Cleto Festival VI – I’M NOTHING. L’europa nel fango di Idomeni.

La prima serata del Cleto Festival, dopo la presentazione iniziale, è iniziata con un dibattito sul documentario “I’m nothing: l’Europa nel fango di Idomeni” di Dante Prato, presente nella piazza del paese e Laura Danzi, sul tema del grande campo profughi in Grecia, che oggi è stato smantellato, ma per un periodo ha ospitato circa 16000 persone. Il moderatore era Alfredo Sprovieri, giornalista di Mmasciata, che ha detto come il tema dell’immigrazione sia attuale, ma allo stesso tempo arrivi da molto lontano. Però fino al 2008 i giornalisti avevano reticenza a parlarne perché dicevano “tanto i migranti i giornali non li leggono”. Invece raccontare è importante e importante sarebbe anche trasformare i numeri in persone, ad esempio invece di riportare le cifre delle vittime durante i “viaggi della speranza”, riportarne i nomi.

Il primo intervento è stato di Enzo Infantino, impegnato per il sostegno umanitario nei campi profughi. Egli ha sostenuto l’importanza di Festival come quello di Cleto, come luogo di resistenza ai luoghi comuni, al populismo e alle demagogie e apertura alla diversità. Gli immigrati- ha detto – sono spesso persone scappate dai conflitti per salvare la loro vita, anche al costo di metterla a rischio. E’ importante pertanto portare sostegno umanitario ai profughi e ai rifugiati, come ai popoli schiacciati dai potenti come i Curdi e i Palestinesi. E’ necessaria pertanto una resistenza e un urlo verso i paesi occidentali dove la dignità umana è schiacciata nei processi e nei campi di accoglienza. La Grecia, come l’Italia e la Spagna, per gli immigrati sono una porta della speranza di una nuova possibilità di vita. Troppo spesso nel nostro paese si dà voce a soggetti politici che alimentano la paura per trarre consenso.

Infantino ha viaggiato spesso a Idomeni per portare aiuti, ma adesso il campo è stato smantellato e i profughi sono stati dislocati in diversi campi governativi, che sono privi dei servizi minimi. Infantino ha concluso dicendo che oltre a dar contro della condizione di vita dei profughi, dobbiamo ricordare i contesti da cui scappano e le responsabilità Occidentali nel renderli invivibili. E’ seguito l’intervento di Marco Stefanelli, che ha fatto un parallelismo tra Idomeni e il Gran Ghetto di Rignano Garganico, situato vicino Foggia, dove presta aiuto, e che presto sarà smantellato diventando deserto. Marco però precisa che pur essendo questo campo un caos, lo è sia in senso negativo che positivo, in quanto ospita persone che cercano di risolvere insieme i propri problemi.

Nel parlare di immigrazione, sostiene Marco, bisognerebbe evitare l’approccio pietistico o quello con informazioni non corrette. Gli immigrati sono persone che vengono nei nostri paesi per lavorare e spesso fanno i lavori che gli italiani non vogliono più fare. Quando non trovano persone disposte a affittargli case si costruiscono delle baracche e a Rignano Garganico si è arrivati a una baraccopoli di circa 2500 persone, con piccoli negozi e bordelli. Il lavoro che fanno è la raccolta del pomodoro e per rendere l’idea di quanto guadagnino, il pagamento è a cottimo e un cassone di pomodoro viene pagato 3 euro e 50. Oltre alla bassa paga e al lavoro faticoso e logorante, è un lavoro in nero quindi che non garantisce diritti. Adesso le autorità vogliono sbaraccare il campo per sostituirlo con una tendopoli.

E’ seguita la riflessione del Calabro-Venezeluano Giulio Vita, organizzatore del festival di cinema “La Guarimba” ad Amantea. Egli ha ricordato come anche noi italiani siamo emigrati, conservando allo stesso tempo l’orgoglio dell’appartenenza, vivendo come in “bolle” all’estero, ovvero piccole comunità chiuse, come ci lamentiamo facciano oggi altre etnie. Nei Caraibi per esempio i profughi sono stati accolti e aiutati per una questione di umanità, ma anche per convenienza economica, vista la forza lavoro che portavano. Ad Amantea è stato creato un progetto di cinema ambulante per integrare quei profughi che rimangono isolati e non interagiscono con il resto della società ed è stata anche creata la biblioteca Guarimba con i libri donati per il centro dei rifugiati. Ha concluso il dibattito il regista del documentario “I’m nothing”, Dante Prato, specificando che il titolo deriva da una intervista a una signora dell’Afghanistan che ha detto “i’m nothing, io non sono niente, ma non voglio che i miei figli crescano nella guerra”. Oltretutto si parla di guerre che l’Occidente ha provocato. Idomeni, secondo il regista, è diventato il simbolo dell’inadeguatezza europea nella gestione del flusso migratorio. Adesso è stato sgomberato, ma ci sono nuovi campi, ancora peggiori, perché  non considerati e attenzionati, e ce ne sono anche in Italia. Non si assiste a politiche di integrazione, ma a politiche securitarie di una Europa che ha paura, ma noi vogliamo una Europa differente, che esiste nella solidarietà che migliaia di persone portano, aiutando nei campi profughi. Infine Marco Stefanelli ha ricordato che è giusto che le istituzioni facciano qualcosa, ma anche noi cittadini europei abbiamo il potere di cambiare le cose partecipando e scendendo in strada.

Studente appassionato e allo stesso tempo svogliato di psicologia. Giocatore e istruttore di scacchi. La ricerca della verità, che sia la psiche umana o una posizione sulla scacchiera, mi ha fatto scontrare col mistero. E' forse così che è nata la mia passione verso l'arte? L'artista crea un enigma da una soluzione, ha scritto Karl Kraus. Per risvegliare la meraviglia, la magia e l'amore per l'ignoto.

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