La Calabria è un destino. Monasterace. Stilo. Riace.

1. La Statale Jonica. Monasterace.

Tra le fiumare Assi e Stilaro sorge la frazione marina di Monasterace. Nei suoi pressi sono situati gli scavi di Kaulon, che custodiscono il famoso mosaico del Drago.

Sul cancello, però, un avviso mette in guardia i viaggiatori. Gli scavi non sono visitabili. Ci sono solo io in questa mattina di Maggio a leggere con curiosità il cartello. Dalle inferriate il mare mostra le sue squame d’argento. Una littorina passa placida sulla ferrovia che costeggia lo Jonio. Anche questa è la Calabria: tra divieti e impossibilità fiorisce la necessità di arrangiarsi.

Sul bordo della strada passano alcuni ragazzi già abbronzati. I loro capelli e la pelle hanno il colore dell’oro. La loro non è l’abbronzatura annoiata e composta del vacanziere, ma quella libera di chi attraversa campi di grano e spiagge per vincere la noia.

Risalendo lungo la collina, in pochi minuti si arriva all’antico abitato di Monasterace. Dalle belle terrazze si guarda verso le verdi montagne che si mescolano col giallo della terra riarsa.

A Monasterace incontro solo un bar aperto e qualche anziano. Il Duomo è chiuso. Anche Monasterace è vittima del fenomeno dello sdoppiamento dei paesi sulla costa e dell’inesorabile declino degli abitanti storici. Troppe le case abbandonate, troppo il silenzio. Un bellissimo sole illumina le strette vie, ma non c’è nessuno da illuminare e far risplendere.

Sul balcone che dà verso il mare incontro un’anziana con un bellissimo vestito blu e bianco. I capelli grigi saggiamente raccolti in una treccia, fissata dietro la nuca con un pettine e delle forcine. Mi ricorda la mia amata nonna di Sambiase, ora Lamezia Terme, che con maestria e saggezza si aggiustava i capelli secondo gli antichi costumi.

La vita e il bene provengono dal mare”. Dice l’anziana, mentre guarda il mare con gli occhi umidi e sbiaditi. “E’ proprio vero”, riesco solamente a dire.

2. Commistioni. Stilo bizantina e araba

Dal paese di Monasterace imbocco una via dal nome curioso: “via del Cinema”. Sembra, infatti, di trovarsi in un set cinematografico. Non incrocio anima viva. La via conduce sulla Strada Provinciale 9, seguendo la quale, in qualche minuto, si giunge al paese di Stilo.

Stilo prende il nome dalla fiumara che le passa accanto, lo Stilaro. Secondo i più poetici, invece, Stilo deriverebbe dal greco Stylon, colonna. Io preferisco lasciarmi suggestionare, e prendo per buona quest’ultima versione.

Sul paese incombe il Monte Consolino. La montagna divide Stilo dal paese-gemello di Bivongi, posto sull’opposto versante.

Stilo custodisce sapientemente l’animo calabrese, un animo composito e multietnico. Ci sono tracce Greche, Bizantine, Normanne. E, non si direbbe, ma pure Arabe.

Questa è una storia certamente curiosa, che merita una piccola digressione. Su una colonna della Cattolica di Stilo è presente l’iscrizione araba La ‘Ila ha Illa Alla h wahdahu, non c’è Dio all’infuori del Dio unico“.

Sul come e sul perché troviamo questa scritta possiamo fare solo ipotesi: è stata lasciata da soldati di passaggio in una delle tante scorrerie, oppure, per un periodo, la Cattolica è stata utilizzata dagli Arabi come luogo di culto?

E così giungiamo al simbolo di Stilo e della Calabria, o forse della cultura greco-bizantina in generale. La Cattolica è un gioiello incastonato sui fianchi del monte Consolino, dal quale si domina tutta la vallata dello Stilaro.

Qui incontro uno zelante custode la cui passione per questo luogo sacro traspare dai suoi occhi. Non solo, ma pure dalle sue parole. Infatti, lo trovo alle prese con appassionate spiegazioni. Ascoltiamo con interesse i suoi racconti, senza accorgerci che nel frattempo inizia a piovere.

Niente da fare, la pioggia non accenna a diminuire ed è ormai ora di pranzo. Altrettante importanti incombenze sopraggiungono dopo molto peregrinare: la fame comincia a farsi sentire il cibo è cosa seria.

E così, mosso dalla fame, mi addentro nei vicoli del paese ormai umido. Rischio qualche volta di scapicollarmi per la pavimentazione scivolosa. Rientro nel paese e adocchio un locale spartano. Entro, sono solo. Mi accolgono i gestori, mi fanno accomodare. Intanto entra una coppia di visitatori e scambiamo qualche parola.

