Sei libri per capire la Bosnia-Erzegovina

Il 23 maggio 2024 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha proclamato l’11 luglio Giornata internazionale di riflessione e commemorazione del genocidio di Srebrenica.

L’11 Luglio 1995, infatti, avvenne l’episodio più grave delle guerre Jugoslave. 8.372 bosniaci vennero massacrati dalle milizie di Ratko Mladić nei pressi della cittadina di Srebrenica, al confine tra la Bosnia e la Serbia.

In queste righe non si darà una ricostruzione di quei fatti atroci. Manifest vuole consigliare, invece, sei libri per comprendere gli antefatti, le cause e il contesto storico-culturale nel quale avvenne uno dei più atroci crimini della storia moderna.

2. Capire la Bosnia con i libri

La Bosnia ha un destino tragico, che le ha riservato solo brevi intervalli di pace e stabilità. Allo stesso tempo, è una terra di profonde e antiche tradizioni, frutto dell’incontro di molte culture e popoli.

I sei libri coprono un arco temporale lungo 500 anni. Passeremo dal dominio Ottomano fino all’occupazione Austro-Ungarica, per approdare al regime degli Ustacia fino all’esperienza Jugoslava. Scopriremo le genti della Bosnia, da sempre divise e mai in pace, cercando di comprendere questa terra misteriosa.

  1. Il Ponte sulla DrinaIvo Andric

Le lunazioni si susseguivano e le generazioni sparivano rapidamente, ma il ponte restava, immutabile, come l’acqua che scorreva sotto le sue arcate.

Nella Bosnia del secondo dopoguerra vedono la luce le opere di Ivo Andric, del quale consigliamo ben 3 libri. Ivo Andric è il cantore dei Balcani e, in particolare, della Bosnia. L’opera di Andric venne premiata nel 1961 col Nobel alla letteratura, unico di tutta la Jugoslavia.

Avete mai letto un libro il cui protagonista sia un ponte? Il ponte sulla Drina ripercorre le fasi più importanti della storia bosniaca, dal 1500 fino alla Prima Guerra Mondiale. Più che un libro, è l’epopea di un popolo.

Andric canta i contadini serbi, i religiosi cattolici, i commercianti turchi e i locandieri ebrei. Ci sono soldati, studenti, maestri e bottegai; passando per guerre, inondazioni, catastrofi e cambi di domini.

Andric muove sapientemente i personaggi del suo mosaico e non perde occasione di ricordarci come le vicende personali – apparentemente insignificanti – si saldano e influenzano le vicende che riguardano tutti gli uomini.

L’opera è ambienta a Višegrad, cittadina situata lungo il fiume Drina, confine naturale tra Bosnia e Serbia.

Sebbene fosse un piccolo centro di periferia, Ivo Andric definisce Višegrad come “la mia vera casa“: qui la cultura orientale e occidentale si mescolavano meglio che altrove. Infatti, proprio a Višegrad venne costruito nel 1571 un bellissimo ponte dal gran visir Mehmed Paša Sokolović, inserito nell’elenco dei Patrimoni dell’umanità dell’UNESCO.

Tutto ciò che questa nostra vita esprime – pensieri, sforzi, sguardi, sorrisi, parole, sospiri – tende verso un’altra sponda, verso una meta tramite cui acquista il suo vero senso. Tutto è un passaggio, un ponte le cui estremità si perdono nell’infinito […] e la nostra speranza è su quell’altra sponda.

Secondo Andrić, le posizioni apparentemente contrastanti dei diversi popoli della Jugoslavia potevano essere superate attraverso la conoscenza della storia, che avrebbe potuto aiutare le generazioni future a evitare gli errori del passato.

 

2. La cronaca di Travnik – Ivo Andric

Fu assalito come dal soffio di uno strano silenzio che proveniva dal versante bosniaco, il silenzio sconosciuto di un mondo nuovo

Siamo all’inizio dell’800 e la cittadina di Travnik è scossa da un evento mai verificatosi prima. Il console francese Daville viene inviato da Parigi nel piccolo paese bosniaco.

Nella tranquilla Travnik piomba così l’eco del confronto-scontro tra l’Occidente Napoleonico, Illuministico, rivoluzionario e un Oriente schivo e radicato alle proprie tradizioni.

In parallelo al confronto tra nazioni si consumano i conflitti interni e umani. Da un lato c’è il console Daville, diplomatico di lungo corso, borghese e calcolatore, “nato con le doti dell’uomo onesto, sano e mediocre”; dall’altro il giovane funzionario De Fosses, “intraprendente ed energico, con il suo spirito curioso e la sua vivacità intellettuale”.

Ai tumulti personali degli Europei, smaniosi di idee e di passioni, viene accostata la saggezza e la pazienza Orientale, indifferente dinanzi ai piccoli ed inutili problemi del console lamentoso.

