Loretta Emiri, umbra di nascita, è una scrittrice naturalizzata brasiliana. Sono circa 20 gli anni che Loretta ha trascorso in Brasile. Nei suoi racconti, pare che il tempo si sia fermato, che il tempo non abbia alcuna linea di demarcazione tra ieri e oggi, ma passa intenso insieme alle sue esperienze.
Un viaggio, quello che descrive e fa compiere al lettore attraverso i suoi libri, dallo sguardo acuto pronto a duplici riflessioni e a stupire. Senz’altro un viaggio ricco di fascino e di scoperta circa un mondo, a noi occidentali fin troppo sconosciuto ma che grazie all’autrice impariamo ad averne curiosità, seguito da una fame di conoscenza, non fosse altro per capire la natura dell’uomo di quante sfaccettature è composta, per dare atto all’idea di cultura in movimento, mutevole, a seconda dell’angolo di mondo in cui ci troviamo, e di come l’identità non sia mai un concetto statico, cristallizzato, e può spesso essere strumento forte di persuasione. La Emiri ha attuato un piano di coscientizzazione notevole, volto a fornire alle comunità indigene nuovi strumenti che mettessero in condizione di analizzare criticamente il mondo dei bianchi e di difendersi nello scontro con esso. Come evidenzia Maria Rossi, nella presentazione di ‘A passo di tartaruga’, la scrittrice parte da una esigenza di cambiamento per prendere le distanze dalla sua stessa vita: “Discretamente, ma con grande forza, Loretta Emiri accompagna il lettore in un viaggio che non è fatto solo di distanze, ma anche di incontri, di avvicendamenti culturali, di lingue e di sguardi, attraverso le pagine di questo diario scomposto della sua vita a cavallo tra più culture, quella italiana, quella latinoamericana e quella yanomami.”
“Ogni racconto di vita vissuta raccolto all’interno di questo prezioso libro è un invito a spogliarsi di qualsiasi simbolo che demarca le nostre tante fragili identità per ricevere la benedizione di un capo tribù che ci riporti alle origini dell’uomo in quanto essere pensante e dotato di uno spirito carico di sentimenti, principi e valori universali.”. Si legge così in quarta di copertina di ‘A passo di tartaruga’.
Perché sei una latinoamericana per scelta?
Mi sono naturalizzata brasiliana per non correre il rischio di essere espulsa dal Brasile. Le rivendicazioni dei diritti degli indios erano fatte a partire dalla demarcazione delle loro terre, che era però interpretata come tentativo di internazionalizzazione delle terre stesse. Gli stranieri che operavano con gli indigeni erano accusati di ingerenza in politica interna, di attentare alla sovranità nazionale, di essere agenti al soldo dei paesi interessati allo sfruttamento delle risorse minerarie purtroppo presenti nelle terre indigene; quindi correvano il rischio di essere facilmente espulsi. Una volta divenuta brasiliana, ho potuto definirmi latinoamericana, dimensione identitaria a cui sento di appartenere per il mio peculiare modo di essere e di sentire.
Com’è avvenuto l’incontro con la collana ‘Incroci’ della casa editrice Arcoiris?
Ho conosciuto Maria Rossi, curatrice della collana ‘Incroci’, durante un convegno che ha, praticamente, segnato la nascita de La macchina sognante – Contenitore di scritture dal mondo.
Fai parte della redazione de La macchina sognante? Parlaci un po’ di questo contenitore di scritture dal mondo.
La macchina sognante è un contenitore on-line di scritture dal mondo che richiamano l’attenzione sulla prorompente forza della testimonianza, dell’esperienza, della memoria; scritture che affrontano con coraggio temi legati a guerre, ingiustizie, alterità. Attraverso questo progetto, i singoli redattori, anzi i “macchinisti”, si prefiggono di portare avanti in forma collettiva il loro personale impegno a favore dei diritti umani e di una letteratura solidale con chi tali diritti se li vede calpestati. Ho dato il mio contributo alla creazione del contenitore e ho collaborato alla redazione del Numero 0, mentre nei numeri successivi i miei scritti sono stati generosamente accolti.
A passo di tartaruga è una raccolta di racconti nella quale si mescolano diverse culture, dove l’identità è in movimento…e dove si trovano differenze e anche alcune analogie con l’occidente?
Più che evidenziare le analogie, la mia scrittura mette a confronto il primo mondo con il terzo mondo e con il mondo cosiddetto primitivo. L’intuito è quello di contribuire a far sì che gli occidentali prendano coscienza del fatto che non sono esseri superiori: ritrovandosi faccia a faccia con situazioni processate e risolte in maniera differente dalla propria, dovrebbero capire che tutte le altre società e culture del mondo non sono inferiori ma solo differenti, appunto.
Se dovessi descrivere in poche righe la selva amazzonica, cosa diresti?
Direi che nella lingua yanomami la parola urihi significa foresta, ma anche terra, mondo. Per alcuni anni la foresta amazzonica è stata la mia casa, la mia terra, il mio mondo, il mio universo; per cui oggi, attraverso la scrittura, traccio sentieri nella foresta della vita.
