Professore Ordine, forse è ancora presto. Ti sei spento da poche ore, appena l’altro ieri riposavi all’amata Università attorniato da tanti calabresi, studenti e non, tutti commossi nel salutarti un’ultima volta. Alla notizia del tuo malore, e poi della tua scomparsa, ho reagito impulsivamente in modo quasi tiepido, perché le tue lezioni erano lontane nel tempo (meno lontane che per altri, ma il mio tempo scorre con il ritmo che, purtroppo, subisco io, non qualcun altro per me) e temo di non avere buona memoria di quanto mi accadesse, o di quanto facessi accadere, poco più di dieci anni fa. Poi, certe notizie ti prendono così alla sprovvista… Un paio di poesie le ho tirate fuori dal cassetto – le “poesie del lunedì” –, così le mie fotocopie di Contro il vangelo armato e La soglia dell’ombra. Invece, L’utilità dell’inutile, che come gli altri colleghi di corso possedevo rigorosamente in originale (la prima edizione, quella dall’elegante copertina rossa), non l’ho più. Lo prestai a non so chi e ora non me lo ritrovo in libreria. Ho sfogliato qua e là qualche pagina fotocopiata, finché non ha incominciato a smuoversi qualcosa. E oggi, uno dei primi giorni veramente caldi, ho pensato che effettivamente avrei potuto scrivere qualche rigo in più del solito, per la tua morte, e quindi per quello spicchio di vita che ci fece ritrovare nella stessa aula Iana, la consolidata del 19b. Perché, Professore Ordine, ho pensato che un omaggio meritevole – oltre ai tanti ricordi commoventi che ho letto dalle parole di chi ti ha conosciuto bene – potesse essere non tanto un meccanico riassunto del tuo curriculum o dei tuoi illustri riconoscimenti internazionali ma, piuttosto, il tentativo, magari anche goffo, di un ex studente, oggi trentaduenne, ancora “a spasso” anche per colpa tua.
Sì, Professore, per colpa di quell’Inutile di cui ci parlavi con passione durante le lezioni, quell’Inutile che vivificava le parole di Bruno o di Machiavelli, rendendole, per quelle due ore, così fondamentali da sembrare di non poter sopravvivere senza di esse, una volta usciti dall’aula. Questo Inutile, pensa, l’ho continuato a perseguire addirittura immaginando di lavorare per un Teatro o per una Biblioteca, e rimanendo a due passi da casa, perfino. Un biglietto di sola andata per la perdizione, in Calabria, visto che i pochi contraltari positivi – le giovani imprese culturali, le esperienze positive di giovani “rimasti” o “ritornati”, e così via – se si vanno a vedere un po’ più nel dettaglio, nascondono molto spesso, in modo intelligentemente velato, quei meccanismi tipici non del mondo “inutile”, ma di quello Utile, con la u maiuscola, cioè del motore del capitale e del profitto spasmodico. Non voglio farne un discorso generazionale, Professore, non più. Di generazioni riuscivo a parlarne meglio qualche anno fa, oggi, mentre rimango ormai indifferente ai ventenni e mentre continuo a subire il pressapochismo dei cinquantenni, non ci riesco più. Con il tempo mi sono fatto persuaso dell’idea che non si tratta tanto di “questi” anziché di “quei tempi”, quanto soprattutto di carattere e di duttilità. Io sono bravino in qualcosa, ma se dovessi trovare finalmente un lavoro più o meno stabile, mi costringerebbero a migliorare, a fare di più, a fare meglio nel minor tempo possibile. Quanto vogliono farci correre, e soprattutto perché? Ci sono veramente treni che se non pigli al volo non ritornano più nelle tue stazioni? Se abbiamo ancora così tanta paura di morire, perché ci obbligano a correre addosso alla morte? Questa ottimizzazione del capitale, dico io, a chi dovrebbe giovare, comunque, se non ad altri uomini, se non ad altre donne come noi? Non sono passati che due anni da quando ho finito gli studi, e già temo di avere dimenticato anche solo come si faccia a pensare.
