Sembra ormai indiscutibile quanto i primi due anni del filosofo di Stilo a Nicastro furono cruciali per la sua formazione intellettuale. Nel 1586, all’età di diciotto anni, dopo l’anno di prova nel convento di Placanica e tre anni di studio a S. Giorgio Morgeto, Giovan Domenico – che aveva già assunto il nome di fra’ Tommaso – giunge a Nicastro per gli studi di specializzazione . Nella libraria del convento nicastrese il giovane Campanella trova il necessario per sfamare la sua curiosità: «di cervel dentro un pugno io sto, e divoro / tanto, che quanti libri tiene il mondo / non saziar l’appetito mio profondo: / quanto ho mangiato! E del digiun pur moro». Appassionato e, a tratti, viscerale il suo rapporto con i libri, intesi come chiave della conoscenza e strumenti dinamici per l’acquisizione di dottrine e idee.
Nell’estate del 1488 il giovane studente si sposta ancora, questa volta a Cosenza, sede dello Studium generale, dove è possibile specializzarsi in teologia. L’incontro con il De rerum natura e con gli ambienti telesiani in generale sarà decisivo per certi sviluppi filosofici del Campanella più maturo; mentre, parallelamente, sofisticava le sue idee politiche assumendo sempre più una posizione antispagnola.
Il trentenne Campanella fa ritorno a Nicastro nel 1598. Qui riprese i contatti di un tempo e, in modo particolare, confidò le sue idee di sollevazione a fra’ Dionisio Ponzio. Questi dovette contribuire non poco a una concretizzazione materiale ben precisa di quella che, sì, poteva definirsi una congiura, ma che in Campanella doveva rivestirsi piuttosto dell’abito di una rivoluzione “naturale” che, inevitabilmente, sarebbe giunta da lì a poco, quasi in toni apocalittici. Così, con un’abile campagna di proselitismo, Ponzio strinse diversi contatti e unì all’impresa tale Maurizio de Rinaldis, un giovane esperto d’armi. Non riusciamo a immaginare nel dettaglio quale potesse essere la capacità offensiva di questa sorta di “cellula” antispagnola; più sicuramente, però, sappiamo del coinvolgimento di una flotta turca, sbarcata sulle nostre coste il 10 di settembre dello stesso anno. Addirittura alcuni vescovi dovevano avallare il piano, come quello di Mileto e quello di Nicastro stessa, Pietro Francesco Montorio.
Le cose cominciarono a prendere una nuova piega quando Campanella e il Vicario Vescovile nominarono Ponzio ambasciatore a Roma con l’incarico di intercedere presso Clemente VIII per far ritornare il vescovo a Nicastro e, soprattutto, quando due frati Fabio di Lauro e Giambattista Biblia, sui quali forse si era riposta troppa fiducia, tradirono il gruppo e svelarono le trame all’avvocato fiscale D. Luise Xarava, il quale «a sua volta, informò il viceré Ferrante Ruiz de Castro, conte di Lemos, il quale mandò in Calabria con pieni poteri Carlo Spinelli. Sbarcato a S. Eufemia con due compagnie di fanti, lo Spinelli mise una grossa taglia sulla testa di Campanella, di Ponzio e del De Rinaldis» (Villella 2007). Fu l’arresto per tutte le figure coinvolte nella congiura: due persone giustiziate a Catanzaro; quattro impiccati durante il viaggio di trasferimento a Napoli; due squartati appena giunti al molo napoletano. A Campanella toccò il carcere di Castel Nuovo, dove rimase rinchiuso per ben 27 anni, salvandosi dalla pena capitale solo fingendosi pazzo. Dalla sua cella, oltre a comporre imponenti opere filosofiche e memoriali, scriverà:
“Gettato in una fossa sotterranea, umida e tenebrosa, sopra la paglia fradicia, con ferri alle mani e ai piedi, con cibo sporco e insufficiente. Quattro anni sotterra, con ferri sempre, sopra un fradicio e bagnato stramazzo e con pane e acqua da tribolazione, senza vedere né cielo, né luce, né persona umana, in un luogo sempre bagnato che stillava da ogni muro acqua continuamente”.
