Ghiannis Ritsos. La poesia contro la dittatura.

Urla strazianti squarciano la notte nell’isola avvolta dal mare. Alcuni prigionieri, chiusi nelle loro tende e nel loro terrore, piangono. Nella caserma appena illuminata, poco lontano, un uomo è legato al lettino dell’infermeria. Viene percosso con un manganello su piedi e tibie. Piange per le ossa rotte. Un militare si avvicina alle sue mani, con un arnese metallico gli strappa le unghie: “parla se vuoi uscire vivo da questa stanza”. Gli cospargono il sale sulle ferite.

In lontananza, continuano a piangere i compagni di prigionia. Poi, all’improvviso, il silenzio. Non si sente più alcun urlo. Discosto da tutti, sulla riva del mare, siede un uomo. È il poeta Ghiannis Ritsos. Sa che se venisse trovato dalle guardie, lontano dal campo, finirebbe anche lui in quella caserma. Ripensa ad un suo vecchio verso:

Nel pugno serrato l’amore/ contiene l’universo

1- La dittatura

Non piangere la Grecia” (Ne pleur pas sur la Grèce), romanzo di Bruno Doucey, racconta la prigionia di Ghiannis Ritsos, poeta fondamentale della Grecia moderna. Il romanzo ha come sfondo storico la drammatica dittatura dei Colonnelli, instaurata tra il 1967 e il 1974. L’autore ripercorre gli eventi storici attraverso gli occhi del poeta e di un ragazzo francese, Antoine. Il giovane è innamorato della cretese Fotinì, della quale perde i contatti proprio durante i giorni del colpo di stato. Antoine, spinto dal desiderio di conoscere il destino dell’amica, si unirà ad un gruppo di intellettuali francesi a sostegno della liberazione del poeta Ritsos. E così, il ragazzo inizia a comprendere come il suo destino, quello di Fotinì e quello del poeta Ritsos siano in verità intrecciati: non può esserci salvezza per sé stesso mentre qualcun altro è in pericolo, né si può restare indifferenti alla chiamata delle vicende storiche.

La dittatura dei Colonnelli (τὸ καθεστώς τῶν Συνταγματαρχών) venne istaurata il 21 Aprile 1967 attraverso un colpo di stato. Alle 02:30 un reggimento di paracadutisti occupò il Ministero della Difesa. Altri reparti militari occuparono le più importanti infrastrutture e istituzioni greche. L’obiettivo era arrestare violentemente l’azione del leader democrarico Georgios Papandreu, guida del partito Unione di Centro (Eνωσις Κέντρου, EK). Questo aveva avviato una politica sociale di ridistribuzione del reddito, una diminuzione dei privilegi accordati ai capitali stranieri, una pianificazione dello sviluppo economico, una modernizzazione e democratizzazione dell’istruzione pubblica.

Carri armati per le vie di Atene, 21 aprile 1967

Il clima politico ad Atene, negli anni 60′, era rovente. Tra il 1952 e il 1963 la Grecia è formalmente un regime parlamentare e democratico; tuttavia, il partito di governo, l’ERE (Unione radicale nazionale) reprime duramente l’opposizione filo-comunista, fondando la repressione su una legislazione risalente al periodo dell’occupazione nazista.

Fortissima, dunque, la lontananza tra gli ambienti politici di destra e sinistra, apertamente in conflitto. L’acme dello scontro ebbe luogo il 22 maggio 1963 a Salonicco. Gregoris Lambrakis, prima partigiano ed in seguito attivista per la pace nel mondo, tra i principali oppositori della destra greca, venne assassinato da un estremista di destra. Il colpevole, insieme ai complici, sarà amnistiato dalla dittatura dei Colonnelli.

I funerali di Gregoris Lambrakis

Le forti proteste e le inchieste consentirono intanto alla sinistra di vincere le elezioni del 1964. Eppure, l’insanabile conflitto sociale sfociò nel colpo di stato dei Colonnelli, i quali adottarono presto metodi spietati, colpendo le fasce della popolazione greca più interessate dalle riforme in atto: studenti, operai, intellettuali. Si stima che circa 100.000 greci, negli anni della dittatura del Colonnelli, conobbero forme di esilio o detenzione in sperdute e aride isole dell’Egeo.

