I Cardi del Baragan – Panait Istrati – Recensioni in pillole
Letteratura di periferia, per seguire sentieri poco battuti, per ridare alla parola il suo potere creativo e curativo.
Dedico questo libro
al popolo di Romania,
ai suoi undicimila assassinati
dal governo rumeno.
Crimini perpetrati nel marzo del 1907
e rimasti impuniti.
“Ma che certezza abbiamo noi dell’utile e dell’inutile?”. Questo si chiede Panait Istrati mentre descrive il Baragan, vasta pianura incolta della Valacchia danubiana. Forno in estate e lastra di ghiaccio in inverno, il Baragan riserva una vita dura ai miseri contadini romeni che la abitano. E dalle viscere di questa terra non viene fuor nulla, eccetto i cardi.
“I cardi di cui stiamo parlando si presentano appena si scioglie la neve, sotto la forma di una minuscola palla, come un fungo, una spugnola. In meno di una settimana invadono la terra. E’ tutto quello che il Baragan riesce a sopportare sulle sue spalle.”
Distese immense di cardi dominano il Baragan, terra inospitale. I contadini non riescono a cavare nulla da questa pianura. Eppure, “la terra non è stata data all’uomo solo per nutrirgli il ventre. Vi sono angoli che sono destinati al raccoglimento”. E che vuol dire? Vuol dire che ci sono luoghi che ammaliano per la loro indomabilità. Un luogo domato dall’uomo e asservito ai suoi bisogni è un luogo prevedibile, leggibile, che non trasmette alcunché: a che serve un luogo del genere?
Il Baragan è povero, spoglio, inospitale, e per questo “è una terra senza padrone”, una terra libera, dove gli interessi predatori dell’uomo non attecchiscono. C’è un legame, una connessione tra paesaggio e animo umano; ed è per questo che l’animo dell’uomo del Baragan è vagabondo, zingaro.
A Settembre, quando il tappeto di cardi è già steso sul Baragan, giunge il vento di Russia, il crìvat. Il minuscolo gambo dei cardi si spezza e i rotondi cardi iniziano a rotolare, a mille a mille: “vengono Dio sa da dove e vanno Dio sa dove”, dicono i vecchi dei villaggi.
In questa terra disperata Istrati inserisce le vicende di un misero ragazzo figlio del Baragan. La corsa dei cardi fa da sfondo al lancio del ragazzo-uomo nel mondo: “noi corremmo per tutta questa prima giornata, lunga e ricca come una vita, piena di terra, di cielo, di sole e di crìvat”.
Il tema della corsa, del viaggio senza fine e senza meta, delle gambe e della testa che non trovano riposo, dischiude il simbolo di una vita peregrina ed esule. Dietro la corsa – o forse migrazione? – vi è l’eterno scontro tra possidenti e miseri. Il romanzo è infatti ambientato durante le rivolte contadine romene del 1907, causate dalla distribuzione iniqua delle proprietà terriere: “e la loro vita non aveva più nulla d’umano, in questa lotta per un pugno di farina e per un ramoscello da gettare nel fuoco”.
Il viaggio degli umili è un viaggio di bisogno e di sconforto. Lungo la pianura del Baragan i disperati vanno avanti e indietro, come se a sospingerli fosse un vento che non possono controllare; proprio come i cardi di questa terra lontana, che fluttuano senza meta e che pure il lettore ammira per la loro libertà.
“Dove andiamo, Yonel?”
“Nel mondo, Matake, con i cardi alle nostre calcagna!”.
I Cardi del Baragan – Panait Istrati
Pubblicato nel 1921
Edito da Argo, 2004
Sono nato dall'increspatura dell'onda. Non ho deciso io il mio destino, ma il mare che tutto sospinge e muove. - Tu navigherai - mi disse un giorno. E così sono alla ricerca di Itaca. Ho un cuore mediterraneo, crocevia di emozioni e incoerenze, come i molti popoli di questo mare. Ma come posso dire con certezza chi sono?