Divina Commedia “censurata” in una scuola a Treviso? Non si capisce come poter giustificare la vicenda: due studenti di scuola media sarebbero stati “esentati” dallo studio della Divina Commedia a causa di motivazioni religiose, alla stregua, dunque, dell’esenzione dalle lezioni di religione cattolica. A quanto si apprende dalla stampa, la richiesta sarebbe partita proprio dal docente che, sottoponendo la questione alle famiglie dei ragazzi, avrebbe richiesto il consenso per lo studio di “un’opera a sfondo religioso”. Consenso negato. E per questo motivo il docente dedicherà ai ragazzi un programma “alternativo”, ovvero Giovanni Boccaccio (tutto uno sfondo, quello dell’Opera di Boccaccio, in cui evidentemente i riflessi religiosi non si riescono a scorgere…).
Basterebbero già queste poche righe per sorridere sommessamente, con non poca mesta ironia, ma è inutile dire che anche questa storia, al netto dei commenti a caldo di indignazione, di incomprensione, di giustificazione, dovrebbe portarci, prima di tutto, a una serie e approfondita riflessione, non solo sul ruolo, sulle responsabilità, sullo status della nostra scuola italiana, ma anche più in generale su quanto abbiamo creduto e crediamo di aver compreso sulle nostre identità.
Un problema di identità
Definire la Commedia una “opera a sfondo religioso” è innanzitutto una riduzione ai minimi termini poco onesta: qui non servono molte parole a ricordare il carattere fortemente universale e universalizzante dell’Opera cardine non solo della nostra Letteratura, ma proprio di tutta una civiltà, di una identità italiana che, come dovremmo ricordare più spesso, gode di questa particolarità rispetto alla gran parte delle altre culture (europee ed extrauropee): è nata dalla sua stessa lingua, ben prima dei secoli e secoli di stratificazione/unificazione politica e geografica. Che Dante, volente o nolente, sia stato un Precursore, è fuori d’ogni dubbio. Non tutte le Letterature possono vantarsi d’aver lavorato d’anticipo di sei secoli rispetto alla “storia”.
Ma ancora più incomprensibile, se possibile, è l’incapacità di trattare in modi adeguati tutta quelle serie di metodologie didattiche e pedagogiche volte all’afferrare il concetto di contestualizzazione. È lo stesso problema che si percepisce, secondo noi in modo particolarmente stringente e preoccupante, nei più disparati esempi di Cancel Culture provenienti da più parti del globo occidentalizzato.
Passino le motivazioni addotte dai vari protagonisti (che siano cioè pensate per “integrare”, per “includere”, per la “non offesa”, per percepite esigente di non meglio specificate “modernizzazioni”, ecc.), passino le controdeduzioni, troppo facilmente strumentalizzabili dalle forze politiche di tutte le parti, a noi cosa rimane di queste notizie? Lo scrupolo, il dubbio, più di uno a dire il vero, di non avere mai compreso veramente chi siamo, perché non c’è identità – anche quella più fluida, più liquida, più cangiante, quella apolide, l’apolitica, – senza un contesto a cui fare riferimento. E il contesto odierno, dell’Italia di oggi, della scuola italiana rimane tutt’ora basato su certe radici storiche e letterarie il cui studio – quello vero, quello che conosce i rischi dell’etnocentrismo – passa necessariamente da contenuti “a sfondo religioso”.
Un’occasione mancata
Lo studio, e fin dalle scuole primarie, dovrebbe come minimo far passare questo semplice ma potente messaggio a tutti i giovani studenti: la comprensione dei fenomeni, l’acquisizione delle conoscenze e anche delle competenze avvengono per aggiunte, per comparazioni, per prove, per attività di laboratorio, per aggiunte e aggiunte di “cose”, dunque, mai per diminuzione. Il “togliere”, tutt’al più arriva dopo, in un’avanzata fase di ricerca scientifica, quando si hanno acquisito metodologie complesse di ricerca, appunto.
Nel frattempo, in questa scuola media di Treviso, il docente avrebbe potuto, per esempio, arricchire la discussione sulla Commedia e sui suoi sempre più riconosciuti legami con la cultura musulmana medievale. Ma forse, evidentemente, era chiedere troppo.
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Vive a Lamezia Terme, legge e scrive dove gli capita. A tempo perso si è laureato in Beni Culturali e in Scienze Storiche, a tempo perso gestisce il blog Manifest e a tempo perso è responsabile della Biblioteca Galleggiante dello Spettacolo del TIP Teatro. Di fatto, non ha mai tempo. Ha esordito nel 2023 con il romanzo "Al di là delle dune" (A&B)