Il film greco premio Oscar “Z – L’orgia del potere” del 1969, apertamente ispirato all’omicidio Lambrakis e ai fatti della dittatura, porterà all’attenzione internazionale i lati più cruenti della destra greca, ma anche gli aspetti più grotteschi della perversione della dittatura: «i militari hanno proibito i capelli lunghi, le minigonne, Sofocle, Tolstoj, Mark Twain, Euripide, spezzare i bicchieri alla russa, Aragon, Trotskij, scioperare, la libertà sindacale, Lurçat, Eschilo, Aristofane, Ionesco, Sartre, i Beatles, Albee, Pinter, dire che Socrate era omosessuale, l’ordine degli avvocati, imparare il russo, imparare il bulgaro, la libertà di stampa, l’enciclopedia internazionale, la sociologia, Beckett, Dostojevskij, Čechov, Gorki e tutti i russi, il ‘chi è?’, la musica moderna, la musica popolare, la matematica moderna, i movimenti della pace, e la lettera ‘Ζ’ che vuol dire ‘è vivo’ in greco antico».

 

2 – Chi è Ghiannis Ritsos?

Lo stesso giorno del colpo di stato, il 21 aprile del 1967, mentre i carri armati rastrellano le strade della capitale, mentre la radio passa in continuazione gli annunci dei militari, mentre per le città, piazze e strade aleggia il caos, ad Atene i militari cercano rabbiosamente un uomo: è proprio il poeta, Ghiannis Ritsos. Pericolosa, per i regimi, l’attività dei poeti eterni inconsolabili consolatori del mondo“.

Quando i gendarmi giungono nell’appartamento di Ritsos trovano un uomo col bagaglio già pronto. Egli tace, non ha neppure da chiedere quale sia la sua colpa, sa che la poesia è la sua condanna:

solo si batte un popolo/ senza armi e senza scudi/ per il pane del mondo intero

Il poeta greco Ghiannis Ritsos

Non è la prima volta che il poeta viene incarcerato. Tra il 1948 e il 1952 Ghiannis Ritsos conobbe il confino ad opera del governo instaurato dagli Alleati a seguito della Seconda Guerra Mondiale. Limnos, Makronissos, Agios Efstratios, Ai Stratis. Isole circondate da un mare immortale e da una natura rigogliosa. Non per i dissidenti del regime. Furono, infatti, luoghi di detenzione spietati.

Ghiannis Ritsos nasce a Monemvasía (Μονεμβασία) il 1° Maggio 1909. Il nome greco Μονεμβασία è traducibile come “un solo accesso” e testimonia le difficoltà nel raggiungere la località. Il paesino è incastonato sulla costa rocciosa del Peloponneso, posto nella penisola più orientale della regione, Capo Malea.

Negli ottant’anni della vita di Ritsos la Grecia attraversa numerosi eventi tragici: la rivolta di Creta, le due guerre balcaniche, la prima guerra mondiale, la sciagurata invasione della Turchia e l’esodo dei Greci dall’Asia Minore (Manifest ne ha parlato qui), il fascismo di Metaxàs nel 1936, l’invasione italiana, l’occupazione tedesca, il “protettorato” inglese, la Giunta fascista dei Colonnelli dal 1967 al 1974 e infine l’inesorabile avvicinamento al modello consumistico occidentale, che cambierà per sempre il volto della Grecia, ormai piccola e sperduta provincia dell’Europa.

Veduta di Monemvasia, paese natale di Ghiannis Ritsos

La vita di Ritsos, come la sua Grecia, conobbe molte difficoltà: ultimo di quattro figli di una famiglia di proprietari terrieri, comincia a comporre versi e ad interessarsi di musica e di pittura dall’età di 8 anni. Presto, tuttavia, il fratello e la madre muoiono di tubercolosi. Il padre dilapiderà il patrimonio a causa della ludopatia e verrà ricoverato, insieme ad una delle figlie, in un istituto psichiatrico.

Ritsos si trasferì ad Atene nel 1925 per l’istruzione universitaria, tuttavia, a causa delle precarie condizioni economiche, lasciò gli studi, svolgendo attività di dattilografo e copista per una banca. Ricoverato a causa della tubercolosi per tre anni, al termine della malattia iniziò ad avvicinarsi agli ambienti del Partito Comunista Greco, curando gli allestimenti teatrali di spettacoli cui prenderà parte anche come attore.