Consumo un pasto semplice ma calabrese. Che posso chiedere di meglio? Curiosa è la vita. Nei momenti più sinceri il cibo migliore è quello semplice. Mi offrono un bicchiere di vino. Ho molti giri da fare, ma chi sono io per rifiutare simili cortesie? Rifiutare la gentilezza è un peccato. Fuori intanto smette di piovere ed è allora giunto il tempo di ripartire.

3. Latitanza. Bivongi e i monasteri ortodossi

Come dicevo, a separare Stilo da Bivongi c’è il Monte Consolino. Sono due paesi molto vicini, ma appena aggirato il monte il panorama cambia completamente. Se Stilo si affaccia sul mare attraverso una radura brulla e priva di vegetazione, Bivongi è immersa in un bosco umido e senza confini. Anche i profumi e gli odori cambiano. Che meraviglia la Calabria. Non perché è più bella di altre terre, ma perché ha in sé tutte le terre del mondo.

Stilo
Bivongi

Ad accomunare Stilo e Bivongi non c’è il solo Monte Consolino, ma anche San Giovanni Theristis. Se a Stilo è presente la bellissima abbazia dedicata al santo, tra le colline di Bivongi è nascosto un il monastero di San Giovanni Theristis. Ma di quest’ultimo gioiello parlerò tra un attimo, prima occupiamoci del Santo.

Il Santo è spesso raffigurato circondato dal grano. L’appellativo Therìstis significa infatti mietitore. Si racconta che quando il santo giunse nei pressi di un fondo dove stavano lavorando alcuni contadini, un furioso temporale si abbatté sui campi. La preghiera di Giovanni fece sì che il grano fosse mietuto e raccolto in covoni.

Superata Bivongi e attraversata la fiumara Stilaro la strada risale attraverso verdi colline. In questo tratto la strada è molto panoramica e consente alla vista di spaziare sui monti circostanti.

Láthe biósas diceva il compianto Epicuro. Vivi nascostamente. Lanthano in greco antico vuol dire “nascosto” e rimanda direttamente al moderno “latitante”. Ora, credo sia giunto il momento, mentre percorro queste strade, di riappropriarci di un termine ostracizzato da tristi e spiacevoli episodi della vita calabrese e meridionale. Riabilitiamo quindi la latitanza come forma di opposizione ad una vita di appariscenza e superfluo.

Che questi luoghi ameni ispirino alla latitanza è testimoniato dalla numerosità di santuari, monasteri, chiese e modeste grotte religiose presenti in zona. Sono veramente tante e non voglio fare un elenco.

Parlerò, però, di quel monastero dedicato a San Giovanni Theristis di cui accennavo poc’anzi.

Ebbene, in queste sperdute contrade è presente un monastero. E dunque? Mi direte, giustamente. Ci sono tanti monasteri in Calabria. Andiamo avanti. Il monastero è ortodosso. Suvvia, direte, di luoghi di culto ortodossi è piena la Calabria (Manifest ne ha parlato qui). E qui viene il bello. Il monastero appartiene alla Diocesi Romena Ortodossa d’Italia, ad ulteriore conferma dell’affinità storica, religiosa e culturale tra Calabria e Balcani.

Ora, non mi perderò in questioni storiche, peraltro molto interessanti, ma il rischio di annoiare il lettore c’è. Voglio raccontarvi un episodio vissuto lì. Arrivo al monastero e non incontro nessuno. Ai piedi del monastero si intravedono alcune casette graziose, dimora dei monaci ortodossi, che però in giro non si vedono.

Faccio il giro del giardino del monastero e dal basso sento un dolce belato. Mi sporgo verso il basso e in un recinto trovo un agnellino, bellissimo. La presenza di questo docile animale fa sorgere in me un senso religioso, un senso di sacro che mai ho provato nell’esperienza religiosa istituzionale o osservante.

Quella bestiola, creata da chissà quale anima, è una visione perfetta, bellissima, meravigliosamente inserita in quel paradiso in terra. Avete visto com’è potente la Calabria, vedete quante sorprese nasconde?

E pensandoci, perché amiamo così profondamente questa terra? Perché sappiamo bene che ogni angolo ci riserva qualcosa. Ma cosa? La Calabria ci riserva la presenza divina, l’incommensurabile, l’imprevedibile, la poesia della vita e della morte.

Mentre guardo questa terra spettacolare dalla terra sale l’odore del vino e dell’olio e mi prende uno strano formicolio al piede. Ho voglia di ballare. Com’è possibile? Non ci sono musici nei dintorni. Ma certo che sì. Ascoltante. Gli uccelli non suonano? E l’agnellino in realtà canta.

