Costa Nostra: un’esperienza esemplare

Ieri a Marina di Curinga era una bellissima giornata di sole. Siamo precisamente in mezzo al Golfo di Sant’Eufemia. Il paesaggio è favoloso, da una parte in lontananza si scorge il gruppo montuoso del Mancuso e del Reventino, dall’altro le propaggini settentrionali delle Serre, il Monte Poro e Capo Vaticano. Fa caldo, e il cielo è limpido, a parte qualche nube in formazione sul mare che non riesce ad offuscare comunque il sole e degli annuvolamenti consueti sui monti. Il vento è debole a regime di brezza.
La spiaggia è popolata, ma non strabordante di gente e il mare appena mosso. Insomma è la classica giornata estiva mediterranea. Io sono con i ragazzi di Rivìentu (Carmine, Alessandro, Elisa) per aiutare i giovani di Costa Nostra nella classica giornata di pulizia spiaggia, che questa associazione opera ogni domenica. Insieme a Rivìentu e Costa Nostra c’è Manifest (rappresentati da Valeria e Domenico D’Agostino) di cui faccio parte e Dario Natale di Scenari Visibili.

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Arriviamo sulla spiaggia alle 11, dopo un viaggio di circa un’ora. La partenza era programmata per le nove. Io ho un po’ di difficoltà ad alzarmi. Vengo da un sabato sera in cui ho fatto piuttosto tardi. Ma l’entusiasmo è grande. Non vedo l’ora di poter dare il mio piccolo contributo ai ragazzi di Costa Nostra, che con grande spirito civico si danno da fare attivamente sul territorio curando la salute e la bellezza della loro spiaggia. Appena arriviamo, dopo i consueti ma mai scontati saluti con gli amici e “colleghi” (molti si conoscevano già da tempo, per via di legami personali e associativi consolidati), prendiamo un paio di guanti e iniziamo a togliere carte, plastiche, polistiroli e flaconi di detersivo dalle dune che separano la spiaggia dalla pineta retrostante. Non è un lavoro pesantissimo, ma fa molto caldo, il sole è cocente, e la fatica a causa del poco sonno si fa sentire. Ciò nonostante lavorare in compagnia è il miglior antidoto contro lo sforzo fisico. In poco più di un’ora, io e la mia collega di lavoro Elisa abbiamo riempito un sacco di immondizia e andiamo sulla spiaggia a prendere un po’ di sole. Gli altri invece proseguono la loro opera ecologica e buttano la spazzatura in un grande container. La loro opera va segnalata ed è meritevole di attenzione, perché fa caldissimo e la puzza è davvero nauseabonda. Finito si prosegue con le foto. Sono tutti soddisfatti. La spiaggia è pulita e si è ristabilito quello status naturale che assicura salute e bellezza ai bagnanti e all’eco-fauna del posto. Si è fatto oramai tardi, e dopo il duro lavoro c’è bisogno di rifocillarsi, così ci spostiamo nella meravigliosa pineta retrostante la spiaggia. Qui tutti hanno portato da mangiare (pasta al forno, pasta ripiena, pollo arrostito, insalata di riso, braciole di patate) e da bere (vino locale, birra). Si crea un ambiente di grande convivialità. Le persone sono tutte molto cordiali e amichevoli: si raccontano storie, si discute di politica e di problemi ambientali. C’è grande spirito utopico ma anche realismo. Man mano che la gradazione alcolica sale il clima si fa ancora più spontaneo e libero.

