L’estate per noi è iniziata in anticipo: il 4 maggio con la fiera di San Francesco di Paola. Eravamo tanto eccitati di partecipare alla fiera col nostro food truck, un furgoncino giallo modello vintage Mercedes, il cui interno si trasforma in un attimo in cucina ambulante. È li che prende vita il nostro “pulled pork”, un panino che da lì a poco avrebbe avuto il successo che merita. L’idea è venuta a me per prima, avevo già assaggiato il pulled pork alla fiera di S. Antonio a Lamezia, da quelli del Salumificio Mena. Ho pensato: “perché fare il solito panino con salsiccia? Prova il pulled, vedrai andrà alla grande!”, con questa mia esclamazione Samuele si fece tentare dall’idea, giacché il forno a legna per la lunga cottura l’avevamo, potevamo provarci. Così abbiamo ordinato la carne di capicollo alla Macelleria Garritano di Paola, 7 ore di cottura, e poi la piastra, con l’aggiunta di verdure grigliate e salsa barbecue. Ricordo che Samuele passò una mezza giornata alla selezione delle farine del panino, una specie di pagnotta morbida e croccante, che avrebbe realizzato Valentino Garritano, del Laboratorio Artigianale della Salumeria del Cannone di Paola. E insomma pulled pork fu. Il nostro food truck viaggiava con 4-5 pulled pork alla volta, tanto che molti ragazzi si ripresentavano la sera dopo per un bis, o tris, e sul lungomare non si faceva altro che parlare del nostro panino speciale. Davanti a noi avevamo un mega food truck, una cosa gigantesca, con luci, lampadari, al cui interno figuravano una decina di uomini più o meno anziani con accento siciliano. Ebbene, anche loro con la loro imponenza di mezzo il giorno della chiusura della fiera lamentavano poche entrate, e si complimentavano con noi.
Da lì a poco, freschi dell’entusiasmo della fiera del 4 maggio, avremmo aperto il lido “La Margherita”, dato che la normativa della concessione lo prevedeva. Ma evidentemente esiste una legge velata, talmente velata che non si vede infatti, secondo cui tutti devono aprire più o meno insieme. Se uno apre il 2 giugno e gli altri dopo un mese, no, questo non va bene. Ma a chi non va bene? Lascio ai lettori la risposta. Qualcuno dopo qualche settimana al bar venne a dirci che aveva sentito dire che “eravamo stati dei pazzi ad aver aperto il 2 giugno”. Siamo pazzi. Si. Perché ci piace lavorare. Siamo pazzi.
Siamo riusciti ad aprire prima, contrariamente agli anni precedenti, perché ho spronato tanto Samuele a farlo, in quanto credevo nelle sue capacità. Nessuno avrebbe creduto che i lavori sarebbero finiti in 2 settimane. Neanche a casa si capacitavano all’idea. “È inutile che aprite a giugno. Non verrà nessuno”. È vero che nei piccoli centri il turismo ruota attorno ad agosto, quando rientrano le famiglie degli emigrati. Qui ad esempio agosto è made in Roma. Ma io che credo in una idea imprenditoriale larga, con una geografia ampia, immaginando tanti miei amici arrivare da più parti, con cibo biologico e pulled pork, ho voluto insistere e persistere e infatti i risultati si sono iniziati a vedere subito.
Ogni weekend di giugno e di luglio era pieno di gente che veniva da Lamezia, Monte Reventino, Cosenza, e dintorni. Laddove tutti percepivano una estate calma, e laddove molti erano con i locali vuoti, noi avevamo la lista dei prenotati, e siccome anche quest’anno non eravamo riusciti a trovare personale, non sempre riuscivamo a preparare cibo in quantità. Tanto che spesso mi arrabbiavo perché dicevo “non siete abituati ai grandi numeri, dobbiamo avere più cose da proporre”.
