La mia non è una storia canonica, una di quelle che regolano i principi dell’esistenza. E’ molto più scarna e cruda, poiché non riguarda i miei coetanei dell’epoca, non parlerò del ragazzetto che ti mette al muro: quelli non mi hanno mai fatto paura. Vi parerò davanti agli occhi una realtà diversa, che implica chi sta dietro la cattedra.
Posso dirvi che non ho mai pensato a come sarebbe stato essere un professore. Non avrei saputo mettere le mani su teste malleabili, quali quelle degli adolescenti, per tirarne fuori solo il meglio, o poter mostrare una via adatta alle esigenze di ognuno. Provare a formare gli studenti per farli divenire cittadini/amici/colleghi migliori.
Perché è proprio questo che dovrebbe fare un insegnante, non è forse così?
Non si ha necessità di una guida, anche al di fuori della famiglia, che possa ritrovarsi in quella che è, nell’effettivo, una seconda casa (la scuola)?
Forse, o forse no.
Purtroppo quella che è stata la mia esperienza dimostra quanto il ruolo dell’insegnante sia bistrattato, demolito, minato dalle fondamenta proprio da quelle persone che dominano con gran forza sui poteri loro conferitigli. Non ricordo che la bellezza dell’insegnamento fosse isolare una bambina di 11 anni, metterla nell’angolo più buio della classe perché definita come uccello del malaugurio.
Portavo sfiga, per quella professoressa portavo sfiga.
Credevo che insegnare volesse dire saper tirare fuori dai propri studenti le capacità speciali d’ognuno. L’insegnante è un faro e l’insegnamento è la via, una via che deve essere assolutamente perseguita nel migliore dei modi, riuscendo a tirare fuori la bellezza da tutto ciò che è conoscenza.
La conoscenza si è trasformata in rabbia, rammarico, dolore. Non ricordo di avere imparato poesie perché si ritenevano importanti per la crescita interiore, ricordo solo che, se avessi sbagliato un compito mi sarebbe arrivato un ceffone, o avrei avuto molti meno capelli in testa, proprio perché mi venivano strappati.
Ricordo quando portai un compito di storia datomi come esercizio estivo, l’unica parte che era rimasta incompiuta era quella iniziale, proprio perché non possedevo il libro che avrebbe dovuto aiutarmi (ancora non era di uso fare ricerche con google), quindi mi diede una mano una mia amica, e nello scrivere cambiai penna. La “professoressa” se ne accorse e, gettandomi il quaderno con veemenza in viso, mi fece sedere nel banco della vergogna, continuando ad inveire sulla mia ignoranza, che mai avrei potuto fare di meglio nella vita.
Non avevo modo di difendermi, non davanti allo scherno di una donna adulta, non davanti ad una classe di quasi 30 alunni, non ad 11 anni, quando ancora sapevo poco di me stessa.
“Piangi, piangi bella mia, che solo questo sai fare!”
Per tutte le scuole medie ebbi a che fare con lei, furono tre anni d’inferno che mi distrussero; l’avevo quasi ogni giorno, per diverse ore, e dovevo sorbirmi una marea di romanzine, anche quando non avevo alcuna colpa. Persino nei voti, quando li prendevo alti (cioè quando dimenticava che quel compito fosse il mio) ed andavo alla cattedra per la correzione, vedendomi arrivare riguardava il voto, abbassandolo… Perché…“Ah, è il tuo, no, va beh, non valeva così tanto”. O quando, per i miei capelli blu, mi si veniva detto “Sei vecchia, tingiti i capelli del tuo colore naturale, sembri di ottant’anni con ‘sti capelli turchesi”.
Solo perché risultavo diversa. Allora sì, hai il diritto di denigrarmi.
L’inferno,dicevo.
Sì, fu l’inferno. Ma ho avuto modo di risorgere, come una fenice, da quelle che erano le ceneri.
Durante le scuole medie non ho avuto fari, guide, persone che ti trattavano con rispetto e che aiutavano la tua mente a divenire unica e particolare, no. Ho subìto tutto il contrario: persone senz’anima che giudicavano dall’apparenza, che volevano gli studenti tutti uguali, gentaglia che prendeva un’abilitazione all’insegnamento per hobby e, nel frattempo, pensava a ingrassarsi le tasche.
Ogni volta che il pensiero corre a quei giorni tento sempre di cancellare le immagini che piombano nella mia mente. Non è semplice e non è facile ricordare.
I tagli bruciano sempre, ma io, comunque, sono rinata d’acciaio.