Negli Scritti dispersi, Corrado Alvaro, con un’abilità di penna sempre più necessaria nei nostri tempi, ne scrive così:
«Là nacquero i suoi pensieri e là acquisto quel sentimento delle cose che rimane, nella sua opera, una delle più alte intuizioni del suo tempo. Cose e aspetti a lui familiari pesano più di tutto quello che vide dopo; quest’uomo era già conchiuso fin dalla sua infanzia e adolescenza. Altrimenti come si spiegherebbe la sua opera politica, fantastica e fuori di ogni realtà, un vero leggendario fatto formula pratica! Il mondo di fuori, veduto poi, gli dovette apparire come elemento convenzionale e fluttuante, in cui fossero mescolate fantasia e realtà, in cui tutto fosse possibile, un grande campo sperimentale. Fuori di ogni vincolo sentimentale, tutto in lui diveniva bisogno di azione, in qualsiasi modo, con la Spagna e contro, indifferentemente. Di qui quello strano carattere della sua politica, goffo, ingenuamente immorale. Gli mancava la bruciata freddezza di Machiavelli. Fu uno dei precursori del chisciottismo. Egli è come un fiume che cerca la sua foce, uno dei torrenti della sua terra, e che dilaga per lungo spazio. E tra tante sventure e disgrazie, ci appare una delle maggiori sue quella di avere supplicato una risposta da Galileo alla cui difesa era sorto nel momento più duro, e per il quale adopera la raggiante parola “vidisti”: tu hai veduto. Non lo conosceva come suo vicino? Forse perché la sua inquietudine dovette apparire inumana e barbarica. Credeva davvero, quando proponeva al Papa e ai Cardinali, e a chiunque potesse liberarlo dalle persecuzioni, o peggio, dall’oblio, di cogliere come ladri notturni le sette degli eretici, di dar prove dell’avvento del seolo d’oro, di dar consigli per affrettarlo, di aumentar le rendite del regno di Napoli con guadagno di tutti e con giubilo dei sudditi, di convertire le Indie occidentali e orientali, di far vascelli che viaggino senza remi e senza vento, e un nuovo modo di andare a cavallo, e trovare il moto perpetuo, scrivere una nuova astronomia essendo il cielo mutato, e mille altre cose; vi credeva davvero? Nessuno si fidò di lui. Rappresentava uno dei più alti drammi della volontà di potenza. È il genio poolare preso dalla febbre dell’assoluto, svegliato alla vita sottile dei libri, il dramma degli sradicati, un vecchio e fecondo dramma della civiltà italiana».
[su_note note_color=”#ffdd66″ radius=”0″]Bibliografia essenziale: V. VILLELLA, D. P. FALVO, M. G. ROPERTO, La chiesa di S.Domenico di Nicastro. Storia – Fede – Arte, Lamezia Terme, Stampa Sud, 2007 | A. DE VINCI, Fra le letture del giovane Tommaso Campanella, Vibo Valentia, Qualecultura, 2002. | La citazione di Alvaro è letta sempre da De Vinci 2002, ma si rimanda comunque all’opera: C. ALVARO, Scritti dispersi (1921-1956), Milano, Bompiani, 1995. | Su Tommaso Campanella in Calabria si rimanda anche a: C. LONGO, Sugli anni giovanili di Fr. Tommaso Campanella OP – 1568-1589 – in Archivum Fratrum Praedicatorum, LXXIII (2003), pp. 363-390.[/su_note]
Vive a Lamezia Terme, legge e scrive dove gli capita. A tempo perso si è laureato in Beni Culturali e in Scienze Storiche, a tempo perso gestisce il blog Manifest e a tempo perso è responsabile della Biblioteca Galleggiante dello Spettacolo del TIP Teatro. Di fatto, non ha mai tempo. Ha esordito nel 2023 con il romanzo "Al di là delle dune" (A&B)