A qualcuno tutto questo non stava bene. A partire dal panino della fiera del 4 maggio fino all’estate inoltrata noi lavoravamo. E questo, in un paese dove la sana concorrenza non esiste, non va bene. Davamo fastidio. Così come davamo fastidio se nel nostro lido vi erano famiglie perbene, bambini, gente pulita, onesta, e non cerchie di persone afferenti al malaffare. Ogni domenica sotto gli ombrelloni del lido Margherita c’erano volti belli, associazioni culturali, turistiche, ambientaliste, c’erano scrittori, giornalisti, docenti, studenti, funzionari, avvocati, ma pure carpentieri, operatori e tecnici, muratori, c’era la bella gente quella il cui sorriso ti riempiva di gioia. Ma soprattutto c’era l’accoglienza. Quella che o ce l’hai o niente. C’eravamo noi, che accoglievamo i clienti, e con cui si intavolava un discorso, a cui si chiedeva “come state? “, a cui si parlava guardandosi negli occhi. Molti venivano da noi perché non si sentivano più soli. E noi con loro.
Abbiamo dato rilievo all’uguaglianza, praticando l’interculturalità e l’intergenerazionalità. A noi però mancavano molte cose: ad esempio non siamo mai scesi a compromesso, non ci siamo mai sbracati le mutande con nessuno. La birra la dovevano pagare tutti. Altra cosa era la birra condivisa o offerta, ma questo poteva capitare solo se davanti a noi c’era una faccia trasparente. Non sapevamo fingere. Chiudere gli occhi. Da noi la voce grossa ha perso. Ricordo che più volte mi sono dovuta imbattere in discorsi di una bassezza culturale senza limiti, per mediare, o per essere diplomatica laddove era solo arroganza. Di fastidi ne abbiamo raccolti tanti ma sempre affrontati a testa alta e senza paura.
Sappiamo riconoscere i metodi mafiosi. Altro nostro difetto? Che decidiamo di starne alla larga. Non abbiamo paura di qualcosa che non ci appartiene neanche lontanamente quindi decidiamo di prendere le distanze. Lo scorso 19 luglio abbiamo pagato il prezzo di essere come siamo. Svegliandoci con le fiamme e la tanica di benzina.
Dopo neppure mezz’ora dalla verifica del fatto…e quale fatto? Eravamo stati oggetto di una intimidazione mafiosa. Ma in tanti non sapevano di cosa io parlassi. Siamo corsi subito al comando dei carabinieri, a fare la denuncia, e subito dopo di ritorno al lido ho ordinato cassette di verdura, di carne, di pane. Ho detto a tutti di continuare a lavorare come se nulla fosse successo. Chi voleva distruggerci non c’era riuscito, e questa era la prima cosa di cui andare felici. Ma dovevamo dare un segnale assai più forte, e cioè che il nostro food truck quello che dava a noi reddito continuava a farlo. Non ci stavamo fermando. Proprio come più volte abbiamo ribadito a mezzo stampa e sui tg regionali.
I primi giorni, le prime settimane, sono stati molto difficili. Eravamo scossi, turbati, traumatizzati, avevamo paura, si, certamente avevamo paura, soprattutto a sera, quando andava via l’ultimo cliente. Le prime sere chiedevamo agli amici di restare fino alla chiusura. Oppure ci organizzavamo affinché fosse tutto quasi pronto per chiudere non appena l’ultimo tavolo si fosse alzato. Abbiamo chiamato più volte i carabinieri, già attenti, per chiedere di starci più vicino la sera. I controlli non sono mancati.
Dal 19 luglio ad oggi siamo stati circondati di clienti, alcuni venuti per la prima volta dopo aver letto la notizia proprio per darci solidarietà. Tanti amici, associazioni, sindacati. Provenienti da più province. Abbiamo avuto la vicinanza della CGIL Calabria, ma anche qui i paesanotti hanno avuto da ridire. Qualcuno ha mosso critiche perché di sinistra, altri perché affermano che i sindacati mangiano alle nostre spalle. Insomma tutta gente che parlava di contorno e che non è mai venuta a salutarci neanche una mezza volta. I longobardesi assenti. Fra questi anche pesudo amici, parenti, tutti spariti. Il perché? Anche questo lo lascio ai lettori. Eppure le voci di fondo non sono mancate. I vicini sono arrivati a prendersi il caffè ad agosto inoltrato. Qualcuno è venuto anche a fare il lavaggio del cervello. A giustificare il marcio. A dirci che era meglio fare finta di niente, o peggio che dovevamo essergli amici. Qualcuno ha sminuito. “Era una bravata” . Collusi?
