Taranto bella e amara. Diario di un viaggio. Giorno 3

Sabato 01/10

Ore 7.00 Di nuovo svegliata dalla voce della città. Stamattina la stanchezza mi impedisce di passeggiare molto e percorro solo brevi tratti nel Borgo Vecchio, fra bancarelle di frutta e magnifici palazzi barocchi che si aprono d’improvviso a squarci di mare.

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Mi ritrovo a fare colazione e scrivere al solito tavolino del solito bar. È curioso come dopo pochissimo tempo alcuni posti ci sembrano nostri e le persone familiari: almeno questo penso quando la ragazza della caffetteria sorride dietro il gilet nero e i capelli cortissimi.

Mentre scrivo ascolto la radio: penso che la radio mi piace perché ti fa ascoltare musica che altrimenti non ascolteresti, che poi è lo stesso motivo per cui non mi piace. Fortunatamente, stavolta sono io a poter cambiare stazione.

Ore 9.15 Inizio del convegno.

Ore 14.00 Finita la sessione mattutina pranzo con alcuni colleghi nel chiostro del convento che è sede dell’università. Si parla di libri, scavi, progetti, nuovi lavori e prossimi appuntamenti…e in fondo “andare a Taranto”, oltre ad essere aggiornati sulle nuove scoperte significa soprattutto tessere o rinforzare legami, altre volte per dichiarare guerra!

20160930_154414Ore 15.45 Aspetto A. e M.T. per rientrare in macchina. Un’ultima breve passeggiata, lungo il tratto di mare fra il castello e il Monumento al Marinaio inaugurato nel 1974 che campeggia all’incrocio fra il corso dei Due Mari e il lungomare Vittorio Emanuele. Dai loro 7 metri di altezza le due figure agitano il berretto, salutano e accolgono le navi che attraversano questo mare, confondendosi con l’orizzonte.

 

 

 

 

20161001_162533Ore 16.20 Partiamo, costeggiando l’isolotto del Borgo Vecchio che si affaccia sul Mare Piccolo, che i Tarantini chiamano semplicemente “la Marina”, con chioschi di ricci di mare e barche che sembrano aver trovato un luogo sicuro.

 

 

 

In uscita dalla città ci viene di nuovo incontro il paesaggio dominato da un groviglio di ciminiere, vasche, altiforni. Il cielo è più spesso e opaco.

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Leggo delle cifre spaventose sulle emissioni tossiche, dell’incidenza tumorale esorbitante rispetto alla media nazionale, di polemiche e contenziosi giudiziari, del referendum nel 2013 in cui i cittadini di Taranto hanno dovuto scegliere tra salute e lavoro e infine di Giacomo, che aveva 25 anni e appena due settimane fa è morto schiacciato da un nastro trasportatore nel reparto Afo4 .

Mi chiedo, mentre l’auto viaggia verso il “mio” Sud, se Taranto non sia in realtà uno dei tanti specchi del nostro Meridione: un paradiso disperato in cui è impossibile vivere e da cui è impossibile stare lontani. E mi torna alla memoria la frase del generale Quinto Fabio Massimo, che dopo aver conquistato la città nel 209 a.C., lasciò ai Tarantini, quasi come una maledizione,  i simulacri dei “loro dèi adirati”.

Archeologa. Bibliofila. Abibliofoba. Lettrice vorace, scrive fin da quando è in grado di farlo, ma declina puntualmente la responsabilità di spiegare i contenuti, con l'elegante pretesto che "la penna ne sa di più di chi scrive".

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