È notizia ormai ricorrente quella dei borghi in festa, specie in estate, che animano la Calabria e che intendono creare sviluppo, nuove pratiche politiche e collettive, resistenza.
Sono gruppi di giovani, di età eterogenea, che vogliono ‘restare’, che mettono in moto cervello cuore e anima, insieme a singole e differenti competenze, per mantenere allenato lo sguardo dello stupore. Già! Perché non sarebbe forse troppo facile lamentarsi dei propri centri storici o paesi in via di spopolamento senza neanche provare a toccare con mano il proprio tessuto culturale? Senza provare a fare qualcosa per modificarlo? Magari partendo dalla bellezza e delle risorse di cui dispone? È in forte aumento il fermento culturale che parte dal basso, ovvero senza aiuti finanziari e istituzionali, attraverso cui si rafforza l’offerta turistica ed economica, e cosa ben più importante attraverso cui si studiano nuove strategie di sopravvivenza, auspicando che lo sguardo resti allenato anche per l’inverno, quando si torna a casa dal mare con nuovi rapporti consolidati, nuove esperienze e modelli concreti.
Anche a Cetraro, in provincia di Cosenza, qualcosa sembra muoversi per il verso giusto. Alcuni giovani del posto hanno infatti, da poche settimane, avviato l’idea di un piccolo festival in un pezzo di centro storico, e saranno protagonisti dal 23 giugno al 2 luglio del cambiamento utopico tanto desiderato dai più nella nostra regione. Il Collettivo Manifest, da sempre attento e sensibile alle realtà circostanti con fini nobili, collaborerà a questo giovane percorso, documentando giorno per giorno quanto avviene dietro le quinte dei cetraresi a lavoro con il “Festival du chianu”. Intanto, in attesa del programma definitivo, Gemma Maltese, parte attiva dell’idea, risponde subito a qualche nostra domanda…
[quote]Un gruppo di abitanti, per lo più del centro storico, fanno, intanto tra di loro, una scommessa, dopo essersi fatti insieme una domanda: questo luogo può essere curato come spazio di qualità dell’abitare? Con il Festival, questa domanda, dal basso, prende corpo e si espande, tra i vicoli e la piazza ‘du Chianu’, come momento di riscoperta della magia e del senso dei luoghi, con musica, danze, arte, performance di poesie e incontri tra diverse generazioni di abitanti, con la partecipazione del centro anziani agli studenti, alle associazioni, ai comitati di cittadini, a studiosi del paese e da altrove che vorranno partecipare ai dibattiti, laboratori, colazioni, pranzi e cene musicali, assemblee e alle altre iniziative previste durante il periodo del Festival. [/quote]
Da cosa nasce l’esigenza del “Festival du chianu”?
Da Cetraro e dalla vita cetrarese. Dall’esigenza di comunicare, di esistere in una forma che si sente che non è altrimenti possibile esprimere in questo territorio. Ed è un’esigenza che nasce dal vivere qui, per la maggior parte di noi coinvolti nell’organizzazione del Festival, in senso stretto, negli ‘stretti’, da sempre, nei vicoli del centro storico. Nasce dalla voglia di mettersi personalmente in moto su alcuni fronti, dal voler aggregare forze, tra loro, che al momento si sentono disgregate, disperse, annichilite. Da questa spinta e dallo sguardo sul centro storico come luogo, comune, attualmente inutilizzato, e come uno degli spazi dove ognuno di noi e insieme immaginiamo esserci un certo margine di movimento, un riparo, una via di fuga, nella ricerca di altre forme dell’abitare. L’esigenza nasce anche dal sentire la mancanza di un tessuto sociale e di associazionismo che si muova su questi territori della cura e dell’auto-organizzazione. Il Festival du chianu nasce dalla spinta ad uscire dall’isolamento personale, individuale, e richiamare chi avesse questa esigenza e ci volesse e potesse essere in questo tipo di percorso.
Siete un’associazione? Parlaci di voi e del vostro percorso
Ci siamo ‘associati’ da poco, da qualche mese, per l’organizzazione di questo Festival, ma non siamo ancora né un’associazione formale, né nella sostanza! Siamo un gruppo di abitanti di Cetraro, che si sono trovati nel coinvolgersi a vicenda attorno all’idea di mettere in movimento ed esprimersi in una parte del centro storico di questo paese, “U Chianu”, Via Piano, dove alcuni di noi vivono. Con visioni, vissuti, sguardi, esperienze diverse, abbiamo iniziato ad incontrarci più assiduamente e progettare l’organizzazione del ‘Festival du Chiuanu’, partendo da quello che siamo e dove ci situiamo, nei territori, per le passioni e condizioni che ci accomunano, dalla musica alla poesia, al parlarsi e ascoltarsi, ai racconti sui luoghi, al teatro, alla pittura. Guardando al percorso, da qui, ora siamo su questa strada. E per riflettere, discutere e decidere sul cammino che insieme vogliamo fare, durante il Festival, in particolare, sono previsti dei momenti di dibattito e una giornata dedicata all’incontro del gruppo con associazioni, collettivi e individui per stimolarci reciprocamente sulle forme associative che vivono i nostri territori, nei tempi contemporanei del cambiamento.
