Siamo un urlo nella notte

“Siamo un urlo nella notte”. Non appena veniamo al mondo – sin dal momento del distacco dal grembo materno – ci sentiamo ‘spaesati’ e per tutta un’intera vita saremo alla continua ricerca del perché del nostro stare al mondo, senza mai capacitarci del fatto che la nostra insoddisfazione più grave, più sentita, deriva ‘naturalmente’ da quel distacco. Una venuta al mondo, alla luce, che comporta fatica e buio nello stesso attimo. Poi si cresce, e con la consapevolezza del nostro stare al mondo cresce la consapevolezza del ‘distacco’ dal grembo, e cresce il dolore, e i nostri occhi guardano al dolore. Da quel momento…siamo un urlo, un gigantesco urlo nella notte, che imperterrito vola, vola e non smette mai di volare come un uccello in cerca di un nido, ed anche una volta trovato non smette mai di saziarsi, non lo crede mai vero, plausibile. Perché?

E il tempo ci conduce alle domande senza le risposte. Ci conduce a dei mezzi respiri, all’ansia e alla preoccupazione, ci conduce ad uno ‘spaesamento’ totale riguardo a coloro che ci stanno intorno, e ci sentiamo sempre più estranei, estranei a tal punto che non ci riconosciamo più neanche noi. E allora…chi sono io? Cosa faccio e cosa sto pensando? Mi fermo, mi discosto un attimo i pensieri…niente, poi mi perdo e poi ritorno, deliro, ho una smania che non mi fa respirare, ho lo stomaco pieno ma ho sempre fame. Cosa è un desiderio? È un pensiero senza ‘fine’. È un’infanzia felice o infelice. Vorrei? Non so.

Si perde tempo, o si perde tempo nel pensare che si perde tempo? E allora il tempo e la sua perdita cos’è se non un alibi? Eppure stanca, invecchia, cancella ogni traccia, e tutte le ombre ti si avvicinano, ti accarezzano, ti entrano dentro, e non vanno via più. Se ne perde di tempo a non comunicare, a non tentar di comunicare. Se ne perde a non conoscersi, a non tentare di conoscersi. Si perde tanto tempo, e scegliamo per comodità – che un giorno o l’altro manderemo a quel paese se non sarà prima lei a sbarazzarsi di noi – scegliamo di abbassare il capo, di rimescolare un urlo al silenzio stampato, scegliamo di andare a dormire troppo presto la sera, scegliamo di stigmatizzarci e di etichettarci per altri 100 che non siamo noi, nessuno di noi, e scegliamo di evadere sempre restando dentro i soliti problemi, abbiamo paura delle ossessioni, delle manie, dei turbamenti. Perdiamo tempo per pensare a dare un tempo ad ogni minima cosa, a mettere un promemoria per ogni piccola e banale cosa, una sveglia per la sveglia, una per fare la spesa, un’altra per apparecchiare la tavola e un’altra ancora per lavare i piatti. Ci dimentichiamo di una passeggiata, di fare due chiacchiere col postino, di cui non conosciamo più  la faccia, ci dimentichiamo dei nostri figli, ci dimentichiamo dei nostri padri. Li cerchiamo altrove e fuggiamo da loro. Fuggiamo da loro e non li cerchiamo più. La verità è che il tempo ci trasforma – mentre urliamo nella notte – io ‘figlia’ sono diventata ‘madre’ e la madre mia è mia figlia. Mio padre è mio figlio ed io sono padre a mio padre. Urliamo nella notte e perdiamo tempo nella confusione del tempo, urliamo nella notte e piangiamo senza tempo, ma di nascosto, per non tradire l’immagine sbiadita di noi stessi. E come potremo mai ri-trovarci?

Valeria D'Agostino è giornalista pubblicista, curiosa del bello, amante della natura e della poesia. Ha contribuito a realizzare il Tip Teatro di Lamezia Terme, già ufficio stampa di Scenari Visibili, blogger sin dagli esordi di Manifest Blog. Ha lavorato per Il Lametino, attualmente corrispondente esterna della Gazzetta del Sud. Nell'ambito della scrittura giornalistica ha prediletto un interesse particolare per le tematiche sociali, quali in primis la sanità e l'ambiente, culturali, e artistiche. Si divide fra Lamezia Terme e Longobardi, costa tirrenica cosentina dove si occupa di turismo e agricoltura biologica. "Un buon modo per dare concretezza al concetto di fuga".

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