Hai compiuto un passo importante nel fornire una coscienza critica in quei luoghi…
Ce l’ho messa tutta. Ho fatto del mio meglio affinché gli indios prendessero coscienza dei loro diritti e, organizzati, passassero a rivendicarli e proteggerli. Così come faccio il possibile per sensibilizzare gli uomini bianchi circa il diritto che gli indios hanno di vivere nei propri territori ancestrali, secondo i loro usi, costumi, credenze, continuando a usare la propria lingua, perché la lingua racchiude in sé tutta la cultura, ne è la rappresentazione in miniatura. Gli indios debbono essere lasciati liberi di scegliere cosa vogliono incorporare della cultura occidentale, senza violenze, senza imposizioni, senza genocidi, né etnocidi.
Qual è il rapporto con la tradizione?
La tradizione è ciò che le radici sono per un albero. Più le radici sono profonde meno l’albero corre il rischio di essere spazzato via durante una tormenta. Solide radici mitologiche, filosofiche e culturali garantiscono la crescita rigogliosa di qualsiasi società, anche di quelle minoritarie.
Cosa ti ha sorpreso maggiormente di queste esperienze cangianti?
Nel cesto da carico che la donna yanomami trasporta quando il gruppo locale si sposta nella foresta, sono contenuti tutti i beni materiali appartenenti alla famiglia; ripeto: appartenenti alla famiglia. Da molti anni ormai, uno dei maggiori problemi che l’occidente affronta è lo smaltimento dei rifiuti. Produciamo rifiuti, non riusciamo più a smaltirli, la loro tossicità ci sta sterminando. Più accumuliamo, più siamo insoddisfatti. La tranquillità, la serenità, l’allegria sgorgano fuori dai sentimenti, dalla complicità che gli esseri umani instaurano tra di loro, non certamente dalle cose che riescono ad accumulare. A contatto con gli yanomami ho potuto verificare di quante poche cose l’uomo ha veramente bisogno per vivere dignitosamente.
Come emerge dalla presentazione di Maria Rossi, altra macchinista, c’è dell’ironia intelligente nella tua penna, attraverso cui evidenzi quelle che sono le ipocrisie dell’occidente.
L’ironia è un’arma di cui dispongo, come la scrittura. Cosa possiamo contro i potenti, i prepotenti, i violenti, i corrotti? Io utilizzo la scrittura anche per denunciare l’operato di questi energumeni; quanto all’ironia spero che essa serva, almeno, a far sentire loro quanto bestiali, ridicoli e meschini siano.
Cos’è la nostalgia?
Per esprimere nostalgia io utilizzo il termine saudade, che rimanda a un ricordo nostalgico e, allo stesso tempo, soave, di persone o cose distanti o estinte, accompagnato dal desiderio di tornare a vederle o possederle. La mia saudade è una resina incolore che applico al grezzo quotidiano per far risaltare le venature del passato che ho avuto il privilegio di vivere tra gli indios brasiliani.
Cosa è la scrittura? Tra gli autori che trattano il viaggio hai dei riferimenti?
La rielaborazione dell’esperienza che ho fatto è esplicita e voluta, per cui posso affermare che attraverso la scrittura sto dando continuità all’esperienza stessa. Scrivere è anche la maniera incontrata per esprimere sentimenti di riconoscenza e solidarietà nei confronti degli indios brasiliani, che hanno dato senso alla mia vita. I viaggi da me descritti sono essenzialmente interiori. A volte i percorsi interiori seguono anche itinerari fisici, ma il viaggio di cui tratto nei miei scritti va inteso nella sua accezione metafisica. L’amico e scrittore Tullio Bugari ha coniato un’espressione che molto mi ha emozionata; secondo lui i miei sono “racconti di manutenzione dello spirito”.
Al momento dove vivi? Cosa sogni per il futuro?
Vivo nelle Marche, dedicandomi completamente alla scrittura. Sogno di poter visitare i miei amici indigeni e brasiliani. Ma il sogno più ricorrente è che la mia scrittura esca dalla cucina in cui è relegata, cosa che, quasi sicuramente, sarebbe già avvenuta se avesse un pene invece che una vagina…
Valeria D'Agostino è giornalista pubblicista, curiosa del bello, amante della natura e della poesia. Ha contribuito a realizzare il Tip Teatro di Lamezia Terme, già ufficio stampa di Scenari Visibili, blogger sin dagli esordi di Manifest Blog. Ha lavorato per Il Lametino, attualmente corrispondente esterna della Gazzetta del Sud. Nell'ambito della scrittura giornalistica ha prediletto un interesse particolare per le tematiche sociali, quali in primis la sanità e l'ambiente, culturali, e artistiche. Si divide fra Lamezia Terme e Longobardi, costa tirrenica cosentina dove si occupa di turismo e agricoltura biologica. "Un buon modo per dare concretezza al concetto di fuga".