L’adesione politica di Ritsos avvenne non tanto per “scelta di classe, quanto per la “cognizione del dolore” altrui:

Io non porto la pistola nella tasca posteriore dei calzoni/ io non alzo il pugno chiuso.

 

2.1 Il poeta dell’uomo

Nel 1936 Ritsos diviene noto in tutta la Grecia per essersi opposto al futuro dittatore Ioannis Metaxas. In quell’anno la figura di Metaxas divenne egemone nel panoramica politico greco. Il 9 Maggio 1936, un Sabato, a Salonicco operai e cittadini manifestano in corteo contro il governo Metaxas. Un ragazzo di nome Tassos Toussis viene ucciso dai militari. Un anonimo immortala il corpo del giovane vegliato dalla madre disperata.

Già il 12 Maggio compare quello che diventerà il famosissimo “Epitaffio” di Ritsos, stampato clandestinamente. La dittatura proverà inutilmente, tra sequestri e violenze, a bloccarne la diffusione, mentre la poesia lotta senza armi contro la brutalità. Nonostante la repressione, le reti di tipografie clandestine riusciranno a stampare e distribuire almeno 10.000 copie dell’Epitaffio, che divenne subito notissimo in tutta la Grecia.

Voce dell’Epitaffio è la madre del giovane ragazzo ucciso: «Γιέ μου, σπλάχνο των σπλάχνων μου» (Figlio mio, viscere delle mie viscere), «Τι έκανες, γιέ μου;» (Che hai fatto, figlio mio?), «Βασίλεψες αστέρι μου» (Sei tramontata, stella mia), «Γιέ μου, στίς φλέβες ὁλουνῶν, ἔμπα βαθιά καὶ ζῆσε» (Figlio mio, nelle vene di tutti entra profondamente e vivi).

Elemento comune della sterminata produzione del poeta (si contano all’incirca 250 raccolte) è il ruolo che la poesia ha per l’uomo.

Ma come può l’uomo vivere senza poesia?

La poesia non serve all’uomo per consentirgli una modesta tranquillità, una contemplazione di ciò che è. Poesia non è il verso ben elaborato, cesellato. La poesia non è fine a sé stessa. Ghiannis Ritsos pone grande fiducia nella coscienza umana, nella sua naturale umanità, in quel naturale sentire comune che chiamiamo dolore. La parola-poesia è lo strumento attraverso il quale l’uomo condensa quel dolore e lo ricompone in linguaggio conoscibile, allo scopo di curare e alleviare. In ogni verso del poeta c’è sempre speranza per una redenzione e per una rinascita.

Eppure – chissà -/ là dove qualcuno resiste senza speranza/ è forse là che inizia la storia umana,/ come la chiamiamo/ e la bellezza dell’uomo

Nicola Crocetti, traduttore di molte opere di Ritsos, dirà: “Ho sempre pensato che la grandezza di un poeta sia proporzionalmente commisurabile alle sue doti di generosità e umanità. Sono convinto che quasi sempre sia così”.

 

3- Il Poeta al confino

L’esperienza della seconda prigionia di Ghiannis Ritsos è condensata nell’emozionante “Pietre Ripetizioni Sbarre” (Πέτρες Επαναλήψεις Κιγκλίδωμα), raccolta di poesie composte tra il 1968 e il 1969 mentre il poeta è al confino tra le isole di Leros e Ghiaros.

Il poeta ricorre frequentemente alla mitologia e alle vicende storiche della Grecia classica per creare un parallelismo tra epoche differenti, in una sorta di ciclicità degli avvenimenti, ma anche per aggirare la censura. Durante tutta la prigionia, infatti, il poeta dovrà sfuggire ai controlli dei carcerieri. Nelle prigioni non sono ammessi libri o taccuini, tutto ciò che giunge ai detenuti dall’esterno è sequestrato.

Neanche sulle aspre isole della detenzione il regime impedirà a Ritsos di continuare ad essere ciò che è. Il poeta riuscirà comunque a comporre versi, ora nascondendo i suoi scritti in luoghi remoti dell’isola, ora affidandoli a marinai solcati dalle molte rughe, ora seppellendo sgangherati foglietti di carta in bottiglie di vetro. Di fronte al mare atroce, Ritsos compose i suoi versi “usando le ginocchia per tavolo” (come scrisse Louis Aragon nella prefazione di Pietre, Ripetizioni, Sbarre).

