“Sulla libertà dell’essere”, Intervista ad Ernesto Spada, ‘u gabbianu,

In questo preciso momento la colonna sonora de “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, “My Heart’s in the Highlands” prende il via per le mie orecchie…

A volte, in maniera inaspettata, capita di vedere delle immagini, e inevitabilmente non puoi che ricondurle a questo film. La vita non è che un’opera. Ciascuno di noi ha in sé un’opera d’arte, non a tutti però è dato saperlo, non sempre si vuole scoprirlo…

Capita, nelle immagini, di rimanere colpita da un sorriso, da un gesto improvviso, da due occhi che piano si chiudono, si aprono, il tutto circondato da bolle, bolle di sapone che un uomo con costante armonia soffia nell’aria, soffia in direzione della gente che parla, di bambini che si muovono attorno a una palla, soffia all’indifferenza dilagante, ai borghesi tristi e incravattati, soffia ai giovani incerti del futuro, dona allegria e pace. Quest’uomo è Ernesto Spada. Lo chiamano “gabbiano”, il perché lo scopriremo più avanti.

Un uomo che ha rapito la mia curiosità e l’ha condotta ad alcune semplici domande. Ogni volta che guardo Ernesto lo immagino solo, allora cosa può essere per lui la solitudine? O non è forse anch’essa un’ illusione? Non sono forse io sola mentre lo guardo? Ogni volta che guardo Ernesto lo immagino felice, allora cosa può, allo stesso modo, essere per lui e per noi altri la felicità? Forse Ernesto è la chiave di lettura importante, attraverso cui captare alcuni segnali. Quelli che ci conducono a fissare una linea di demarcazione tra mondo reale e fantastico, oppure, tra essere e apparire.

Andando a scavare dentro la propria anima, si scoprono, a volte, tesori inestimabili. Fermarti a bere, a volte, una brasilena con Ernesto, può voler dire toccare con mano quelle cose senza nome che all’età di 29 anni fanno un po’ paura, ma che se saputi esaminare con semplicità ricoprono il ruolo essenziale per la vita di ciascuno di noi. Parliamo di valori, di ideali, parliamo di amore, amicizia, e parliamo, si, parliamo, con Ernesto, senza scadere in filosofie o retoriche vuote, di libertà. Questa sconosciuta, che cerchiamo, vivendo, e non afferriamo mai.

Ernesto Spada ha 59 anni, la sua è una vita ricca di esperienze, una vita intensa. Da piccolo, per circa 22 anni ha fatto il tipografo. La strada il suo mondo, il tempo nella strada scandisce i colori.

Cosa hai fatto in tutti questi anni?

Ho fatto esperienze diverse, ma fra tutte è quella della ‘strada’ ad avermi maggiormente cambiato.  L’universo della strada. Non è stata una vera e propria scelta ma col tempo ti abitui ed è una cosa molto bella. A 15 anni sono stato a Londra, poi in Francia, Spagna, Germania, Marocco…

Il viaggio oltre alla strada è un’altra costante per te?

Si, mi è sempre piaciuto viaggiare. Al viaggio ho sempre comunque unito il lavoro. Non era un viaggio inteso come vagabondare. I miei viaggi hanno avuto inizio con un gruppo di tedeschi che avevo conosciuto a Lamezia, con loro ho fatto spettacoli di piazza, poi l’esperienza del madonnaro, inoltre il fachiro, attraverso cui lo spettacolo era completo: mangiafuoco, mangiavetro ecc…

I tuoi viaggi hanno mai avuto una fine? Sei ancora in movimento?

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Si, sempre. Non ho mai viaggiato per scappare. Ho continuato a viaggiare, è sempre un andare avanti e indietro.

Il ritorno è considerato un grande tema letterario, tu come lo percepisci?

A me succedeva che non vedevo l’ora di ripartire. Andando fuori dal tuo paese incontri nuova gente, nuove culture e tradizioni, è poi bellissimo vedere persone che non conosci che accettano e gradiscono la tua persona, ti danno spazio, ti danno gratitudine.