E così, davanti alle tediose ricostruzioni di battaglie, di vittorie e di intrecci politici del grigio Daville, il Tefendar, funzionario Ottomano, risponde criptico al console: “Sì, signore, ognuno vede il vincitore in tutto il suo splendore o, come dice il poeta persiano, il volto del vincitore è come la rosa”.

Il romanzo termina con la consumazione della tragedia umana del console. Sconfitto Napoleone, il disperato Daville fuggirà in Francia. Travnik tornerà così alla sua placida calma, lontana dal frastuono e dai conflitti.

3. Racconti di Sarajevo – Ivo Andric

Sull’altura, sotto la muraglia della fortezza, il medico si fermò e, appoggiato al parapetto, osservò sotto di sé Sarajevo, che in quel momento fra il giorno e la notte appariva vibrante e irreale.

Ivo Andric dedica 7 racconti alla seducente Sarajevo. La città si arrampica sulle colline e si raccoglie attorno al fiume Miljacka.

I racconti abbracciano il periodo storico che va dalla conquista della Bosnia da parte della truppe austro-ungariche fino alla Seconda Guerra Mondiale.

Sebbene i racconti siano apparentemente sconnessi tra loro, Andric non perde la sua lucida visione di insieme e profetizza il tragico destino che incomberà sulla Bosnia. Con la caduta del potere Ottomano, Andric rintraccia le prime crepe tra le religioni che coabitano in Bosnia:

“l’odio che fa scontrare l’uomo contro il proprio simile e che poi rigetta nella miseria e nella disgrazia o sottoterra ambedue i contendenti; l’odio che, come un cancro nell’organismo, consuma e divora tutto intorno, per autodistruggersi, poiché un tale odio, come il fuoco, non possiede un volto fisso né una vita autonoma; è solo l’anima dell’istinto di devastazione e di autodistruzione. Esiste unicamente come tale ed esisterà soltanto finché non avrà realizzato del tutto il proprio compito di annientamento totale”.

Il regime degli Ustacia è la prima avvisaglia degli odi che insanguineranno i Balcani. Le persecuzioni degli Ustascia causarono quasi un milione di morti tra Ebrei e Serbi. A Sarajevo vivevano migliaia di Ebrei e fu oggetto di durissimi rastrellamenti. La comunità ebraica della Bosnia venne così annientata, con la perdita inesorabile di una parte fondamentale della cultura Bosniaca.

4. Le Stelle Che Stanno Giù – Azra Nuhefendic

Un’intera generazione di ventenni di Sarajevo è sepolta nei luoghi dove una volta si dondolavano sull’altalena, passeggiavano con la fidanzatina, o sognavano un futuro da calciatore

Le Stelle Che Stanno Giù è una cronaca commovente e toccante della scrittrice e giornalista Bosniaca Azra Nuhefendic.

I 18 racconti sono ambientati nella Bosnia al tempo della dissoluzione della Jugoslavia. Le vicende, narrate in prima persona, sono descritte senza filtri e con onestà. Ci restituiscono un quadro umano composito e variegato, dove amico e nemico si fondono e confondono, dove giusto e ingiusto perdono rilevanza e lasciano spazio all’assenza di emozioni e volontà.

La guerra entrò in ogni casa e che seguì logiche deviate e perverse. Lo testimonia la vicenda di Mila, una donna serba di Belgrado il cui marito è un bosniaco musulmano. Ha due bambine e, per l’epoca, una casa nel posto sbagliato: a Sarajevo, in un quartiere controllato dalle milizie serbe. Mila sa che è questione di tempo prima che vengano a prendere il marito. Si ingegna in tutti i modi per tentare di salvarlo, ma inutilmente. L’uomo, però, non verrà imprigionato o torturato. Combatterà per le milizie serbe, contro i “suoi”.

La guerra creò tanti fronti invisibili. Le case stesse diventarono campi di battaglia, dove si combattevano i sentimenti di colpa, gli odi, amori e disperazioni.

Nuhefendić è consapevole che anche il più profondo dolore svanisce nel tempo, perché “con il passare degli anni siamo in grado di accettare anche le perdite che ci parevano inammissibili”. Quello che non passa mai è “il sentimento provocato dall’ingiustizia”. Nella Bosnia sopravvissuta alla guerra i criminali “vivono accanto alle vittime, come se nulla fosse accaduto».

Come si può, quindi, dimenticare?

5. I miei genitori – Aleksandar Hemon

Tra i tanti aspetti spaventosi della guerra, c’è anche quello di essere un campo narrativo vasto quanto un universo, perché sfocia in modo ineluttabile e brutale nella migrazione

Aleksandar Hemon regala un racconto biografico sulla dissoluzione della Jugoslavia. Due sono gli elementi predominanti: il senso della perdita e l’ironia.

L’autore percorre i suoi ricordi con la disillusione di chi non guarda al passato con nostalgia. Lo scrittore segue un duplice il piano narrativo: quello dei genitori, che hanno vissuto la nascita della Jugoslavia dalle ceneri del dominio nazista; e quello del narratore, per il quale la Jugoslavia ha il significato di un’infanzia felice e di trasformazioni, depurata dalle storture ideologiche.

