“Si perdono occasioni impossibili da reinventare, e tu pensi al tempo come a una stoffa insufficiente a vestire tutti i giorni che vorresti ancora vivere”
Agata ha 40 anni, fa l’editor, un lavoro che non riesce a darle l’indipendenza economica e neanche la felicità che vorrebbe. Quella, in realtà, l’ha persa all’età di 13 anni, nell’estate in cui sua madre è uscita di casa per non tornare mai più. Da quel giorno Agata combatte con i suoi mostri, con una mancanza che scava nell’animo e in un corpo ferito che il cibo non cura, anzi, mortifica.
Nulla sembra esserle d’aiuto, neanche gli anni che passano, perché “i giorni non sono candeggina e il tempo è una lavatrice rotta. Niente di ciò che viviamo si allontana tanto da non essere più visibile”.
Agata si muove nella sua vita con i passi incerti di una bambina che non è stata abbastanza amata, che non ha ricevuto abbastanza attenzioni, che non è bastata ad una donna incapace di essere mamma, ad una donna che ha solo saputo ripeterle di tirare su la testa e camminare con la schiena dritta.
Lucia è una madre assente anche prima di sparire, è una madre che non riempie la casa di luce, nonostante il nome che il destino le ha dato per prendersi gioco di lei. Lucia è “bella, di quelle bellezze che quando capitano si portano dietro la sciagura e il prezzo alto da pagare” ed è una donna nata per cercare sempre qualcos’altro e per non accontentarsi mai di ciò che possiede.
Agata, dunque, deve fare i conti con un distacco doloroso che ha subito senza poterlo decidere e perciò, per provare a metabolizzarlo, scrive la storia di sua madre, la inventa, la immagina, per ritrovare lei e sé stessa.
È di questo che parla il romanzo di Elena Mearini, “I passi di mia madre”, della Morellini Editore.
Una storia profonda, come profonde sono le ferite della protagonista, una donna che non riesce a perdonare colpe che non ha, che non riesce ad accettare di non essere stata circondata da quel tipo di amore che ogni figlio merita.
Agata è una donna che continua a sentirsi sbagliata e insegue amori che non la mettono al centro della loro vita, proprio come un tempo ha fatto sua madre e come adesso fa Samuele, un uomo che lei non smette di cercare perché “ciò che non si lascia afferrare del tutto ti tiene agganciato a sé”. Le basterebbe alzare lo sguardo, prendersi cura di sé, convincersi di poter amare pur non avendo ricevuto amore. Solo così potrebbe incontrare gli occhi di Marco, un ragazzo pronto ad accarezzare le sue assenze perché “appartiene alla categoria di chi resta anche quando altrove è più facile”.
Una scrittura poetica, vera, dura, reale. Una trama avvincente che tiene il lettore incollato alle pagine perché ogni ferita della protagonista è anche la nostra, ogni piaga del suo corpo brucia anche su di noi e ogni rifiuto è una porta chiusa anche nella nostra vita.
Elena Mearini incanta, commuove, restituisce importanza ai sentimenti e ci invita a far pace con noi stessi.
Buona lettura a chi non si arrende e sa aspettare perché “ci vuole tempo prima che i ricordi trovino voce, imparano a parlare soltanto quando noi siamo pronti ad ascoltarli”. Buona lettura a chi non si è mai sentito all’altezza e ha “sempre preferito gratificare con la bugia che deludere con la verità”. E infine buona lettura a chi ha il coraggio di andare contro tutti, a chi sceglie di essere felice e di perdonarsi perché “siamo il risultato di più errori e viviamo per correggerci”.
ALESSANDRA D’AGOSTINO
Sono una prof di Lettere appassionata e sorridente! Amo insegnare, leggere e scrivere recensioni, racconti e poesie che, spesso, hanno ricevuto pubblicazioni e premi letterari nazionali. Il mio motto è: "Se la fatica è tanta, il premio non sarà mediocre"... La vita mi ha insegnato che Giordano Bruno non si sbagliava!