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C’è una bambina, Stella, che tiene banco. Ha appena sette anni, e vive a Bologna, ma torna qui ogni estate per le vacanze estive. È libera, aperta, spontanea, con la classica saggezza che solo i bambini possono avere, ma è anche ironica e a volte irriverente. Sembra la bambina utopica di cui Rousseau parla nell’Emilio. O almeno così voglio credere. Stella è molto chiara di carnagione, occhi azzurri, capelli rossicci, una vera monella, ma tutti la adorano e lei consapevole si muove come una diva, giocando, correndo e facendosi adorare da tutti i convitati, che la guardano con un misto di stupore e ammirazione. Poi arriva il momento delle canzoni e della chitarra. Si stornellano alcuni tipici canti calabresi e Dario recita Michele Pane: è un bellissimo momento, sono tutti presi da quella narrazione così spontanea, naturale, poetica, piena di passione ma anche scanzonata e ironica. Anche questa è la calabresità se vogliamo ragionare per grandi categorie, un misto di passione, ironia e irriverenza che sembra provenire da una storia antica, difficile da ricostruire ma non per questo sconfitta. Sotto la frescura della pineta si sta veramente bene, ma si sente la necessità di risanarsi dalla grande abbuffata e dallo stordimento successivo tuffandosi nel mare, dipinto naturale, opera dei millenni e degli eoni.
L’acqua del mare è calda, le onde appena accennate e ne approfittiamo per rinfrancarci e per lavare i sudori residui della giornata soleggiata. Purtroppo noto, senza non provare un pizzico di delusione, che l’acqua non è completamente limpida, c’è un po’ di schiuma e particelle in sospensione. Chiedo ai ragazzi di Curinga, mi informo del perché. Mi dicono che non siamo troppo lontani dall’aria industriale di Lamezia, dell’Ex Sir, che ci sono diversi canali o fiumi che sfociano nelle vicinanze (l’Amato su tutti), che siamo proprio al centro del Golfo e che il ricambio delle acque non è troppo veloce. Rimango un po’ dispiaciuto che un luogo così bello non possa essere esente dalle ferite che lascia una modernità disattenta alla bellezza e alla salute dell’ambiente (che poi è la nostra salute). I canali sono abbandonati e non controllati dalle autorità, ci si può sversare di tutto senza andare incontro a pesanti sanzioni, la Sir non è mai entrata in funzione ma non per questo non manca di inquinare ed andrebbe bonificata, la salute dei fiumi è precaria… È un vero peccato…Ma anche la bruttezza a volte può diventare parte del territorio e in qualche modo ribaltarsi se non in bellezza, almeno in una sua strana forma. Osservo non troppo lontano, guardando verso nord, il pontile e i piloni alti più di dieci metri dell’aria industriale di Lamezia, e mi vengono in mente immagini post-apocalittiche da fantascienza. Immagino un mondo senza più uomini, con tuttavia i ruderi della modernità a far da testimonianza che tutto sommato, seppur per un breve periodo, nella storia della Terra, ci siamo stati, lasciando queste rovine, ruderi di una civiltà oramai estinta, in cui tuttavia ora regna la natura, mai doma, mai sconfitta, nemmeno da una guerra nucleare che potrebbe solo estinguere l’uomo, ma non la flora e la fauna che di certo si ricostituirebbero, seppur forse in nuove forme. Ma mi risovvengo da queste riflessioni e ritorno al momento presente. Parlo con Domenico e Giuseppe di Costa Nostra. Mi faccio spiegare da essi le particolarità culturali ed ambientali del posto. Mi spiegano la grande pescosità del mare, mi raccontano che a causa dell’estuario dell’Amato vicino si osservano grandi migrazioni di uccelli, anche dei meravigliosi fenicotteri rosa in risalita dall’Africa. Io rimango affascinato dalla ricchezza di questi luoghi, dall’abbondanza di bellezza che li intride, dalle innumerevoli sollecitazioni a cui è sottoposto chi ci vive, dalla bellezza dei loro occhi, sognanti, dolci, spontanei. Il posto in cui viviamo segna profondamente la nostra interiorità, forgia il nostro sguardo. Ma questo va anche allenato, dobbiamo uscire di casa e mettere da parte l’abitudine che tutto immiserisce e tutto rende superfluo.

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Giuseppe ci abbandona chiamato da Stella che vuole fare il bagno, allora chiedo a Domenico, prima di lasciarlo andare dagli altri, che giocano sulla battigia a pallavolo con grande passione, di parlarmi della tradizione delle baracche di cui avevo sentito parlare. Giuseppe mi spiega che era una tradizione antica che si è svolta a Curinga fino al 2000. In pratica ogni anno d’estate i Curinghesi si spostavano dal paese, posto qualche chilometro all’interno nelle zone adiacenti la spiaggia costruendovi delle baracche, che poi di anno in anno venivano spostate e riutilizzate. Mi sono chiesto come fosse nata questa tradizione strabiliato di quanto possa essere affascinante la costruzione di un paese doppio ogni anno, solo per beneficiare della bellezza e della ricchezza del mare. Di come anche in epoca non troppo antica ed ancora sino al 2000 si rinunciasse alle comodità domestiche per vivere più in contatto con la natura. Domenico me ne parlava in maniera del tutto naturale, invece io più prendevo coscienza del fatto, più rimanevo sbalordito. Quante calabrie in una sola regione, quanti doppi, quanto ancora c’è da scoprire su questa terra…Spesso studiamo la storia, la cultura e la geografia del mondo e poi ci sfugge completamente ciò che ci sta accanto! In tutto ciò c’è qualcosa di assolutamente paradossale, un non senso, che vorrei assolutamente recuperare…
Questo breve resoconto giunge così alla fine. Carmine deve tornare a casa, sono solo le 5:30 ma ha da curare l’orto naturale che con altri ragazzi di Decollatura sta portando avanti con grande impegno da tre anni. Ci salutiamo tutti e ci diamo un arrivederci. Oggi dai ragazzi di Curinga e di Costa Nostra ho ricevuto un grande insegnamento di impegno sociale e di umiltà…L’ennesimo, in una regione che ribolle di inquietudine (nella definizione che ne dà il maestro Teti) e di passione, il cambiamento è in corso qui ed ora, e io ho la possibilità di raccontarlo, di farne parte, di esprimere così al massimo la mia esistenza, che acquista pienamente senso solo quando intreccia la storia collettiva, nel ruolo di attore attivo, motore del cambiamento…

Il poeta non è altro che un canale, un medium per l'infinito, che si annulla per fare posto a forze che gli sono immensamente superiori e, per certi versi, persino estranee. D'altra parte chi sono io di fronte al tutto, ma al contempo, cosa sarebbe il tutto senza di me?

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