Come la immagini la solitudine?

Non avverto solitudine. In realtà tutti noi, alla fine, siamo soli, ma sta a noi prendere la vita in un certo modo e quindi non sentirci mai soli. Non voglio fare della mia vita una filosofia. Ho il massimo rispetto della mia persona e questo mi da la possibilità di approcciarmi bene a tutti.

Ti senti in armonia con te stesso e col mondo quindi…

Si, sono molto socievole, questo anche grazie al  mio lavoro.

Sei un po’ padre dei bambini che ti circondano, specie di quelli che restano attratti delle tue bolle?

Si, sinceramente si. Oltre al fatto di poter guadagnare il giusto per vivere, questo lavoro mi arricchisce da tanti altri punti di vista. È bello rivedere amici, che li ricordavo bambini, adesso cresciuti. È bello sentirmi chiamare e salutare “Oh, Ernesto! U gabbianu, u gabbianu”.

In questo hai acquisito un’identità precisa, una bella cosa dunque…

Si, la mia identità è un po’ un teatrino stradale! Mi piace tutto questo, perché mi ripeto, mi da la possibilità di lavorare e di avere rapporti con la gente.

Un quotidiano, il tuo, fatto di semplicità? Cos’è per te la felicità?

La felicità è racchiusa nel modo di interpretare le cose. A volte mi basta un niente, per essere felice. Il tuo sorriso adesso mi fa sentire felice. Ed è fatta di piccole cose…Lo noto stando in contatto con le persone, con diversi ceti sociali, quando ho contatto con i bambini interiormente mi sento meravigliosamente bene, è come se fossero miei figli. Non voglio fare nessuna tesi di filosofo ma alla fine tutti siamo eterni bimbi.

Cosa pensi del tempo?

I tempi del passato erano belli. Si, sono cambiate molte cose in positivo ma in parte: il progresso paradossalmente ci ha portati a un certo regresso interiore, alla industrializzazione, alla meccanizzazione…Succedono cose strane. Emozioni non ne esistono più.

Se dovesse capitarti di scrivere un libro? Su cosa ti concentreresti?

Sulla libertà dell’essere. Sulla libertà della mia persona. In un certo qual modo, mi sono dato la definizione di ‘gabbiano’ per questo motivo. Perché il gabbiano esprime una forma di libertà. Sono libero, non sono comandato.

Ma come si fa a essere gabbiani o a diventare gabbiani? Questa libertà come si conquista? In questo tempo presente fatto di modernità, fragilità, regole impostate dalla famiglia, dalla società, dalla chiesa…

È sicuramente molto difficile esprimermi. La libertà è a livello personale. Credo di essere l’unico esempio in questo. Ho il massimo rispetto della mia persona e quindi della società in cui vivo. Sono anni che fumo, e sono anni che porto dietro un piccolo porta cenere tascabile. Non è un souvenir, lo faccio come rispetto dell’ambiente che mi circonda. A volte possono subentrare altre cose, egoismo, cattiveria, furbizia ecc. ma secondo me. Sarebbe bastato veramente poco per cambiare il mondo, anziché fare bla, bla, bla con politiche e religioni, sarebbe bastato volerci un pizzico di bene in più.

Mi pare di percepire una fede, un credo, insomma qualcosa di fortemente poetico che ti spinge ad amare la vita…

La vita è un dono offerto da Dio e dobbiamo saperla vedere, apprezzare, noi tutti non siamo riusciti ad abbracciare e a metterne in evidenza la bellezza. E allora la felicità che cos’è? È l’aria che respiriamo, è un sacco di cose. Quando sono in viaggio la felicità è rinchiusa nei paesaggi. A volte dico: Dio, ti ringrazio, ci sono.

Dunque sei credente?