Anche tu “correvi”, in un certo senso. Voglio dire, se c’è qualcosa che ricordo bene di te era la tua energia strabordante; dal poco che è possibile seguire di una persona, di un Professore, tramite le sue azioni pubbliche, ci si accorgeva immediatamente della tua forza comunicativa. L’esame di Letteratura Italiana I, comunque, non riuscii a sostenerlo con te, perché il mio ritrovarmi fuori corso mi costrinse a provarlo qualche anno dopo avere seguito il tuo corso, e quell’anno – mi pare di ricordare – tu ti eri preso un anno sabbatico dalle lezioni, per via della massiccia mole di impegni internazionali. Lì per lì, dopo essermela presa prima con me stesso, non la presi molto bene nemmeno con tutta la situazione: il Professore che ti sostituiva, che assisteva comunque alla tua cattedra, un grande ricercatore anche lui, non possedeva nemmeno lontanamente il tuo carisma. A lui non interessavano i miei “secondo me”, i miei “questa parte mi è piaciuta di più perché…”, chiaramente strumenti del mestiere di uno studente poco modello, per portare la discussione dal piano della secca interrogazione nozionistica a quello del dialogo. E a te il dialogo piaceva molto. Spiegavi i suoi meccanismi teorici e filosofici con una chiarezza e una semplicità che io, ancora acerbo alle cose importanti, fraintesi per molto tempo. Sì, perché gli anni successivi approfondii la conoscenza di altri professori, alcuni dei maestri imprescindibili, altri boriosi e incredibilmente avulsi a qualsiasi rapporto con gli studenti che andasse al di là del “buongiorno, ecco le slide di oggi”. Comunque, negli anni, mi facevo l’idea che lo studio fosse anche fatto di noia, di sudore, di disciplina, e sfido chiunque a sostenere il totale contrario. Ma, poiché miglioravo pian piano nei voti e, nonostante le poche soddisfazioni esteriori, iniziavo ad acquisire qualche sicurezza, divenni a tratti arrogante. Di un’arroganza segreta, si intende, perché con i miei quattro anni fuori corso non ero certo un modello da prendere come esempio. Poi è arrivata la laurea magistrale, due anni volati nella totale disillusione, la media alta, qualche lode, una tesi di ricerca scritta mentre portavo il lutto di mia madre, una madre che piango e rimpiango ancora a lungo, non solo perché è morta, ma anche per come ha vissuto prima: mia madre ha fatto enormi sacrifici per seguire l’utilità dell’Inutile ma quell’Inutile, che è e dovrebbe essere fondamento dell’anima, le è volato via dalle mani, perché le sue mani dovevano rimboccarsi le maniche a vicenda, senza sosta, una vita intera. E mi ha soddisfatto, il centodieci e lode della mia laurea specialistica, mi ha soddisfatto per il tempo necessario a svegliarmi qualche giorno dopo con la stessa vita di prima, gli stessi impegni mondani, culturali, sociali, solo più spaventato di prima.