Neanche il timore di essere sgridato dai monaci mi ferma. Inizio a ballare in questo angolo di Calabria, che per me è quanto di più simile vi sia al Paradiso.

4. Abbandono. Riace.

Dopo molto vagare mi trovo nel paese di Riace. Giungere a Riace non è stato semplice. Ho evitato di seguire la via più comoda, che riscende la valle dello Stilaro e poi risale dalla Statale. Ho così percorso vie interne. Molti tratti erano interdetti al traffico veicolare, ma tra una giravolta e un’altra mi sono ritrovato nel paesino di Camini, e poi infine finalmente a Riace paese.

Amatissimi sono i Santi Cosma e Damiano. A fine Settembre, Rom e Gitani giungono da tutta la Calabria per omaggiare i santi curatori, che guarivano i poveri e gli umili senza chiedere nulla in cambio.

Secondo alcune teorie, Riace ha la sua radice nel termine orientale ruha (respiro, vento). Il vento è un attributo che ritorna spesso nei nomi delle località joniche calabresi: pensiamo al promontorio Zefirio, a Capo Sartivento, e all’antico attributo di Locri, Epizefiria. Un tempo erano molti i popoli marinai che passavano da questo mare.

Cosa rimane oggi a Riace? Di paesi sonnolenti, abbandonati, in riposo o dormienti ne ho incontrati molti in Calabria. Tra tutti questi, Riace mi ha colpito per il suo silenzio e per i molti angoli abbandonati. Di quel paese simbolo di accoglienza e intrecci di popoli oggi rimane molto poco. La vicenda giudiziaria che ha coinvolto Riace ha colpito al cuore una comunità semplice.

L’impressione che ho nel camminare per le solitarie vie del paese è quella di attraversare un campo di battaglia. Attorno a me non ci sono però fori di proiettile o crateri. Qui è stata combattuta una battaglia silenziosa, strisciante, ma ugualmente distruttiva.

Basta guardare Riace per rendersi conto delle ferite che ancora rimangono. Come tutte le guerre e battaglie, non rimangono né vincitori e né vinti. Rimangono solo i superstiti, che vagano persi e inebetiti per le vie distrutte.

All’uscita del paese mi saluta una scritta su un muro: “è questa la città del sole?”

5. La vita e il bene provengono dal mare

Dopo tutto questo vagare, il mare infine mi richiama a sé. E’ tempo di tornare. La via scende ripida per campi biondi e frutteti rigogliosi. Alle mie spalle la solita nuvola mi segue, grigio è il cielo.

In poche ore e in poco spazio ho attraversato mondi differenti, dalla terra brulla e arida alle montagne rigogliose di boschi; dal mare profondo alle chiese adagiate sulla roccia; da piccoli paesi a bianche fiumare.

E’ proprio vero quello che mi ha detto la nonnina di Monasterace: “La vita e il bene provengono dal mare”. Ecco perché io non voglio piangere la Calabria, non voglio darla per morta, né voglio che sia un oggetto di contemplazione e nostalgia.

Occorre venire nei luoghi perduti della Calabria per spezzare la retorica del bello e dell’appetibile a tutti i costi. La Calabria è bella per chi sa ascoltare, per chi ha la pazienza di guardare oltre quello che apparentemente manca. La Calabria insegna ad apprezzare la giusta misura e a godere di un monte, di un bosco, di una semplice vista naturale.

Cammino lungo le spiagge di Riace. Guardo il mare. E penso. Per un attimo affiorano alla mente ricordi nascosti, quasi dimenticati, che toccano l’animo e fanno soffrire.

Guardo il mare. E penso.

Ho imparato ad amarti per come sei e non per quello che vorrei tu fossi. Non ti desidero diversa o migliore. Da te ho imparato ad accettare quello che non posso cambiare.

Se potessi stringerti con un abbraccio, se potessi sorreggere da solo il tuo peso, se potessi curarti, lo farei, troverei un modo. Ma qui, davanti al giorno che muore, tra le nubi grigie che avanzano verso il mare, svanisco anche io con il sole che scivola via.

Rimango muto nella straordinaria bellezza che culla le onde dell’animo. Ci sono cose che non possiamo dominare e limiti che non possono essere superati. I luoghi di Calabria sono maestri di umiltà, perché insegnano che dipendiamo da loro più di quanto essi dipendano dalle nostre azioni.

La Calabria è un destino.

 

Sono nato dall'increspatura dell'onda. Non ho deciso io il mio destino, ma il mare che tutto sospinge e muove. - Tu navigherai - mi disse un giorno. E così sono alla ricerca di Itaca. Ho un cuore mediterraneo, crocevia di emozioni e incoerenze, come i molti popoli di questo mare. Ma come posso dire con certezza chi sono?

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