Si, credo ciecamente in Dio. Ma come si fa a dire il contrario? Lasciando stare le religioni o la chiesa. Siamo arrivati al punto di andare a vedere ciò che sta sulla luna e non abbiamo visto più quello che da noi andiamo a calpestare sotto i piedi. E allora ecco che ritorniamo alla solitudine. No, io non mi sento solo. Perché anche in aperta montagna mi sento preso dall’ossigeno, dal profumo delle piante, dall’odore della terra, mi sento ricoperto dai vari colori del cielo e non mi sento solo. A prescindere da tutto so apprezzare la vita.

Sei un po’ un dispensatore di gioia in tempi morti? Come ti senti?

Una volta il bene era più sentito, il ritmo era diverso, era meno accelerato. Parlo di Nicastro, la mia città. Ricordo la gente più genuina, più bella, più calda. Esistevano un tempo più scambi sociali. Mia mamma ricordo che faceva il pane e a volte mi mandava a fare piccole commissioni. Discendo da una famiglia cattolica, e prima dell’arrivo della benedetta televisione eravamo una famiglia molto calda. C’era dialogo, mia mamma preparava colazione pranzo e cena e in attesa di mio padre facevamo una preghiera, io aiutavo ad apparecchiare e a pulire. Adesso la famiglia è individualista. C’è un distacco in atto, o meglio, la rottura della famiglia. Oggi non c’è più rispetto, educazione.

Del tuo modo di essere cosa ne pensi?

Io non mi credo di essere nessuno. Solo una persona normalissima che vuole vivere in modo dignitoso e in armonia.

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C’è speranza Ernesto?

Non voglio essere pessimista ma tutto, oggi, sta andando a scemare. Prendiamo la politica. Se i nostri benedetti politici smettessero di fare chiacchiere e di vedere i veri problemi della popolazione, il mondo forse sarebbe migliore. Se non c’è lavoro, se non c’è la possibilità per tutti di guadagnare un pezzo di pane in modo onesto e pulito  non c’è dignità.

Dove troviamo Ernesto? Hai un punto fisso?

No, non sono fermo. Svolgo le mansioni di artigiano ambulante ma sono sempre in movimento. Nella mia vita ne ho fatte di cotte e di crude ma alla fine non mi sono mai arreso. Quando facevo le biciclette col filo continuo, con l’alluminio, la gente mi vedeva come artista, altri come incollato a non fare nulla. Io però mi sentivo utile, mi arricchiva ciò che facevo perché mi faceva capire di essere umano e dotato di determinati organi. Anche da piccolo, al mare, mi piaceva sempre allontanarmi, alla ricerca di cose semplici, di piccoli molluschi, di arbusti…e da lì ho iniziato a fare piccole creazioni. Ho una lampada a casa alla quale tengo molto. Non potrò mai avere un punto fisso.

Terresti ancora le chiavi alla porta di casa? Ti fidi?

Si, io si. Non ho nulla di cui mi potrebbero derubare. La cosa più importante della mia vita, la vera ricchezza, è la mia stessa vita.

Hai dei rimpianti?

No. Se io dovessi chiudere gli occhi in questo preciso momento, se dovessi morire, sarei felice della vita che ho fatto e se dovessi morire per poi ritornare, vivrei esattamente per come ho vissuto. Non ho nessun rimpianto.

 

 

 

 

 

 

Valeria D’Agostino

Valeria D'Agostino è giornalista pubblicista, curiosa del bello, amante della natura e della poesia. Ha contribuito a realizzare il Tip Teatro di Lamezia Terme, già ufficio stampa di Scenari Visibili, blogger sin dagli esordi di Manifest Blog. Ha lavorato per Il Lametino, attualmente corrispondente esterna della Gazzetta del Sud. Nell'ambito della scrittura giornalistica ha prediletto un interesse particolare per le tematiche sociali, quali in primis la sanità e l'ambiente, culturali, e artistiche. Si divide fra Lamezia Terme e Longobardi, costa tirrenica cosentina dove si occupa di turismo e agricoltura biologica. "Un buon modo per dare concretezza al concetto di fuga".

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