Professore Ordine, forse è un po’ tardi. Forse è sempre stato tardi per aggiustare alcune cose, e sicuro lo sarà sempre per rimpiangere il passato. Ma, vedi, mentre piango la tua morte, faccio così tanta fatica a levarmi di dosso queste appiccicose appendici del tempo. Non sono più in grado di gestirlo, perché nessuno mi ha insegnato a gestire il tempo della vita, quello post-laurea, quello post-tituli. E mi stai facendo venire l’atroce dubbio che se avessi saltato qualche tua lezione in meno, magari avrei oggi, in mano, qualche appunto in più, utile allo scopo. Mi manca studiare, a volte atrocemente, ma devo stare attento a capire quanto sia lo studio in sé a mancarmi e quanto, invece, quel che ero, come vivevo, quando studiavo, quando Bruno e Machiavelli erano due fari che risplendevano nella notte del quotidiano. È così difficile, caro Professore Ordine, trovare un equilibrio con l’utilità dell’Inutile; molto più a mio agio (ma qui posso farne sì un discorso generazionale) mi trovo da sempre a star lontano dall’Inutilità dell’Utile, l’altra faccia della luna su cui, forse, sei stato persino più attento e appassionato, in una sorta di vera e propria denuncia intellettuale, per non dire spirituale. Perché seguire l’Inutile, se ben ricordo, oltre a garantire un buon biglietto per la felicità, mette al riparo dai rischi dell’aridità dello spirito, l’aridità che è figlia, oggi più che mai, dal mondo Utile. Questo è stato più semplice. È bastato leggere parecchio, scrivere, e quasi schifare i soldi intesi come strumenti. Quell’Utile è ormai ovunque, Professore, è entrato anche nella nostra amata Università, l’ho rivisto appena qualche settimana fa, quando sono tornato, dopo mesi, per ritirare una pergamena di laurea che potrebbe non servirmi mai, perché ho trentadue anni, perché i tempi possono essere quello che vogliono essere, certamente, ma tra otto anni ne avrò quaranta, e le tue lezioni saranno lontane un ventennio, un arco di tempo servitomi appena per capire chi io fossi, e che cosa fosse il mondo che mi stava circondando.
Oggi, poi, Professore Ordine, si fanno alcuni funerali di Stato, lo Stato piange la scomparsa di un pezzo di Utile, un grosso pezzo di Utile. Nella mia città suonano comunque le campane per la festa patronale di S.Antonio, questa sera faranno dei fuochi d’artificio, io sarò fra le strade e le piazze ricolme di gente, di facce amiche, tornerò a casa tardi e mi addormenterò senza più chiedermi se la felicità possa esistere davvero: era il puerile quesito che mi accompagnava nelle riflessioni notturne, fino alla tarda adolescenza. E, questo sì, lo ricordo bene, me lo chiedevo ancora, quando ancora studiavo, quando tornavo a casa con un quaderno sgangherato di appunti sulle poesie che ci leggevi il lunedì. Perché, finché ho studiato, mi sono sempre fatto molte domande. Caro Professore Ordine, sempre sorridente e vigoroso, quando ci facevi lezione tu… io non avevo alcun dubbio: la felicità poteva esistere, e tu non osavi mai dirci in maniera didascalica dove risiedesse. Tu ci davi gli strumenti per potervi credere. E per credere di poterla vivere. Un giorno, che allora sembrava così lontano e che, se non faccio attenzione, potrebbe già tramontarmi dagli occhi.
Vive a Lamezia Terme, legge e scrive dove gli capita. A tempo perso si è laureato in Beni Culturali e in Scienze Storiche, a tempo perso gestisce il blog Manifest e a tempo perso è responsabile della Biblioteca Galleggiante dello Spettacolo del TIP Teatro. Di fatto, non ha mai tempo. Ha esordito nel 2023 con il romanzo "Al di là delle dune" (A&B)
6 commenti
Aggiungi il tuoPenso che il Professore se potesse leggere queste righe sarebbe molto orgoglioso di lei .
Abbiamo perso un grande accademico, un grande uomo♥️
È vero, un grandissimo uomo, sta a noi che restiamo, ora, continuare la sua Lezione. Grazie mille per il suo commento ♥️
Commento stupendo. Sarebbe davvero entusiasta il Prof. Ordine, di leggeren questa sua pagina, perché ogni parola trasuda ” umano ” , il grande assente di questo nostro tempo, in cui ” l’utile” ha preso il sopravvento invadendo ogni campo, togliendo l’aria anche ai luoghi in cui ” l’inutile ” è seme che germoglia . Per germogliare però ha bisogno di tempo e di libertà. Grazie
Grazie a lei, di cuore, per il suo commento ♥️
Grazie per il bel ricordo e per la sua esperienza personale
Bellissimo. Riflesso di ciò che eravamo, di ciò che rischiamo di essere.