«Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall’oriente gli uomini capitarono in una pianura […] poi dissero: “Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra”.
Genesi 11, 1-9 (La Torre di Babele)
Nardodipace, comune di circa 1200 abitanti, conserva nel cuore dei suoi boschi una memoria fatta di pietra. Una memoria che né il tempo né le calamità sono riusciti ad estirpare.
Si ci arriva da una strada estremamente impervia: il nostro viaggio è iniziato da Sud, nel reggino, tra le alture dell’Aspromonte che va unendosi alle Serre Calabresi nella provincia di Vibo Valentia, lì si trova Nardodipace (Vecchio Abitato). Un paesello costruito su un un grande sperone ed abbandonato negli anni ’50 per via di un’alluvione. Fu ricostruito in altura, diversi km più a nord del vecchio borgo.
Solo un’anima in quel posto ad accoglierci con sufficienza.
E poi lungo il tragitto dal vecchio borgo verso il nuovo si vedono sulla sinistra due piccoli casolari con le indicazioni per i Geositi di Nardodipace.
Quando mi sono trovata davanti ai Megaliti ho sentito un vuoto incommensurabile.
Non un semplice vuoto senza pathos.
Un vuoto ricco di tormento, una sensazione di “stop” carica di energia.
Che la vita sia un tumulto di emozioni si sa, è scontato. Com’è più che lecito che sia mutevole, per sua natura.
Il cambiamento è insito nell’umano quanto in tutto il resto del creato. Eppure sì, c’è un eppure…
Ci sono dei momenti in cui si ha necessità di fermarsi, di ricaricare le energie, ragionare un po’ per sentirsi parte di un circolo più grande. E quelle rocce, poste su dei tumuli elevatissimi, così possenti alla vista da non poter essere contenute in un solo sguardo, mi hanno resa immobile, così come loro, innalzate cinquemila o seimila anni fa da alcuni uomini per mostrarsi degni della vita che gli era stata data.
Superiori agli anni, alle intemperie, al dissesto idrogeologico che in Calabria ha devastato una quantità innumerevole di reperti e siti archeologici.
Ma non lì, non nel cuore delle Serre Calabresi, dove il sole giunge leggero tra le cime degli alberi per non disturbare un luogo dove civiltà antiche hanno lasciato il loro frammento di vita, e ancora oggi ci fanno rabbrividire davanti al loro nudo splendore.
Diverse e contrastanti sono le teorie che tentano di spiegare la presenza di questi Megaliti in Calabria, molti antropologi e archeologi sostengono l’origine antropica di questi complessi in pietra, corroborate dalle incisioni ritrovate sulle rocce (che farebbero pensare alla presenza dei Pelasgi) altri, invece, vedono “semplicemente” il risultato di un complesso mutamento a livello geologico.
Cosa fare? Che credere?
A me piace pensare alla grandezza dell’umano, della volontà di spingersi verso il cielo. Verso l’inconoscibile.
Che differenza farebbe ad un cristiano sapere se Cristo sia realmente esistito o meno? E’ il precetto che è necessario. Le parole hanno spostato molti più posti e idee che centinaia di terremoti.
Andare a Nardodipace è per me doveroso, è un atto di grande rispetto e riconoscenza nei riguardi di quelle stesse identità che ci portiamo sulle spalle, nei capelli, negli occhi e nel sangue. E’, in estremo, dire grazie per tutto lo stupore che, ad oggi ancora, il “noi” di circa cinquemila anni fa continua a regalarci.
Vi sareste mai aspettati di trovare dei megaliti in Calabria?
In quel posto si misura una grandezza che va oltre l’umano, e sebbene dalle foto non si percepisca la bellezza autentica, vi assicuro che quel luogo ha senso e dignità pari (se non superiori) a tantissime altre esperienze.
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