In ciò risiede la bellezza e l’unicità di “Pietre Ripetizioni Sbarre“. I versi sono giunti a noi superando infinite difficoltà. Le parole hanno superato le torture e la morte, il mare eretto a barriera, le sbarre del carcere. E quando il verso giunge al presente, quando giunge a noi, sentiamo di avere per le mani qualcosa di più profondo di una testimonianza o di una denuncia. Perché il Poeta non parla per sé, ma parla per l’Uomo.

Campo di detenzione nel Mar Egeo: bellezza e brutalità insieme

Nella poesia “Dopo la sconfitta”, scritta il 21 marzo 1968, il Poeta richiama la sconfitta ateniese ad Egospòtami del 405 a.C., che diede il via alla Dittatura dei Trenta Tiranni, chiaro parallelismo col suo presente:

dopo la nostra ultima sconfitta […] finite le libere discussioni

La dittatura non impiega molto a reprimere le libertà:

Tutto (anche ciò ch’è più nostro) avviene in contumacia, senza la minima/ possibilità di un ricorso, d’una difesa o apologia,/ d’una sia pur formale protesta. Le nostre carte e i nostri libri al rogo;/ l’onore della patria nel pattume

Lo stato delle cose non consente di vedere oltre, forse veramente il Poeta si sta arrendendo, consiglia agli amici della prigionia di non patire ulteriormente, di cercare una comoda via d’uscita nell’accettazione:

Perciò stiamo bene qui, – forse potremo perfino stabilire un nuovo contatto con la natura/ guardando dietro il filo spinato un pezzo di mare, le pietre, le erbe,/ o una nuvola al tramonto, profonda, violetta, emozionata

Ma l’animo del Poeta, infine, non si piega. Ed appena due giorni dopo, il 23 marzo 1968, sempre sfuggendo ai controllori, Ritsos scrive questi versi, intitolati “Eracle e noi:

Non ci sentiamo affatto / inferiori, non abbassiamo gli occhi. Nostre uniche pergamene / tre parole: Makrònissos, Ghiaros e Leros. E se maldestri / dovessero sembrarvi un giorno i nostri versi, ricordate solo che furono scritti / sotto il naso delle guardie, la baionetta puntata sempre alle costole.

Che dire? C’è da commentare queste parole? Nella prigionia le sole “pergamene” per i poeti, privati dei loro strumenti di lavoro – carte e calamaio – sono Makrònissos, Ghiaros e Leros, ovvero le stesse isole-prigioni. Il poeta può dominare le avversità col solo suo animo, può sopportare la privazione della libertà, la terribile prigione, anzi la riduce a semplice supporto della scrittura. Ma quale prigione, quale sbarra o manetta può impedire al verso di sgorgare dall’animo? E come può la violenza impedire alla poesia di essere poesia, al poeta di svolgere il suo mestiere? 

Il poeta vive con “la baionetta puntata sempre alla costole”. E’ per questo, alla fine, che Ritsos si trova carcerato. Perché egli fornisce all’uomo la consapevolezza che la sua natura e la sua libertà non può essere decisa dai decreti e che questi non sono nulla davanti alla coscienza umana.

 

4- L’esperienza della brutalità

Non piangere la Grecia” è un libro per chi ha sperimentato la libertà e la sua privazione. E’ un libro che coglie l’anima del Poeta e fornisce al lettore uno spunto per avvicinarsi alla sua opera. Ha il merito di rappresentare un ponte tra il nostro presente, così intorpidito e asettico, e un passato poi non così lontano.

La poesia di Ritsos non fotografa un istante passato (Pietre), ma è totalmente presente, attuale (Ripetizioni). Sì, ci riguarda. E questo è difficile, molto difficile da accettare (Sbarre). Perchè è facile sapere che qualcosa è ben passata, che non ci riguarda. Sì, la dittatura dei Colonnelli; spiacevole, certo. Sì, il Fascismo, siamo contrari. Ma siamo andati avanti, e poi, la Grecia è così lontana da noi.

E’ realmente così?

