Venerdì dei morti.
In questo grigio pomeriggio di inizio novembre, tutto scorre, la catena di certe tradizioni si interrompe, e un pensiero mi attraversa lungo gli occhi, dichiarandomi nuove diapositive.
Ci risiamo.
Ritorno alla fantasia, la lascio andare, come una danza, un tappeto sul quale coricarmi, dormire, svegliarmi, fare l’amore.
Annoiarsi è un po’ come morire.
Le ho detto qualcosa, fra ieri e oggi, non ricordo bene cosa, credo avesse a che fare con la passione. Si, le ho detto che non intendo più voltarle le spalle, adesso, e che ho voglia di ballare.
Le parole smettono di essere parole non solo con una immagine che si muove.
Le parole smettono di essere parole quando non si rinnovano e ripetutamente le si utilizzano per comodità, o per camuffare la paura, ma nel mentre lei ci fotte.
Nutro parole nuove, ma sono ancora nascoste, stanno sacrificandosi, fra i polmoni, le arterie del cuore, e fra una secrezione e un’altra implorano di uscire.
Termini come illusioni o disillusioni trovano il tempo di essere rielaborati in fretta.
Giornalista pubblicista
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