I nostri orari lavorativi sono stati da full immersion. Non avevamo turno. Eravamo soli. E dovevamo fare 8-24, quando andava bene altrimenti si tornava a casa alle 2 o alle 3. Abbiamo chiesto a molti, qui nelle vicinanze, se potessero fittarci una stanza. Ma nessuno ci ha aiutato. Così come all’inizio, quando dovevamo aprire il 2 giugno, e ancora a distanza di 2 settimane nessun elettricista o idraulico si faceva vivo. Tutti pieni di lavoro. Di impegni. Nessuno di Longobardi è venuto a vedere come andavano le cose, neanche dopo l’incendio. Anzi, da lì in poi è calato totalmente il sipario. Nessuno sembrava più conoscerci. Per strada, al bar, al supermercato. Quando mi vedeva qualcuno si abbassava lo sguardo. Io ero quella che aveva denunciato con Samuele anche a livello mediatico, un paese come Longobardi sulla bocca di tutti. Un paese dove non era mai successo niente del genere prima d’ora. Un paese senza memoria, senza dignità.
Abbiamo raccolto dati, informazioni, e confidenze anche da parte di altre vittime di incendi dolosi e abbiamo raccolto dati anche su cose, persone vicende assai noti a tutti. Ma il paese è senza memoria. Un paese in cui tutti sono amici di tutti. Ma siccome io non voglio essere amica di tutti, bannatemi pure. Per me è un vero piacere non piacere a tutti. Un paese pieno di ipocrisia, in cui la verità viene celata sin dall’infanzia, in cui è tutto tranquillo ma tutto si muove in sinergia alla criminalità organizzata della provincia, della regione.
Vorrei dire grazie a tutti coloro che ci sono stati vicino. Vorrei invece mandare la mia indifferenza a chi non lo ha fatto. E vorrei dire che la giustizia esiste. Occorre crederci.
A me il pietismo non è mai piaciuto. Inoltre lo trovo davvero inutile. Se vogliamo che le nuove generazioni non finiscano col diventare nuove leve, e cioè se vogliamo salvare i giovani dalla mafia occorre che le denunce si raddoppino. Insieme siamo più forti. Che sia solo la prima di tante azioni dirette a dare dignità, cultura, legalità.
Valeria D'Agostino è giornalista pubblicista, curiosa del bello, amante della natura e della poesia. Ha contribuito a realizzare il Tip Teatro di Lamezia Terme, già ufficio stampa di Scenari Visibili, blogger sin dagli esordi di Manifest Blog. Ha lavorato per Il Lametino, attualmente corrispondente esterna della Gazzetta del Sud. Nell'ambito della scrittura giornalistica ha prediletto un interesse particolare per le tematiche sociali, quali in primis la sanità e l'ambiente, culturali, e artistiche. Si divide fra Lamezia Terme e Longobardi, costa tirrenica cosentina dove si occupa di turismo e agricoltura biologica. "Un buon modo per dare concretezza al concetto di fuga".
2 commenti
Aggiungi il tuoGrande,immensa Valeria. Grandi Tu e Samuele che ho, abbiamo, sempre trovato sorridenti e intenti al lavoro nelle numerose domeniche che ci hanno visto tra giugno/luglio/agosto arrivare da Soveria Mannelli al vostro Lido La Margherita. A testa alta sempre,a difendere il vostro diritto a lavorare , a testimoniarlo con caparbietà e impegno e tanta fatica e tanto sudore. Fiero di conoscervi ,di esser vostro Amico.
Bravi
Bravissimi
Questo è lo spirito giusto
I vigliacchi muoinon
piu volte……
Verrò a trovarti prossimo anno.