Si piange per una persona che non si è mai incontrato?
Per una persona con cui si sono scambiate solo poche mail?
Per una persona a cui nonostante ciò si è continuato a pensare, per via di una sofferenza enorme solo immaginata e di una strana, insoluta, affinità?
Sì.
Sì.
Sì.
Noi archeologi passiamo giorni che diventano anni a scavare e schedare tombe, parlare di rituali funerari, riflettere su inumazioni e cremazioni, interpretare simboli e immagini scelti per la tomba, catalogare corredi funerari, eppure…
Eppure, nonostante questa macabra frequentazione quotidiana, nonostante ci sforziamo di tenere sempre presente che dietro gli oggetti c’è un dolore che non cambia nei secoli, quando la morte ci colpisce da vicino lo fa con la stessa violenza che con chiunque altro e con la stessa crudeltà ci aggredisce le viscere, fino a contorcerle.
Quando ho saputo di Raphaelle, di una battaglia persa contro un male durato anni -ma si combatte il destino? un nodo si è stretto intorno al respiro e il vuoto ha preso a ronzarmi nelle tempie, insopportabile.
“Scrivi ogni giorno il mio nome, ma guardami in faccia ancora una volta: io sono tremenda e sono incomprensibile” mi ha detto più tardi la Morte, mentre gli alberi stormivano al buio.
A Raphaelle, che non conoscevo e per cui ho pianto
Sit tibi terra levis
Archeologa. Bibliofila. Abibliofoba. Lettrice vorace, scrive fin da quando è in grado di farlo, ma declina puntualmente la responsabilità di spiegare i contenuti, con l'elegante pretesto che "la penna ne sa di più di chi scrive".