Un festival che parte per la sua prima edizione dal basso, dunque autogestito?
Autogestito, nel senso di autofinanziato, e autogestito anche nel senso che ognuno si sta mettendo in movimento, negli spazi apertisi in comune con l’organizzazione del Festival, per rincontrarsi e decidere come muoversi in questa progettualità. Quindi, autogestito, si, ci siamo detti dall’inizio: saranno una serie di incontri, intanto, tra noi e questi luoghi e chiunque si vorrà accompagnare. Dal basso? Si, dal Piano, da abitanti, da vicini di casa, tra amici. Dal basso ventre, dalla ricerca di un riparo – nella gioia – dove, ci si ripete, come un ritornello, non c’è (motto non solo cetrarese contemporaneo ‘non c’è riparo’, frase che ricorre ovunque per le strade del nostro centro). Dal basso: dall’incontro tra persone, tra demoni propri e in comune e il genio dei luoghi.
Qual è il vostro sguardo sulla Calabria? Pensate si possa lavorare ad una visione di insieme che contribuisca allo sviluppo di questa terra partendo proprio dai centri storici e dalla loro riqualificazione?
Il centro storico di Cetraro, in Paese, è molto esteso, dalla Porta di Mare, alla Porta di Basso e a quella di Sopra. Il Piano si colloca tra la piazza principale, Piazza del Popolo, e le viuzze, ‘i stritti’, che, da una parte, collegano con la porta di mare e, dall’altra, sono di rimpetto alla porta di Basso e di Sopra. Ci sono giardini comunali confinanti con il Piano, del Palazzo Comunale Del Trono. Tutte le parti del centro storico hanno vissuto, in diverse fasi, uno spopolamento e abbandono, ma restano, attualmente abitati da famiglie e persone di diversa età, nonostante ci siano molti locali abitativi e piccole botteghe, ‘funnichi’, disabitati e decadenti. Allo stesso tempo, nei vicoli del centro storico, fatto di case l’una sull’altra, vuoi perché, per lo più, sono raggiungibili solo a piedi, e nonostante una serie di interventi edilizi, negli anni, opere pubbliche (esempio emblematico l’anfiteatro a Cetraro paese) completamente inutilizzate e attualmente inagibili, questo nucleo antico della città riporta tratti visibili delle costruzioni e organizzazioni urbanistiche del Medioevo Tirrenico. Molti luoghi si conservano, contro il degrado del tempo, inalterati, tra crepe di ieri e di oggi. Noi tutti sentiamo che i centri storici sono scorci magici, tra l’acqua e la terra, il mare e i monti calabresi, porte tra il passato e il presente. Ci stiamo immaginando questi come luoghi che aprono alla capacità di esprimersi nella bellezza e situatezza dei territori che abitiamo, in Calabria. Prendersi cura e curarsi, curare il proprio sguardo, imparare a riconoscere ciò che vogliamo modificare di questo, come passaggio essenziale per costruire percorsi di ‘riqualificazione’ delle nostre vite nei centri storici e nei diversi spazi dell’abitare. Visioni e sguardi da modificare sono proprio quel percorso in cui ci riconosciamo essere in comune, e che riconosciamo come nostro sguardo in comune sulla Calabria. Su questo vogliamo lavorare, insieme.
In che modo è possibile immaginarlo?
Per ora, con il Festival, stiamo immaginando che tutto questo possa essere maggiormente possibile aprendoci, al Piano, a nuove e rinnovate relazioni con questi luoghi, all’auto-organizzazione, a diversi mondi possibili, linguaggi molteplici, congiunti, dalla poesia alla musica, alla pittura, al teatro e agli incontri per discutere, parlarci e ascoltarci su una serie di temi che abbiamo sintetizzato nelle parole ‘Territori, cura e vita attiva’. Dentro a questa esperienza e iniziativa di organizzazione del Festival, si palesa il fatto che tutto questo è possibile dall’incontro, di più persone, e non individualmente, raccordando il proprio sentire, la propria individualità, con lo sguardo generale dei luoghi, immaginandosi – capaci anche di modificare – la relazione di appartenenza che ci lega a questi e muovendosi, ognuno e insieme, verso tutto ciò che può significare maggiore estensione del proprio spazio di espressione, azione e decisione, di ripresa con cura della propria vita in questi territori.
Valeria D’Agostino
Valeria D'Agostino è giornalista pubblicista, curiosa del bello, amante della natura e della poesia. Ha contribuito a realizzare il Tip Teatro di Lamezia Terme, già ufficio stampa di Scenari Visibili, blogger sin dagli esordi di Manifest Blog. Ha lavorato per Il Lametino, attualmente corrispondente esterna della Gazzetta del Sud. Nell'ambito della scrittura giornalistica ha prediletto un interesse particolare per le tematiche sociali, quali in primis la sanità e l'ambiente, culturali, e artistiche. Si divide fra Lamezia Terme e Longobardi, costa tirrenica cosentina dove si occupa di turismo e agricoltura biologica. "Un buon modo per dare concretezza al concetto di fuga".