C’era un gabbiano nel mio ginseng

Certe volte si ci domanda se le nostre esperienze siano condizionate dal caso o, a rigor di logica, siano delle coincidenze belle e buone.
Probabilmente, tra le milioni di aspettative, si apre una prospettiva molto discussa. Per quanto mi riguarda non c’è un Caso, non c’è una Coincidenza definita tale. Talvolta le infruttuose vicende della vita ci pongono davanti temi e situazioni parecchio illogiche e scottanti. Come ciò che è capitato a me qualche tempo fa.
Non ho avuto mai l’effettivo coraggio di raccontarlo, sapete com’è, c’è ancora chi insiste nell’aprire manicomi, istituti strambi per esseri ancora più strambi e via dicendo.

Mettiamo (appunto) caso che esista un intrecciarsi di situazioni misto fantastiche e che ciò faccia non solo pensare alla presenza di auree di vita differenti da quella quotidiana, ma che esista anche un potere per il quale il nostro influire nella magnificenza della vita sia cosa provata…La ricordo bene quella giornata. Ah sì, se la ricordo! Imitavo la me che vedevo riflessa nello specchio, con ancora il viso beffato dal sonno, un occhio aperto (per rimirare i soli e le stagioni), l’altro chiuso (per tingerli di nuovi colori).
Come al solito, la prima cosa che viene in mente di fare appena svegli è quella di andare in bagno. Così ho fatto. Ma, da buongustaia quale sono non potevo sottrarmi alla più gradita delle abitudini: offrire al mio stomaco dolci vivande per deliziarsi.
La cucina, piccola e spoglia (e congelata) come sempre, mi donava la più becera e illusoria delle visuali possibili: un balcone dal quale osservare uno splendido giardino (ormai in rovina) e la bellezza della vita lasciata al suo vagare, di arbusto in arbusto, con i miagolii di gatti, qualche gallo che cantava e insetti ronzanti qui e lì. Mi chiedo (io) che cosa sia la bellezza, quale sia la ragione di tanta vastità…
L’unica bruttura di quella visione familiare era la presenza di una grossa grata di ferro, intarsiata, certo, con ghirigori dondolanti e sinuosi che, però, non coprivano ciò che realmente era: grossi pezzi di ferro saldati l’un l’altro, arrugginiti, che minavano ad una libertà combattuta tra la natura di un giardino selvaggio e la cucina, piccola, vecchia e spoglia, di una casa taciuta.

La bellezza va toccata, non solo osservata.

Proprio in quell’istante, mentre il lume della mia ragione mi impediva di giustificare quell’idea di libertà, ho guardato il mio caffellatte ormai mezzo finito e, proprio nel bordo dove poggiava il manico, si era andata a formare una sorta di sagoma molto ”gabbianeggiante”.

”URCA!” Mi sono detta.

”Che urca?”
Il gabbiano gira la testolina e mi guarda basito.

”Madonna, sono uscita pazza del tutto. E adesso chi lo dice a mamma?!”

”No, mica sei pazza! Tranquilla! E’ solo che non sapevo come fare a contattarti, sto girando da giorni tra gli oggetti di casa tua, ma non mi dai retta manco per niente!”

Madonna davvero sono uscita pazza.

”Ma chi sei?” Ho chiesto, guardandomi bene dall’alzare la voce.

”Il gabbiano Jonathan Livingston!”

”Apposto, sono pazza.”

”Ma invece di chiedermi chi sono, perché non mi chiedi che diamine ci faccio nella tua tazza? Sto sudando da dieci minuti!”

”Che ci fai qui nella mia tazza?” Rotta per rotta…

”Beh, allora. Senti, mettiamola così… Ti ricordi quando hai comprato il libro sulla mia storia circa un anno fa?”

”Sì, lo ricordo” risposi guardandomi intorno.

”Bene, diciamo che quello che faccio è mantenere viva l’avventura in coloro che, pur avendola letta, stanno continuando a svanire, diventando sempre più pallidi, bui e senza colori. La mia vita è stata tutta una serie di belle emozioni, fortissime sensazioni che hanno spaccato i confini delle convenzioni sociali, di tutto ciò che poteva rendermi beota, uguale agli altri ed ignorante.
Quanto hai amato, in tutta la tua esistenza, l’eleganza di una briciola di pane che danza nella minestra? Con quello ti sei sfamata! Con la fantasia, la generosità di una mente aperta e la straripante consapevolezza di essere ciò che realmente sei!!!
Devi tornare in forze, non gettare al vento le peculiarità che ti hanno formata. A questo mondo c’è necessità di sapere ciò che si è e lavorare su di esso! Parlati allo specchio, non guardarti solamente, non avere timore di liberare i demoni sopiti nel tuo cuore, l’oscurità è parte generosa della verità. Abbi la brillantezza e la forza di un diamante, e così, come te, anche mille e mille altri ancora che giocano in un vuoto senza fine. Sii una montagna, una forza! Con larghe distese sconfinate di verdi prati, rami e ossa rotte; scoiattoli che fuggono, lepri che saltano, sole che brucia le foglie. Ma abbi grosse radici, tutte quelle che gli alberi possono donarti, e tante rocce, di tutti i colori del mondo; tante guglie, spezzate e appuntite, scintillanti sotto la falce della luna, difenditi, così, dalle avversità dell’esistenza.

Sii Stupenda, smisurata ed energica come una montagna, delicata e coraggiosa come la luna.

Nessuna di queste creature nasce per servire, ma per esistere; e se esistere vuol dire essere liberi, è questo che deve guidare i tuoi passi”.

Non mi ero accorta assolutamente del sole che era entrato dalle sbarre, ma sentivo il suo calore sulla mia mano. La tazza era vuota, illuminata da un raggio brillante.

Sii come una montagna, questo mi ha detto. Siate come le verdi montagne.

 

 

[Invito tutti a leggere il libro da me citato: ”Il Gabbiano Jonathan Livingston”, un libro a passo di carica.]

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