la retorica senza senso di certa antimafia: si rispetti Paolo Borsellino. Non si parli in suo nome. Non si dica di Borsellino quello che lui non penserebbe”. Questo il titolo, ma il video si apre con Sgarbi che racconta della moglie di Borsellino, Agnese, e di quando lo paragona a suo marito.

 

Valeria D'Agostino è giornalista pubblicista, curiosa del bello, amante della natura e della poesia. Ha contribuito a realizzare il Tip Teatro di Lamezia Terme, già ufficio stampa di Scenari Visibili, blogger sin dagli esordi di Manifest Blog. Ha lavorato per Il Lametino, attualmente corrispondente esterna della Gazzetta del Sud. Nell'ambito della scrittura giornalistica ha prediletto un interesse particolare per le tematiche sociali, quali in primis la sanità e l'ambiente, culturali, e artistiche. Si divide fra Lamezia Terme e Longobardi, costa tirrenica cosentina dove si occupa di turismo e agricoltura biologica. "Un buon modo per dare concretezza al concetto di fuga".

Carssima Valeria non ci conosciamo. Per caso ho trovato questo articolo in internet il cui titolo mi ha incuriosito in quanto concordo pienamente che come società civile non dobbiamo assolutamente fermarci alle manifestazioni in piazza, a parlare di antimafia ma diventare concretamente l’antimafia del fare… ognuno nel proprio piccolo deve sentire il dovere di dare il proprio contributo per rendere migliore il nostro paese: più giusto, più libero e più bello come dici tu. Io ho organizzato più volte i c.d viaggi di cittadinanza responsabile con gruppi di studenti e ho sempre scelto di portarli in Calabria o Sicilia per far loro toccare con mano la concretezza dell’antimafia civile di quei territori non solo tramite incontri con famigliari di vittime ma anche andando a visitare le cooperative che gestiscono beni confiscati alle mafie e facendo loro toccare con mano la resistenza civile di quelle realtà associative e imprenditoriali. E oltre alle coop di LiberaTerra, alla coop Felici da Matti abbiamo anche conosciuto le realtà di Progetto Sud di don Panizza e tanti cittadini e cittadine straordinarie (es. Francesca Prestia, sindaci e amministratori di Gioiosa Ionica, ecc…)

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