L’unica lotta contro il patriarcato che io possa immaginare di una qualche efficacia è la lotta comune, senza divisione (che non è senza differenze) tra donne e uomini. Se c’è una cosa che in questi giorni mi deprime e mi sfianca, non è la reiterazione, o la retorica, di tutti quei gesti simbolici, e gli slogan, delle manifestazioni, dei cortei ma è la facilità con cui tutto ciò viene liquidato da noi uomini. “Noi uomini”, che strano scriverlo, e ancora di più pronunciarlo. “Noi uomini”, completamente fiduciosi e sempre a debita distanza dal beneficio del dubbio, preferiamo sottostimare la portata e il sostrato concreto che gli slogan, i cartelloni, le scarpette rosse pure hanno, quando sono urlati, sostenuti e indossate da donne consapevoli: e se a urlare slogan, a issare cartelloni e a indossare scarpette rosse sono, magari, giovanissime ragazze lontane dalle nostre “idee” (sempre e comunque carenti, sempre troppo concentrate sugli aspetti conseguenziali, sulle strategie di rimozione del reo e raramente sulle strategie preventive del reato) ecco che la sottostima diviene addirittura scherno, repulsione. In parole semplici: anziché restare uniti, ci dividiamo sempre più. Donne e uomini. Ma “noi uomini” non possiamo permettercelo: più ancora che per le donne (ipotizzando un’assurdità, chiaramente, come potrebbe la vittima prendere le distanze dal problema?), credo io, il nostro allontanarci dal problema non può che acuire violenze, incomprensioni e storture. Per esempio, e questo sì che in questi giorni mi provoca l’orticaria, dove abbiamo trovato il (non)coraggio di lasciare le donne a lottare da sole? Dove abbiamo letto, quale mondo alla rovescia abbiamo vissuto, per credere che quanto stia accadendo sia un tema di ristretto ambito femminile? Chi ci ha ingannati nel grave errore di pensare alle donne come l’oggetto del genocidio (i numeri e la reiterazione del fenomeno possono consentirci di definirla tale) che continua a perpetrarsi ogni giorno, in ogni angolo del globo? Azzardo la risposta: proprio lui, ancora lui, lo stesso modello patriarcale che continua a essere sempre più osteggiato da un numero crescente di donne. Mentre “noi uomini” continuiamo ad arrampicarci sugli specchi. Ci piace abbassare il tiro, saper riconoscere la differenza tra “omicidio” e “femminicidio”, ci piace dire la nostra alle donne ma non ce la diciamo quasi mai tra noi uomini. Noi non ci siamo mai davvero confrontati. E ne abbiamo un bisogno urgente, perché i femminicidi, le violenze fisiche e psicologiche sulle donne, il patriarcato, non sono problemi delle donne. Sono problemi di “noi uomini” che si ripercuotono sulle donne e… persino su noi stessi. Ma su questo punto siamo pronti ancora in pochi. Quando anche “noi uomini” sapremo riconoscerci come vittime del modello patriarcale – quello che ci bolla e ci intinge della peggiore “cultura del maschio”, che da secoli e millenni ci impone l’utilizzo del muscolo e lo spegnimento dei sensi – forse avremo fatto un importante passo in avanti. E avanti a noi, là, le troveremo ancora: le donne, con le loro complessità e divergenze, con i loro “femminismi” diversi, perché diversi siamo noi persone. Le troveremo ancora impegnate nella battaglia contro il patriarcato, quello contro cui, da sempre, hanno gettato il sangue. E, mi piace pensare, in quel momento molte vite, vite di donna, saranno salve, e quelle strappate saranno vendicate.
Vive a Lamezia Terme, legge e scrive dove gli capita. A tempo perso si è laureato in Beni Culturali e in Scienze Storiche, a tempo perso gestisce il blog Manifest e a tempo perso è responsabile della Biblioteca Galleggiante dello Spettacolo del TIP Teatro. Di fatto, non ha mai tempo. Ha esordito nel 2023 con il romanzo "Al di là delle dune" (A&B)