Quando la contemporaneità è solo antagonismo, reinventiamo parole dalle pietre

Siamo nella terza settimana di agosto del 2018.

Nel bel mezzo della contemporaneità a parlare di contemporaneità, fra festival e Talk, in attesa che questa estate volga a termine.
I temi sono ancora quelli di 3 o 5 anni fa, semplicemente si cambia i titoli, i contenuti ruotano intorno all’idea di Calabria fino quasi a svuotarla di significato.

Intanto, però, il momento storico non è dei più floridi.

La Calabria, stivale di una Italia alla deriva, con un capo dei capi che tiene a bada la ‘ndrangheta, fa un cenno dalla lontana San Luca, urlando slogan finti e che non fanno mai vergognare abbastanza “basta mafia”.

La Calabria, il Sud del Sud del mondo, in cui anche questa grande citazione di Alvaro passa a banchetto delle numerose sagre a suon di musica, questa Calabria è davvero, oggi, la terra più dimenticata e bestemmiata del paese, quella più nascosta, letteralmente invasa dai problemi, e cosa forse più grave terra assonnata fra gli assonati.

Perché se c’é una cosa che si nota con particolare dispiacere, questa è la perdita di ‘consapevolezza’.

Da parte di tutti noi, abitanti della magica regione da cui i greci insegnavano l’ospitalità, continuano a contrapporsi idee, che tese all’antagonismo sterile, non fanno altro che condurre all’autodistruzione, allo sfacelo di progettualità e sogni…

É così che dall’idea di restare ed abitare questa terra contrapposta a chi invece decide di partire (entrambe le idee ostentate dieltro estremo compiacimento), piccoli e grandi gruppi culturali si sciolgono, altri resistono ma a fatica, altri ancora continuano a portare avanti, da sordi e ciechi, disegni di una terra che ormai non ci somiglia più, perché la sua identità sta mutando troppo velocemente sotto altri disegni,  politici,  volti ad affossare le utopie.

Dunque, oggi, anche termini come ‘resistenza’ o ‘resilienza’ vengono usati a sproposito, da coloro che non hanno ancora deciso di leggere con verità questo presente, o con occhi nuovi, mediante lo schieramento. E le uniche realtà a cui sento, pienamente di associare le parole che vanno tanto di moda, sono quei quei gruppi che, non solo d’estate ma anche d’inverno si organizzano e si interrogano in solitarie montagne o marine.

È troppo facile parlare di contemporaneità senza provare a studiarla mettendosi continuamente in gioco, lontani da quell’antagonismo che contrappone ‘autonomia’ e ‘istituzione’. Ed è così che nel tritacarne che servirà a creare il minestrone, si trapela ancora una volta  tanta ipocrisia e falsità ma soprattutto retorica, quella che porta a nausea e stanchezza, che ti fa alzare da una sedia e andare via.

Forse a guardare la Calabria, in modo silenzioso, coscienzioso, in una fase di piena meditazione, ricerca, isolamento , e con l’aiuto di un sempre occhio esterno, quindi lontano da localismo, affari di basso rilievo politico, si potrebbe trovare una fotografia inedita, che consentirebbe un nuovo respiro, molto più ampio e inaspettato di quanto si possa credere e infine ripartire.

Schierarsi è complesso e scomodo ma è ciò che questo momento storico, fatto di distruzione, sotto ogni punto di vista, ci chiama a compiere per correre davvero al riparo. Non va più niente bene, e ciò che appartiene all’altro non possiamo più considerarlo cosa sua, tutto ciò che accade adesso in un dato punto del paese, sebbene lontano geograficamente da me, accade anche a me. Nello stesso istante in cui muoiono persone sui barconi provenienti dai paesi della violenza e della guerra muoio anche io, impotente di fronte al dramma, impotente di fronte a chi oggi nello stesso istante al Governo Italiano impugna odio e populismo.

C’è stanchezza nell’aria e anche rassegnazione.

Perché mi sento parte di una minoranza, sento che il discorso sulle generazioni è fallito da tempo e che a nessuno è più venuto in mente di riproporlo. Ad annunciare il pessimismo cosmico, neanche leopardiano, sono i movimenti di ogni genere e grado, che attraverso azioni e mentalità contigue al malaffare seminano in territori compromettenti idee legate a vecchia politica, quella che fa ingrossare le tasche al potere deviato, massonico e mafioso.

Si insegue così un ciclo di incontri in cui gira e rigira un sistema di frantumazione di ‘salvezza’.

Sono scrittori, giornalisti, associazioni culturali, premi, professionisti, e tutta la classe borghese, quella citata più volte dai magistrati antimafia, a creare confusione, a scrivere pagine incoerenti, a fare della Calabria una parassita.

Una minoranza, quella in cui mi ritrovo, che valuta di dire no,nelle situazioni in cui sente di non sentire niente, una minoranza che si indigna dinanzi episodi di disumanità,  che non sopporta invece di tacere laddove per gli altri è tutto ormai segnato e assegnato.

Una minoranza che sebbene minoranza sente di avviare una riflessione ma sente pure che il tempo passa troppo in fretta e che, quindi, occorre agire.

Cogliamo qualcosa dalle pietre, facciamole diventare altro e uniamo sogni comuni che ci aiutino a reinventare parole.

Valeria D'Agostino è giornalista pubblicista, curiosa del bello, amante della natura e della poesia. Ha contribuito a realizzare il Tip Teatro di Lamezia Terme, già ufficio stampa di Scenari Visibili, blogger sin dagli esordi di Manifest Blog. Ha lavorato per Il Lametino, attualmente corrispondente esterna della Gazzetta del Sud. Nell'ambito della scrittura giornalistica ha prediletto un interesse particolare per le tematiche sociali, quali in primis la sanità e l'ambiente, culturali, e artistiche. Si divide fra Lamezia Terme e Longobardi, costa tirrenica cosentina dove si occupa di turismo e agricoltura biologica. "Un buon modo per dare concretezza al concetto di fuga".

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