La donna: conoscenza, coraggio o sfiga?

Prima del peccato originale, nella cosiddetta protologia (= che viene prima della Storia), il nome di Eva è semplicemente quello di Donna, “Ishshah” ovvero forma femminile di “Ish” (maschio). Questo sottintende facilmente una condizione naturale non solo di assoluta parità con l’uomo, ma anche di assoluta unità.
Ora, nell’esperienza edenica sono ravvisabili, probabilmente, quei primordiali sogni dell’uomo di una purezza incontaminata e di una vicinanza con la divinità così estrema da non conoscere per nulla la morte.
Ma oltre alla non conoscenza della morte l’uomo non era a conoscenza neppure della differenza tra bene e male; non poteva possedere, insomma, la benché minima traccia di spirito critico in quanto la divinità stessa, creandolo, aveva deciso di non darglielo.
A questo punto compare di colpo un terzo personaggio: il serpente, la cui identificazione con Satana è solo frutto della supponenza cristiana. In realtà esso è simbolo delle prime polemiche ebraiche contro l’idolatrie dei popoli indigeni della terra di Canaan e non solo. Il serpente, presso molti popoli della Mesopotamia infatti, rappresenteva il dio Baal, non dio del male o altre cavolate, bensì dio della fertilità.
Questo serpente, la cui qualità più sottolineata è l’astuzia, si rivolge solo alla Donna (e questo, secondo la rigorosa e terribile esegesi ebraica, per via della più spiccata corruttibilità. Ma non si era detto che uomo e donna fossero uniti? La stessa cosa?).
Ecco che la Donna si ritrova così in mano il frutto (l’idea della mela è solo un costrutto su base etimologica medievale) della conoscenza del bene e del male; pensa bene di donarlo anche all’uomo, in un passo tra i più poetici:
“se io vivo, vivi anche tu… ma se io muoio tu resterai solo…”, fu per questo che Adamo decise di vivere e morire “assieme” ad Eva. (Midrash Bereshit Rabbah 19, 8)
La divinità, infuriata, maledice innanzitutto il serpente; poi si rivolge all’Uomo e alla Donna (che da adesso si chiamerà Eva = che dà vita) annunciandogli la fine della loro esperienza edenica e l’entrata nella Storia, una storia che sarà alquanto travagliata. Mentre per l’uomo, Adamo, la punizione divina consiste nella fatica e difficoltà di lavorare la terra (la “maledizione” vera e propria, a questo punto, è più rivolta alla terra stessa) per Eva la divinità ha in serbo ben sette bei punti:
. sofferenza e “sacrifici” per l’educazione e l’allevamento dei figli;
afflizione e sconforto nelle gravidanze;
. dolori nel parto;
. dominio del marito su di lei;
. “custodirai però il desiderio nel tuo cuore”;
. relegata in casa e divieto di apparire in pubblico a capo scoperto;
. divieto di essere ammessa a testimoniare davanti al Bet Din per essere menzognera;
. “infine dovrai morire”

La donna si fa dunque più carica di sofferenze per quale motivo? Per via di un’eccessiva pignoleria della divinità? Per via del caso fortuito che ha visto lei disponibile di fronte al serpente, mentre magari l’uomo era in giro a fare una passeggiata? Perché per natura (e quindi per dio), come asserivano gli ebrei, la donna è più corruttibile? A queste domande i frammentari compilatori del libro della Genesi (VI a.C. circa) non danno ovviamente risposta.
Per fortuna, a migliaia di anni di distanza l’influsso di queste parole sulla nostra società sembra ormai affievolit… ah no aspetta!

A me piace pensare semplicemente alla donna come lato umano della volontà di conoscenza, di vita, di storia effettiva e non di mitologia. D’altronde… in quel giardino dell’Eden le giornate dovevano risultare molto noiose.

Vive a Lamezia Terme, legge e scrive dove gli capita. A tempo perso si è laureato in Beni Culturali e in Scienze Storiche, a tempo perso gestisce il blog Manifest e a tempo perso è responsabile della Biblioteca Galleggiante dello Spettacolo del TIP Teatro. Di fatto, non ha mai tempo. Ha esordito nel 2023 con il romanzo "Al di là delle dune" (A&B)

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