Cammino per il bosco. Forse non dovrei farlo, viste le storie che circolano su questo posto; ma per chi è nato all’ombra di queste fronde, come me, questa passeggiata è un balsamo, direi quasi un rito, per ritrovare l’identità perduta.
Sono nato in cima al monte, ma non ricordo nulla di quella cima. Mia madre ebbe la bella idea di farsi venire le doglie durante una passeggiata in alta montagna- è sempre stata spericolata- ed è stata costretta a partorire lassù.
Mio padre visse ore di angoscia e terrore, ma alla fine andò tutto bene, e io venni al mondo. Ma non rimanemmo lassù. La nostra casa era nel bosco, e vi tornammo presto.
Io crebbi là dentro, e non vidi più la cima del monte.
Il bosco era così colmo di storie di terrore e angoscia per tutti coloro che non lo comprendevano, ma per me esso non aveva segreti. Conoscevo tutti i suoi sentieri, i suoi ritmi, le sue regole e i suoi divieti.
La mia famiglia ha sempre vegliato sul bosco, e continuerà a farlo, fino al momento in cui ci sarà anche solo un filo d’erba, quassù.
Siamo i guardiani della foresta, noi folletti, ed è un lavoro duro… ma qualcuno deve pur farlo. Per ognuno di noi, ci sono lunghi anni di studio, di viaggio e di conoscenza, prima di poter diventare i guardiani della foresta. Per questo ho viaggiato, esplorato, imparato. Questo è l’unico motivo per cui ho accettato di abbandonare le mie amate fronde.
Dovevo conoscere il mondo, per poter poi comprendere la bellezza e l’unicità del luogo in cui si ha la fortuna di nascere.
Era necessario che vedessi il mondo dominato dal ferro, dal metallo, dall’amianto e dalla plastica, per amare in modo incondizionato ed assoluto ciò che odora di fresco e caldo allo stesso tempo. Era obbligatorio che sperimentassi lo spreco, caratteristica precipua degli esseri umani, l’indifferenza a ciò che li circonda, la frenesia e la rapidità del mondo che popolano, il quale corre e sfreccia chissà dove, per capire quanto sia importante il camminare lentamente a piedi nudi nel bosco, l’odore del terreno dopo una giornata di pioggia, il mutamento delle stagioni, la costante e lenta crescita degli alberi.
Questo è quello che io devo custodire, come mio padre e mia madre prima di me, e come i loro genitori secoli fa, e se la gente là sotto crede che questo bosco sia maledetto, meglio ancora. Ci saranno meno fastidiosi ospiti in giro a fare danni.
Lo sa il Grande Albero, quanti danni possono fare quei tremendi invasori, con i loro cestini, colmi di cibo, e con le loro sigarette che si dimenticano di spegnere!
Mi ricordo ancora la rabbia di mio padre, quando vedeva le lingue di fuoco prendere vita nelle zone più centrali del bosco; e lo vedo ancora correre, con tutta la scarsa velocità delle sue gambe da folletto, verso l’epicentro dell’incendio.
Gli esseri umani sono sempre più sbadati, e ogni volta è sempre più faticoso rimediare ai loro errori.
Adesso tocca a me, e sento l’enorme peso di questa responsabilità gravare su di me, ma la accetto volentieri. Fa parte della nostra natura di folletti, un tale impegno.
Siamo quasi arrivati al tramonto, e la mia ronda è finita. Tutto tranquillo, per oggi.
Sento proprio il bisogno di salire sul monte, ora, per vedere il luogo dove sono nato, e osservare la fine del giorno e l’inizio della notte da lassù. Mio padre mi raccontava sempre del magnifico spettacolo del tramonto che si poteva gustare sulla cima della montagna, e sento proprio il bisogno anche io di vivere questa esperienza.
La cima è quasi davanti a me, e non vedo l’ora di arrivare.
Il mondo scorre sotto i miei piedi, e tutto tace: gli animali nel bosco, i rumori della caotica città degli umani sotto di noi, i discorsi ad alta voce dei vecchi folletti in pensione, che fino a qualche minuto fa ridevano scuotendo la testa, pensando a quella assurda leggenda sul bosco, partorita dalla fervida fantasia degli esseri umani: la vecchia strega che vaga per il bosco, e rapisce bambini, che non tornano più indietro alle loro case.
I soliti pregiudizi degli esseri umani, che quando non comprendono la natura di un luogo, inventano.
Scuoto la testa. Ora tutto questo non ha importanza, perché sono arrivato in cima, e il sole se ne sta andando.
Anche questa giornata sta finendo, e il bosco continua a vivere.
Di Pesaro. Ho trentaquattro anni, vivo e scrivo da precario in un mondo totalmente precario, alla ricerca di una casa dell’anima – che credo di aver trovato – e scrivo soprattutto di fantasy e avventura. Ho sempre l’animo da Don Chisciotte e lo conserverò sempre!