Ogni tanto parlo da solo e cerco di darmi dei buoni consigli.

Tutto ciò che non avresti voluto scrivere mai. Poi, un giorno, lo scrivi. Perché la scrittura si riveste dei suoi panni pùi nobili quando ci viene incontro, poriettando su carta quanto di indicibile e indisegnabile ci sia dentro di noi.
Come sto? Mi domando. Come una corda tesa, quasi del tutto spezzata, con quell’ultimo minuscolo filamento che tremola fino all’ultimo attimo.
Ho sempre creduto che un uomo possa dirsi fallito quando i suoi rimpianti superino i suoi sogni e le sue speranze. ANcora peggio se questo succede manco a trent’anni. Ma sono veramente rimpianti quelli che sembrano ottenebrare il mio presente?
Forse no, dal momento che 1) indietro non tornerei mai e 2) anche se vi tornassi non cambierei una sola virgola di tutto quel romanzo di formazione già vissuto.
E dunque? Che sia solo nostalgia? Malinconia? Forse. Non una nostalgia “attiva” e positiva, comunque, quella che sa mutarsi in memoria per capire meglio l’oggi, no. Forse si tratta della nostalgia più becera e pericolosa, quella che, al contrario dell’altra, è capace di acciuffarti dalle spalle impedendoti di proseguire per il tuo cammino; una nostalgia che si traveste spesso da Spleen e ti leva il godimento del presente e, quindi, della vita. E non solo.
Se Esenin asseriva d’esser “malato d’infanzia e di ricordi” io credo di ravvisare il mio male nei ricordi e nei sogni. Idem per i sogni come con la nostalgia. Non parlo di sogni costruttivi che tendono al miglioramento, alla coerenza, no. SI tratta delle stesse visioni che avevo da bambino, a volte anche con le stesse situazioni. Cambia giusto qualche perosnaggio, ma il registro è sempre altamente tragico e patetico.
Dopo aver individuato i due punti chiave per capire meglio il mio stato d’animo, occorre comprende come approcciarcisi. Diviso tra passato e futuro? Praticamente inconsistente? Possibile che mi tocca questo? E tutte le cose che son successe? Son successe davvero? Se sparissero dal mio pensiero, che senso avranno avuto? Quel che è peggio, per tornare un attimo a quella nostalgia canaglia di prima, è che non sento molta mancanza di ciò che è stato bensì di ciò che sarebbe potuto essere. È così che persino all’indietro si volge l’illusorietà dei sogni e della vita e quasi è come se non avessi terra sotto i piedi.
Dei veri e propri “simulacra” sembrano torturarmi, più consistenti di ciò che furono nella realtà: quell’amico, quella ragazza che mi piaceva, quella prima fidanzata, quei primi viaggi, quelle prime volte a letto, ma anche quelle vacanze, quelle città, quei profumi, quei cibi, quelle discussioni… suvvia, nel momento in cui accadevate non v’ho forse vissuto con la più grande intensità possibile? Sì che l’ho fatto, maledetti voi, e voi pure vi siete lasciati ricoprire dai miei occhi, dalla mia voce, dalle mie mani, spesso dalla mia penna.
Riponete le armi, dunque. Rimaniamo buoni amici e lasciatemi vivere questo presente, prima che diventi ombra come voi. Questa è una chiave importante: la consapevolezza, dopotutto, d’averle vissute le cose e, quindi, indubbiamente esse son state reali.
Ma il nostro diritto allo star male? Alla nostalgia? Forse ne siamo preclusi? Non credo.
E l’accettarsi, dopo essersi riscoperti diversi, per vivere nuovamente? Questo è complicato.
Crediamo che crescere sia quasi automatico, un’evoluzione in stile pokémon dopo aver acquisito punti esperienza. Invece, credo che tocchi a noi, con le nostre scelte, decidere il momento preciso in cui fare un passo in avanti. Probabilmente quando è il momento giusto… lo sentiamo e basta. Perché appesantirci e metterci fretta? Io cresco come e quando voglio. Nessuno potrà costringermi a farlo!
Il problema è quando facciamo credere – tanto a noi quanto agli altri – d’aver compiuto questo passo e invece non siamo molto distanti da prima. Questo arreca dolori, umiliazioni, delusioni, sconfitte. Ma sia che si decida di crescere sia che si decida di non farlo ancora, i dolori diventano poi consigli, le umiliazioni e le delusioni diventano rivendicazioni, le sconfitte, invece, vittorie.
