Un viaggio alla scoperta del patrimonio calabrese a Sciabaca Festival 2017

Nel corso della giornata conclusiva di Sciabaca Festival – tenutasi il 24 settembre nell’Officina della Cultura e della Creatività di Soveria Mannelli –  si è gettata una nuova luce sulla Calabria, il cui vasto patrimonio storco- artistico costituisce un’importante risorsa da conoscere e preservare per sviluppare un profondo senso d’identità.

Tra i vari interventi occorre segnalare il bellissimo seminario tenuto dallo studioso Gianfrancesco Solferino, storico dell’arte, esperto del patrimonio artistico calabrese, le cui ricerche spaziano dalla scultura lignea e lapidea ai manufatti di argenteria e ai tessuti ricamati in uso nella liturgia sacra, con particolare riguardo per le opere di scuola napoletana.

L’incontro dal titolo “Percorsi d’arte. Opere e artisti in viaggio dalla Calabria alle province del regno di Napoli” ha suscitato enorme entusiasmo nel pubblico, coinvolgendo tutti in un viaggio affascinante alla scoperta delle “meraviglie” presenti nel territorio calabrese. L’intento era quello di restituire, attraverso un’attenta ricognizione storiografica, l’immagine della Calabria inserita in un contesto culturale ampio, ricco di molteplici influenze, soprattutto nel periodo che va dal Cinquecento alla metà del Settecento.

 «Parlare di storia dell’arte in Calabria – ha esordito Solferino – rappresenta una sfida, perché per molto tempo essa è stata erroneamente considerata una regione a sé stante, isolata dal resto. L’obiettivo è quello di sfatare questo falso mito, infatti, dal punto di vista storico-artistico la Calabria non è stata una regione “defilata” rispetto al resto della penisola».

Secondo Corrado Alvaro la Calabria fa parte di una “geografia romantica”, in cui la natura, le strade, le chiese e i monumenti possiedono un’anima molto particolare, la quale trae origine dal passato; in questo lembo di terra –  fatto di “pietre e di spine” –  si sono sedimentate culture eterogenee e sono stati prodotti importanti capolavori letterari, filosofici e artistici, grazie a figure come Bernardino Telesio, Tommaso Campanella e Mattia Preti.

Partendo da questa considerazione, Solferino ha dunque tracciato un percorso lineare e suggestivo del quadro culturale calabrese dal Cinquecento al Settecento, illustrando una serie di pregevoli manufatti realizzati nei più importanti centri di produzione artistica come Ajello Calabro, ma anche Serra San Bruno, Catanzaro, Conflenti, Taverna, Pazzano e tanti altri.

Per molto tempo la lavorazione del marmo e del legno, ampiamente diffusa soprattutto a Rogliano e a Serra San Bruno, ha costituito un importante settore produttivo per la nostra regione; molti capolavori sono il frutto di uno “scambio” proficuo tra le maestranze locali e quelle provenienti dal resto della penisola. Basti pensare alla Cappella Cybo, situata nell’Ex Convento dei Frati Minori Osservanti ad Ajello Calabro, che costituisce uno splendido esempio di tardomanierismo in Calabria.

L’opera – spiegata in modo brillante da Solferino – fu realizzata nel 1597 dallo scultore messinese Pietro Barbalonga, su progetto dell’architetto toscano Andrea Cioli; il sacello, infatti, possiede gli elementi tipici della cultura figurativa tardomanierista, con evidenti richiami alla tradizione toscana e siciliana, inoltre la struttura generale mostra la piena aderenza al modello michelangiolesco. Barbalonga seppe fondere elementi sacri con figure antropomorfe tratte dal repertorio iconografico romano.

Alberico I Cybo Malaspina, Signore di Massa Carrara, acquistò il feudo di Ajello Calabro nel 1574, dove promosse la realizzazione di opere a carattere devozionale, estremamente raffinate. Inoltre, grazie all’arrivo di nuove maestranze, gli intagliatori locali ebbero modo di aggiornarsi dal punto di vista tecnico, elaborando uno stile nuovo e autonomo.

Solferino ha proseguito con la descrizione dello splendido ciborio realizzato da Cosimo Fanzago nel 1631 per la Certosa di Santo Stefano del Bosco a Serra San Bruno, smembrato a seguito del terremoto del 1783 e rimontato nell’Ottocento per essere collocato nella Chiesa dell’Addolorata a Serra San Bruno. A tal proposito lo studioso ha ribadito:

«La necessità di recuperare i pezzi per ricomporre il ciborio nasce dalla volontà di proteggere un’opera estremamente significativa per la cultura figurativa del Seicento in Calabria, con l’intento di non far disperdere una testimonianza tangibile dell’identità collettiva».

In seguito sono state passate in rassegna una serie di opere pittoriche, tra queste occorre segnalare la pala della Madonna di Monteoliveto dell’umbro Ippolito Borghese, ma anche il bellissimo Cristo “fulminante” di Mattia Preti.

Nell’ambito della scultura lignea del Settecento sono emerse figure di rilievo come Vincenzo Scrivo, autore della statua del Santo Salvatore di Pazzano (1797), Frate Angelo da Pietrafitta e Fra’ Diego da Careri, quest’ultimo attivo soprattutto in Calabria e in Lombardia.

Oltre a un gran numero di sculture e dipinti, degni di nota sono alcuni capolavori di argenteria e i tessuti ricamati nell’area catanzarese, dove l’arte della seta costituiva un’importante risorsa economica.

«La Calabria – ha sottolineato Solferino – può riacquistare dignità solo attraverso la conoscenza della propria storia e del proprio patrimonio artistico e paesaggistico».

Lo studioso ha concluso la propria relazione, citando il bellissimo passo di Leonida Repaci in cui la Calabria viene descritta come un vero capolavoro della creazione divina, spesso deturpato dall’opera devastatrice dell’uomo.

Amo l'arte e la musica. Sono perennemente in bilico tra sogno e realtà. Sto ancora cercando il mio posto nel mondo.

La riscoperta della Calabria puo’ avvenire attraverso la sua storia, la sua arte e la valorizzazione del territorio compresi i borghi collinari e montani dove maggiormente ha inciso il passato.

Intensa e partecipata sintesi di un’ora di appassionata “narrazione” da parte del Dr G. Solferino, che ha incantato il numeroso pubblico presente. Giusto per dire, l’altare maggiore della Chiesa Matrice di S. Giovanni Battista a Soveria Mannelli è opera di quel Cosimo Fanzago, sopra citato, e proviene dal diruto ( ma ora degnamente conservato ) Monastero di S. Maria di Corazzo allorchè fu depredato, possiamo affermarlo, dai cittadini dei paesi circonvicini di ciò che restava all’interno delle sue mura all’indomani del terribile terremoto del 1783. Altri preziosi resti furono portati a Castagna di Carlopoli, in primis, e a Decollatura.

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