La guerra interrompe brutalmente nella vita felice degli Hemon. La Jugoslavia, elemento identitario, di riconoscimento e di unità, non esisterà più. Al suo posto nasceranno la Slovenia, la Croazia, la Bosnia, la Serbia, la Macedonia e il Montenegro.

Allo spaesamento e al trauma della guerra segue lo sradicamento dell’emigrazione. Ed è proprio l’emigrazione il punto di contatto tra generazioni. L’emigrazione diventa il nuovo nucleo identitario per provare a ricostruire una vita lontana, mentre la propria patria viene distrutta per sempre. La famiglia Hemon vedrà sgretolare la Jugoslavia da lontano, al sicuro. Ma possono dirsi realmente al sicuro coloro che, pur lontani, soffrono per chi rimane nell’inferno della guerra?

6. Il paese che non c’è – Simona Silvestri

Cosa rimane della Bosnia? Cos’è, oggi, la Bosnia? Com’è vivere in Bosnia? Queste domande non interessano quando si studia una vicenda storica. Terminata una guerra crediamo che sia tutto finito, che la vita riprenda normalmente, pensando che ferite e cicatrici non siano più vive.

Al più, ricordiamo gli episodi, commemoriamo, ricostruiamo. Ma chi ci pensa ai vivi, ai sopravvissuti e ai superstiti?

Il presente della Bosnia ci aiuta invece a comprendere la profondità della crisi morale e sociale che hanno innestato le Guerre Jugoslave. Solo guardando all’oggi possiamo capire il trauma di quella guerra insensata.

La generosa autrice del Paese che non c’è percorre in lungo e in largo la Bosnia e ci racconta le contraddizioni, i diritti negati, la crisi economica, la disoccupazione, la corruzione e l’instabilità cronica.

La Bosnia è un paese privato del suo futuro dalla nascita. I controversi Accordi di Dayton del 1995 segnarono la fine della guerra ad un costo atroce per il popolo bosniaco. Con quegli accordi, la comunità internazionale divise la Bosnia in due entità formalmente autonome ma facenti parte di uno stato unico: la Bosnia Erzegovina a maggioranza musulmana e la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina a maggioranza ortodossa.

Questa soluzione, invece di portare alla riappacificazione tra religioni, ha creato una crisi di legittimità che impedisce al paese balcanico un progresso unitario e coerente. Come può esserci un futuro se le due parti, ancora oggi, sono arroccate su nazionalismi e reciproche accuse?

In questo fosco presente trovano collocazione le difficoltà vissute dalla gente di Bosnia.

Ci sono i “figli invisibili“, stimabili tra 30.000 e 50.000. Sono ragazzi nati tra il 1992 e il 1995 dagli stupri commessi durante il conflitto dai soldati nemici e dai “caschi blu”.

In Bosnia è obbligatorio indicare nei documenti ufficiali il cognome del padre. Per chi non può farlo, ed è costretto a lasciare uno spazio vuoto, diventa impossibile fare una qualunque richiesta alle autorità:

siamo costretti a dare spiegazioni ogni giorno, a dire agli impiegati degli uffici pubblici che le nostre madri sono state violentate e che non sappiamo chi siano i nostri padri

E poi ci sono i Rom di Bosnia, stimabili in 80 mila, senza alcuna tutela e prospettiva. Vivono ai margini della società, tra elemosine e espedienti.

Non dimentichiamo le migliaia di lavoratori rimasti senza tutela, svenduti ad imprenditori spregiudicati che hanno divorato le ex imprese statali della Jugoslavia.

Parliamo anche delle persone omosessuali. Secondo un sondaggio del 2017, l’84% degli intervistati si è dichiarato contrario all’unione civile tra le persone dello stesso sesso.

Ci sono, infine, i superstiti della guerra, il cui dolore non è ancora stato lenito, costretti a vivere in un paese condizionato da corruzione e nepotismo, dove circa l’80% dei giovani bosniaci sogna di partire per l’estero.

E così, con questo sesto libro giungiamo al presente, dopo un viaggio lungo 500 anni.

Nel nostro piccolo, possiamo orientarci verso una migliore consapevolezza di quelle vicende che ci sembrano lontanissime ma che, in realtà, sono a noi molto vicine. A separarci dai Balcani ci sono infatti pochi chilometri.

Come mai, allora, avvertiamo così distanti questi popoli e la loro storia?

 

 

 

 

 

 

 

Sono nato dall'increspatura dell'onda. Non ho deciso io il mio destino, ma il mare che tutto sospinge e muove. - Tu navigherai - mi disse un giorno. E così sono alla ricerca di Itaca. Ho un cuore mediterraneo, crocevia di emozioni e incoerenze, come i molti popoli di questo mare. Ma come posso dire con certezza chi sono?

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