Per questo l’invito del Poeta non è al disimpegno o alla contemplazione fine a se stessa, quasi compiaciuta. Ogni cosa, gesti e parole, hanno un senso solo in relazione al fine per il quale si impiegano. Parole e gesti uccidono. Ma parole e gesti possono anche alleviare, curare. Solo la Poesia può far sì che l’uomo non sia carnefice dell’altro uomo. Sta all’uomo, alla sua infinita finitezza, trovare il fine. Mai alla legge o ai decreti, strumenti di circostanza. Tutto qui.

Dalle parole di Pietre, Ripetizioni, Sbarre, non traspare il dolore personale del poeta. Mai un lamento per la propria condizione. Emerge fortissimo invece il dolore per i compagni, per quelle persone sconosciute rese fraterne dal dolore comune,

Sul soppalco grigio, un tempo Petros predicava./ Parlava sempre di vittorie. Era sicuro/ Da allora non si è più visto. Non si rinnova l’aria

E giù, nelle cucine sotterranee/ soldati nudi battevano sui calderoni con le baionette/ Lui chino sul suo tavolo, solo, con un sasso in bocca

Quando un giorno scendemmo a pulire/ una buona volta, il pozzo/ li tirammo fuori uno per uno./ Il pozzo era prosciugato

Ritsos esorta i compagni a resistere alla violenza, a non dimenticare il loro crimine, quello di essere poeti ed uomini. La violenza inflitta e patita non può trasformare l’uomo, non le deve corrompere.

Non sapevamo, a dire il vero,/ chi erano i morti, / se loro o noi

Solo dopo l’invito alla resistenza, all’accettazione di ciò che si è, solo dopo aver messo un confine tra poesia e violenza, solo dopo aver riconosciuto la dignità dell’uomo per ciò che è, solo allora il poeta può autenticamente cantare la bellezza che lo circonda

Alto eucalipto e ampia luna/ Una stella trasale nell’acqua/ Cielo bianco, argentato/ Pietre, pietre scorticate fino in cima/ Immensa, estatica orfanezza – libertà

 

5- La vittoria della Poesia

Sempre sulla spiaggia torna il Poeta quando deve respirare. Manca l’aria davanti alla brutalità. Il mare Greco è di un blu più acceso. Chissà perché. E si può anche nuotare senza immergersi nelle sue acque, perché a lungo fu navigato da molti popoli. La mente naviga, segue rotte sconosciute, approda a porti mai visti. Pietre, testimonianze di tempi passati, non sono più nulla. Gli eroi antichi, ingessati nelle statue, anche loro non sono nulla. Sono andati via. Cosa rimane dei bottini conquistati col sangue? Qualcuno ha più rivisto le navi che tornarono da Troia e che riportano i soldati a casa? Non rimane nulla neanche di questo.

Forse gli Atridi non se lo ricordano/ a loro interessano solo il bottino e i trofei./ Ebbene, che se li spartiscano/ con astuzie, raggiri e con timori – fino a quando?/ Un giorno si troveranno anche loro nudi davanti alla notte e alla sua lunga strada;/ e servirà a loro ben poco lo scudo rubato, per quanto grande e bello.

Rimangono solo frammenti di statue e di memorie, come conchiglie sparse sulla spiaggia. Sabbia fine e umida le ricopre. Il poeta raccoglie i gusci e i frammenti e ne fa una collana. Il poeta usa parole che cede agli altri, a noi: ecco che ci porge la collana di conchiglie che ha composto. La possiamo indossare. Mostriamola. Rivive la Grecia perduta:

La Grecia nel mondo è una circolazione segreta, un’idea di solitudine e di comunità di beni

Il poeta rimane sulla spiaggia dell’isola-prigione. Si guarda intorno. E’ solo. Tira fuori il suo taccuino di contrabbando. E scrive, crea, compone la collana. La testa duole. Ha finito, nasconde tutto. Presto, prima che arrivino le guardie. Il poeta lascia disfare la sua anima e la ricompone in versi.

Ha tra le mani la poesia “Grecità“. Anche questa, alla fine, supererà le Sbarre, le pietraie dell’isola maledetta, i manganelli, gli insulti, gli omicidi dei violenti. Il poeta sa che alla fine il nome dei barbari marcirà al sole. Il ferro dei fucili arrugginisce, come l’animo dei persecutori. Di costoro non rimane nulla. Nulla.