Non v’è che un’unica forza motrice nella nostra realtà e nel Tutto ch’esiste. Non so bene come chiamarla, ma so che è quest’unica forza a diventare di volta in volta vita, morte, amore. È possibile che sia Dio, in effetti, ma poco importa, Mi piace pensare a Dio come se fosse felice e contento, così com’è, speranzoso, magari, di noi. Dio, per me, è ovunque ci sia movimento, positivo o negativo. È in un orgasmo, in una danza, nel mare, nella pioggia. Ecco, forse nel caldo torrido Dio non c’è. Almeno credo.
Altra chiave importante di lettura della mia anima, ne sono sicuro, è anche l’eterna ricerca di un equilibrio tra parte ferina e parte razionale. Smettiamola di credere che una possa essere migliore dell’altra. Come siam belli, tutti noi uomini e donne, così diversi. A chi prevale l’una e a chi l’altra. Occorre solo saper coniugare all’occorrenza le due parti e sapere quand’è il caso d’esser bestia e quando, invece, intelletto. In alcune sfere vitali, poi, son necessarie entrambe le cose. Come in un rapporto di coppia, ad esempio. Non avrebbe senso né durata vivere solo di passione, come lo stesso sarebbe condividere solo razionalmente. In molte altre occasioni, invece, è sufficiente uno solo dei due status.
Se vado al mare di notte, ad esempio, non ha senso tirar fuori l’intelletto (a meno che non ci si metta, per studio, ad osservare con freddezza le stelle, il moto delle maree, la geografia dei luoghi…), converrà, piuttosto, saltellare nudi come una scimmia e sguazzare nell’acqua e rotolarsi sulla sabbia, incotolettandosi, con il sol gusto di farsi quattro risate.
Se v’è da risolvere un problema serio, certo, converrà sempre utilizzare soprattutto l’animo razionale. Altra sfera, poi, in cui debbano convivere i due fronti, è quella dello studio. È possibilissimo, anzi necessario, coniugare uno studio critico, scientifico, tangibile delle cose ad uno perfettamente acritico, astratto e, perché no, giocherellone. Se studio letteratura latina, ad esempio, sarà bene padroneggiare al cento per cento la storia, gli autori, le opere, le poetiche, ma altrettanto importante sarà divertirsi con queste cose, farsi “possedere” dalle entità studiate, così da immaginare cos’avrebbe detto, per esempio, Cicerone se fosse vissuto oggi oppure cosa avrebbe scritto un satirico come Giovenale riguardo la società odierna.
Credo che questo sia il metodo migliore per uno studio diacronico che vale un po’ per tutte le cose della vita. Anche per quei miei simulacra di prima. Ogni cosa passata è viva più che mai se resta capace di dialogare con noi, oggi, sul nostro presente.
Un altro importante equilibrio andrebbe raggiunto tra il forzarsi e il non forzarsi. Ci sono cose, come il crescere di prima, in cui sarà bene non forzarsi molto. Di contro, per molte altre, occorre stringere i denti nei momenti più duri, appellandoci proprio alle due sfere (ferina e intellettiva) dell’animo per superare ogni problema, ma anche per realizzare i propri sogni.
Scopri prima quale sia il tuo sogno, dopodiché fai qualsiasi cosa lecita per realizzarlo. Realizzato il sogno, esso muore. Così, allo stesso modo, viviamo e moriamo noi, come fossimo sogni sognati da chissà chi.
Separare, quando v’è da separare; unire, quando v’è da unire. Non è affatto semplice. Ma proviamo. Proviamoci un’altra volta ancora.

Arcavacata, 11/07/2016

Vive a Lamezia Terme, legge e scrive dove gli capita. A tempo perso si è laureato in Beni Culturali e in Scienze Storiche, a tempo perso gestisce il blog Manifest e a tempo perso è responsabile della Biblioteca Galleggiante dello Spettacolo del TIP Teatro. Di fatto, non ha mai tempo. Ha esordito nel 2023 con il romanzo "Al di là delle dune" (A&B)

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