Ma intanto, dove sono gli abitanti della casa in fondo al villaggio? Che fine ha fatto la ragazza dagli occhi di stella che gridava LIBERTA’ ? E le donne nude sulla spiaggia, il ragazzo dai capelli ricci di seta, dove sono stati portati?

Solo davanti al mare, il poeta trova la via che porta alla salvezza, gridando parole di ribellione senza tempo

 

   GRECITA’

 

La Grecità non piangerla – sembra prostata e vinta,

col pugnale nella schiena – il laccio intorno al collo,

ma insorge come un fulmine – con furia di leone

e uccide il mostro orribile – con fiocine di sole.

 

Tra il mare e la terra del Peloponneso

 

6 – La caduta dei Colonnelli

Genova, 19 Settembre 1970, ore 03:00 del mattino. Nel porto della città il mare culla le piccole imbarcazioni. In Piazza Matteotti un ragazzo si dà fuoco; morirà poche ore dopo per le ustioni, proferendo queste ultime parole: “Viva la Grecia libera”. Sono le parole di Kōstas Geōrgakīs, 22 anni, studente di geologia all’Università di Genova. Kōstas diede un’intervista anonima alla radio italiana, affermando come la Giunta dei Colonnelli si stesse infiltrando nel mondo studentesco attraverso la costituzione e il finanziamento di associazioni giovanili compiacenti.

La Giunta riuscì comunque a risalire all’identità del ragazzo, annullando la sua esenzione militare e facendo pressioni sulla famiglia. Kostas decise così di denunciare con un gesto estremo la situazione politica della Grecia.

Arso dalle fiamme, mentre veniva soccorso da un gruppo di netturbini, il ragazzo gridò: “L’ho fatto per la mia Grecia”.

Il gesto di Kostas ebbe grande eco a livello internazionale, contribuendo ad aggravare l’isolamento del regime nell’opinione pubblica.

 

 

6.1 L’inizio della fine 

Il 14 novembre 1973 gli studenti del Politecnico di Atene organizzarono uno sciopero contro il regime dei Colonnelli. La protesta propagò rapidamente dagli ambienti universitari fino ai cittadini ateniesi. Quartier generale della rivolta era proprio il Politecnico di Atene, nel quale numerosi studenti si asserragliarono, fabbricando rudimentali radio con le quali comunicare con il resto della Grecia:

«Edhò Politechnìo! Qui Politecnico! Popolo della Grecia, il Politecnico è il portabandiera della nostra lotta, della vostra lotta contro la dittatura e per la Democrazia».

Il Politecnico di Atene in rivolta

Il 16 Novembre la protesta studentesca passò alla rivolta, con il dichiarato intento di rovesciare la Giunta militare. Gli scontri passarono alle strade e si verificarono attacchi ai luoghi del potere. Il regime reagì imponendo il coprifuoco ad Atene, presidiando la città con corazzati e cecchini.

 

Nel tentativo di sedare la rivolta, nella notte del 17 Novembre i militari progettarono l’ingresso nel Politecnico. Alle 03:00 del mattino venne dato l’ordine ai carristi di un AMX 30 di sfondare il cancello del Politecnico, attorno al quale erano assiepati molti studenti nel tentativo di bloccare l’accesso dei militari.

Il carro armato AMX 30 contrapposto agli studenti

Il carro AMX 30 sfondò il cancello e i militari fecero irruzione nel Politecnico, mettendo fine alle proteste. Si contarono 24 vittime tra i civili. L’episodio segnò il crollo definitivo della credibilità del regime. Nell’estate del 1974 la Giunta venne sciolta e furono indette le prime elezioni libere dal 1967.

L’ingresso del Politecnico di Atene dopo gli scontri

 

Alla Grecia, a Ghiannis Ritsos, ai Kōstas e alle Fotinì, che coi loro nomi portano la luce.

 

 

Sono nato dall'increspatura dell'onda. Non ho deciso io il mio destino, ma il mare che tutto sospinge e muove. - Tu navigherai - mi disse un giorno. E così sono alla ricerca di Itaca. Ho un cuore mediterraneo, crocevia di emozioni e incoerenze, come i molti popoli di questo mare. Ma come posso dire con certezza chi sono?

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